L’Europa beneficia del taglio dei tassi Usa. L’Italia fa meglio di Parigi e Berlino. Patto di stabilità e Mes possono attendere.
L’Europa beneficia del taglio dei tassi Usa. L’Italia fa meglio di Parigi e Berlino. Patto di stabilità e Mes possono attendere.Spread a 180 punti e tasso del Btp decennale al 4,45%. È questo il dato confortante al termine dei primi tre giorni di novembre che hanno visto i nostri titoli pubblici brillare sull’onda delle notizie e delle dichiarazioni che sono arrivate dagli Usa. Perché, quando si parla di spread e rendimenti dei Btp, oggi c’è un solo sceriffo in città. Si chiama Jerome Powell ed è il presidente della Banca centrale più potente al mondo, quella degli Usa (Fed), e quando mercoledì sera ha parlato da Washington - comunicando la decisione di non rialzare ancora i tassi - le sue parole sono state la chiave di volta per i rendimenti dei titoli di Stato di tutte le economie più avanzate del pianeta. Un deciso colpo di spugna sulle fantomatiche preoccupazioni sul futuro dei nostri titoli.Un movimento di discesa dei rendimenti (e di rialzo dei prezzi) di rara intensità e rapidità e che perciò merita un’adeguata spiegazione. Il Btp decennale - che ancora alla fine della settimana scorsa oscillava intorno al 4,9% e il 19 ottobre aveva toccato un massimo relativo intorno al 5% - è sceso fino al 4,45%, livello che non si vedeva da metà settembre. Lo spread rispetto al Bund tedesco è sceso fino a 180, mentre solo il 9 ottobre scorso aveva fatto segnare un massimo relativo a 209. Già nella giornata di giovedì il Btp e lo spread avevano tratto un rilevante beneficio dalla decisione di Powell. Ma venerdì i dati sul mercato del lavoro Usa - che hanno mostrato chiari segnali di rallentamento dell’economia - hanno letteralmente messo le ali a tutti i titoli pubblici.Ma vi è di più. I titoli pubblici italiani hanno fatto ancora meglio degli analoghi titoli francesi e tedeschi. Rispetto a fine ottobre, il Btp ha limato il rendimento di quasi 25 punti (di cui 10 in pochi minuti il 3 novembre nel pomeriggio) mentre i titoli francesi e tedeschi di circa 15. Di conseguenza lo spread si è ridotto perché il nostro titolo è sceso più di quello tedesco. E questo è un segnale molto confortante, non tanto per il breve periodo, quanto in una prospettiva più lunga. Infatti gli investitori hanno preso atto del nuovo scenario disegnato da Powell - confortato dai dati di venerdì - in cui l’incertezza non riguarda tanto ulteriori improbabili futuri aumenti, ma quanto a lungo i tassi resteranno su questi livelli. Con inflazione in netta discesa e crescita economica in rallentamento, è questa l’incognita principale su cui ovviamente Powell non ha preso impegni preventivi.Se questo è lo scenario, la reazione degli investitori è quella del riconoscimento di un maggiore domanda verso il titolo italiano preferito rispetto agli altri emittenti sovrani, da un lato per il livello superiore dei rendimenti, dall’altro perché - con la legge di bilancio ormai impostata - non «prezzano» alcun rischio aggiuntivo a carico del nostro Paese. A questo dobbiamo aggiungere che i Btp hanno ricevuto ulteriore beneficio dal fatto che nelle settimane precedenti - quando ancora i segnali provenienti da Washington non erano chiari, con il rendimento del Btp che aveva toccato il 5% il 19 ottobre - non erano mancate le posizioni ribassiste che sono state precipitosamente chiuse perché il mercato è andato in direzione esattamente opposta.Giusto per fare un esempio del clima che ancora qualche giorno fa c’era intorno ai Btp - con gli avvoltoi che volteggiavano sperando di guadagnare al ribasso - possiamo citare il capo economista del colosso assicurativo tedesco Allianz, Ludovic Subran, che il 26 ottobre definiva «preoccupante l’aumento dello spread, temendo che la Bce non avesse gli strumenti adatti per contenerlo». In contemporanea al commentatore di Bloomberg, Marcus Ashworth, secondo cui i titoli italiani erano «alla mercé della Bce», per il timore di una rapida riduzione del portafoglio titoli detenuto da Francoforte. Peccato che solo poche ore dopo Christine Lagarde abbia ribadito la volontà di continuare a reinvestire i proventi dei titoli di Stato del programma Pepp (1.660 miliardi, di cui 292 miliardi investiti in titoli italiani) almeno fino alla fine del 2024. Allo stato, sono previsioni, o meglio aspettative spacciate per previsioni, clamorosamente bocciate dai mercati negli ultimi tre giorni.Pur con tutta la cautela da adottarsi in questi casi, sembra proprio che Powell mercoledì sera abbia voluto porre termine al ciclo cominciato a fine agosto - quando proprio