2025-02-20
All’improvviso un giudice a Crotone: il taxi del mare rimane sequestrato
Confermato il fermo della Humanity One: «Ha ignorato l’ordine libico di lasciare la Sar, rischiando di far affogare i migranti».In controtendenza rispetto all’orientamento giudiziario progressista pro Organizzazioni non governative, il giudice del Tribunale di Crotone Alfonso Scibona ha riconosciuto la validità delle prescrizioni del Memorandum Italia-Libia, confermato il fermo amministrativo alla nave tedesca Humanity One ed escluso «la possibilità di affidare direttamente a mere associazioni private, quali sono e restano le Ong, il sindacato circa la legittimità dell’operato di un’autorità nazionale, atteso che la funzione che le prime sono legittimate ad assolvere è solo e soltanto quella di mera sensibilizzazione, informazione e solidarietà su temi e questioni di rilevanza internazionale, senza che esse possano tuttavia rivendicare il potere di sostituirsi ad attività di competenza degli Stati». Scacco matto. Il motivo? Aver ignorato le indicazioni del Centro di coordinamento di Tripoli che ordinava al comandante della Humanity One, Joachim Horst Gerd Ebeling, di lasciare la zona Sar di Tripoli mentre il pattugliatore libico stava operando un soccorso. Un affronto per il solito fronte dell’accoglienza indiscriminata, che vede nel soccorso in mare un mezzo per scardinare i confini nazionali e svuotare di significato ogni forma di cooperazione internazionale contro l’immigrazione illegale. Alla Humanity One di Sos Humanity, il 2 dicembre 2023, era stato imposto il fermo amministrativo a Crotone per 20 giorni. L’accusa? Aver ostacolato le operazioni della Guardia costiera libica. Secondo la ricostruzione delle autorità, la nave della Ong si sarebbe avvicinata mentre il pattugliatore libico Zawiya stava già effettuando il soccorso di un gommone con un centinaio di migranti a bordo. Alla vista della Humanity One, circa 40 persone si sarebbero lanciate in mare tentando di raggiungerla, facendo crescere il rischio di annegamenti. Per questo motivo il provvedimento è scattato nonostante il taxi del mare abbia comunque portato i migranti in un porto sicuro. La nave della Ong avrebbe creato una situazione di pericolo. Un dettaglio che la propaganda buonista tende a omettere. Ovviamente, Sos Humanity ha respinto le accuse e in udienza ha sostenuto che «le giustificazioni addotte dalle autorità italiane per il blocco si basavano su una serie di bugie confutabili attraverso la documentazione degli eventi in mare». Secondo Sos Humanity, le autorità italiane avrebbero distorto i fatti sostenendo che l’equipaggio del taxi del mare avesse disatteso le istruzioni del Centro libico di coordinamento. «Tutte bugie», aveva denunciato pubblicamente la Ong, aggiungendo che la motovedetta libica «non» aveva «fatto nulla per salvare le persone che stavano affogando». Eppure, la verità processuale racconta una storia ben diversa. Il giudice Scibona, nel suo provvedimento, ribalta la narrazione. E spiega che l’operato della Humanity One è stato esaminato alla luce delle norme vigenti, in particolare del Decreto sicurezza. Scrive il giudice: «Il comandante della Humanity One non si è attenuto alle indicazioni fornite dal Centro libico di coordinamento per il soccorso marittimo, nella cui area di responsabilità si era svolto l’evento, dando così causa a una situazione di pericolo». Il provvedimento delle autorità italiane si basava su diversi elementi: la Humanity One si è avvicinata al gommone quando il soccorso della motovedetta libica era già in corso. Alla vista della nave della Ong, i migranti si sono gettati in acqua facendo crescere il rischio di annegamento, l’equipaggio ha ignorato gli ordini delle autorità libiche e ha operato in totale autonomia. A confermare il quadro accusatorio, richiamato dal giudice, ci sono le immagini registrate dall’aereo Sea Bird 1, il brogliaccio della centrale operativa del Centro di coordinamento di Roma e le dichiarazioni di alcuni migranti. Dal video, pubblicato anche dal quotidiano La Repubblica, emerge chiaramente che «la Humanity 1», riassume la sentenza, «si è avvicinata nonostante la motovedetta libica avesse già iniziato il recupero dei migranti, la guardia costiera libica non ha creato onde o pericolo, ma stava operando in modo ordinato, i 43 migranti si sono tuffati spontaneamente per raggiungere la nave della Ong». E a confermare questo scenario ci sono anche le dichiarazioni dei migranti. Un cittadino etiope racconta: «Siamo stati avvicinati da una grossa imbarcazione con la bandiera libica. Hanno cominciato a farci salire sulla nave dal gommone. Durante le operazioni, mentre ero ancora sul gommone assieme ad altri migranti, ho notato la presenza di una nave, la Humanity One e quindi io e altri occupanti, per timore di essere riportati in Libia, ci siamo tuffati in acqua, nuotando in direzione della nave Humanity One». Parole sostenute nei concetti anche da un secondo migrante. La decisione del giudice Scibona è destinata a lasciare il segno, perché riconosce la piena legittimità delle operazioni della Guardia costiera libica alla luce del Memorandum Italia-Libia, siglato nel 2017 e rinnovato nel 2023, «con cui», sottolinea la toga, «i due Paesi hanno ufficialmente assunto un obbligo di reciproca cooperazione nel contrasto all’immigrazione illegale e nel rafforzamento della sicurezza delle frontiere». In un contesto nel quale le Ong cercano di dettare le regole del gioco, questa sentenza ristabilisce un principio: il rispetto delle autorità competenti. E mette nero su bianco un fatto scomodo per il fronte pro accoglienza: chi soccorre in mare non può operare come se i confini non esistessero.
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