le incertezze su futuri rialzi dei tassi avevano innescato due mesi di vendite massicce sui mercati dei titoli di Stato. Ma anche in quello scenario il il Btp ha tenuto perché, se ci fosse stata una specifica e significativa preoccupazione sull’Italia, gli investitori non avrebbero certo contenuto lo spread intorno a 200. Figurarsi ora che il Btp sembra più un’opportunità da cogliere che una minaccia da cui stare lontani.Alla luce delle onde sollevate da questi decisivi fattori trainanti, sembrano davvero poco più di schiuma sulla battigia le discussioni nazionali sulle agenzie di rating e sui dettagli della legge di bilancio o i timori per il Patto di stabilità o per la mancata ratifica del Mes. Quel 4,3% di deficit/Pil previsto dalla legge di bilancio 2024 sembra proprio essere il minimo (per stimolare la nostra economia) del massimo (date le condizioni dei mercati finanziari) e gli investitori stanno dando fiducia alle scelte del ministro Giancarlo Giorgetti. E questo accade e accadrà a prescindere dai parametri anacronistici di Maastricht e di qualsivoglia Patto di stabilità. Per ironia della sorte, proprio giovedì sera il Mef ha annunciato il fabbisogno statale aggiornato a fine ottobre: ben 107 miliardi, contro i 66 dello stesso periodo del 2022. In altri tempi, avremmo dovuto sorbirci i soliti allarmi sullo «sfascio dei conti», invece mercoledì a Washington il «primo motore immobile» dell’economia mondiale ha deciso che, date le scelte di politica economica del governo e le prospettive dei tassi e dell’economia, i titoli pubblici italiani sono da comprare. Tutto il resto è noioso rumore di fondo.
Volodymyr Zelensky (Ansa)
S’incrina il favore di cancellerie e media. Che fingevano che il presidente fosse un santo.
Per troppo tempo ci siamo illusi che la retorica bastasse: Putin era il cattivo della storia e quindi il dibattito si chiudeva già sul nascere, prima che a qualcuno saltasse in testa di ricordare che le intenzioni del cattivo di rifare la Grande Russia erano note e noi, quel cattivo, lo avevamo trasformato nel player energetico pressoché unico. Insomma la politica internazionale è un pochino meno lineare delle linee dritte che tiriamo con il righello della morale.
L’Unesco si appresta a conferire alla cucina italiana il riconoscimento di patrimonio immateriale dell’umanità. La cosa particolare è che non vengono premiati i piatti – data l’enorme biodiversità della nostra gastronomia – ma il valore culturale della nostra cucina fatta di tradizioni e rapporto con il rurale e il naturale.
Antonio Tajani (Ansa)
Il ministro degli Esteri annuncia il dodicesimo pacchetto: «Comitato parlamentare informato». Poco dopo l’organo smentisce: «Nessuna comunicazione». Salvini insiste: «Sconcerto per la destinazione delle nostre risorse, la priorità è fermare il conflitto».
Non c’è intesa all’interno della maggioranza sulla fornitura di armi a Kiev. Un tema sul quale i tre partiti di centrodestra non si sono ancora mai spaccati nelle circostanze che contano (quindi al momento del voto), trovando sempre una sintesi. Ma se fin qui la convergenza è sempre finita su un sì agli aiuti militari, da qualche settimana la questione sembrerebbe aver preso un’altra piega. Il vicepremier Matteo Salvini riflette a fondo sull’opportunità di inviare nuove forniture: «Mandare aiuti umanitari, militari ed economici per difendere i civili e per aiutare i bambini e sapere che una parte di questi aiuti finisce in ville all’estero, in conti in Svizzera e in gabinetti d’oro, è preoccupante e sconcertate».
La caserma Tenente Francesco Lillo della Guardia di Finanza di Pavia (Ansa)
La confessione di un ex imprenditore getta altre ombre sul «Sistema Pavia»: «Il business serviva agli operatori per coprire attività illecite come il traffico di droga e armi. Mi hanno fatto fuori usando la magistratura. Il mio avversario? Forse un parente di Sempio».
Nel cuore della Lomellina, dove sono maturate le indagini sull’omicidio di Garlasco e dove sono ora concentrate quelle sul «Sistema Pavia», si sarebbe consumata anche una guerra del riso. Uno scontro tra titani europei della produzione, che da sempre viaggia sotto traccia ma che, ora che i riflettori sull’omicidio di Chiara Poggi si sono riaccesi, viene riportata alla luce. A stanare uno dei protagonisti della contesa è stato Andrea Tosatto, scrittore con due lauree (una in Psicologia e una in Filosofia) e una lunghissima serie di ironiche produzioni musicali (e non solo) sul caso Garlasco. Venerdì ha incontrato Fabio Aschei, che definisce «uno con tante cose da raccontare su ciò che succedeva nella Garlasco di Chiara Poggi».






