2024-12-04
Gimbe benedice il lockdown davanti alla commissione: «Sensato, andava anticipato»
Nino Cartabellotta difende il diktat: «Unico modo per limitare i contagi». Fdi chiede di audire l’azienda Jc, a cui Domenico Arcuri annullò l’acquisto di mascherine dopo l’accordo con Mario Benotti.È la metasemantica (tecnica argomentativa che va oltre il significato delle parole e consiste nell’uso di frasi dal significato poco comprensibile e talvolta arbitrario) che ha caratterizzato ieri in commissione Covid l’audizione di Nino Cartabellotta, presidente di Gimbe, la fondazione che si sarebbe dovuta occupare di fornire le evidenze scientifiche che riguardavano la salute pubblica durante la pandemia. Un’audizione durata 45 minuti più del previsto, un po’ a causa degli interventi di Alfonso Colucci del Movimento 5 stelle - che il presidente della commissione Marco Lisei (Fratelli d’Italia) non ha esitato a definire «ostruzionistici» - un po’ per i sofismi cui ha fatto ricorso Cartabellotta per schivare le domande mirate rivoltegli dai commissari Alice Buonguerrieri di Fratelli d’Italia, Alberto Bagnai e Claudio Borghi della Lega. Il riassunto del presidente Gimbe è stato, per sua involontaria quanto comica ammissione, «una sequenza cinematografica»: Cartabellotta ha ripercorso con entusiasmo da storyteller le prime fasi della pandemia, ricorrendo alla tecnica - ben nota agli sceneggiatori di fiction da piccolo schermo - di circostanziare gli orari di uscita dei dpcm e i giorni esatti in cui sono stati istituiti i lockdown e le zone rosse. Ma quando ha dovuto spiegare su quali evidenze scientifiche si siano basate le decisioni del governo Conte e le restrizioni imposte ai cittadini in quel periodo, il copione ha fatto cilecca, lasciando spazio alla realtà della gestione pandemica: la paura, l’improvvisazione, l’ascientificità. «Noi abbiamo avuto una seconda e terza ondata che hanno fatto una quantità di vittime, non avevamo un servizio sanitario resiliente - ha spiegato il rappresentante Gimbe - l’efficacia del lockdown della prima ondata faceva ritenere saggio che attività ricreative come quella sciistica fossero il danno meno importante per l’economia del Paese ma che sicuramente tutelava la salute delle persone», ha ammesso Cartabellotta al senatore Borghi che gli chiedeva conto del perché il 15 febbraio 2021, un anno dopo l’inizio della pandemia e due giorni dopo la nomina di Mario Draghi alla presidenza del consiglio, fosse stata cancellata la stagione sciistica, «portando danni per miliardi ai lavoratori delle regioni montane». Ancora più vaga è stata la replica del presidente Gimbe ad Alice Buonguerrieri, che gli chiedeva lumi sulle raccomandazioni di paracetamolo e vigile attesa: «Noi non abbiamo effettuato mai nessuna valutazione rispetto a quelle che erano le terapie», ha spiegato Cartabellotta, per poi riconoscere pochi minuti dopo, in uno scontro verbale con il senatore Borghi, di essere stato un influente consigliere in termini di lockdown (nei mesi in cui l’epidemiologia mondiale già sconfessava le misure restrittive delle libertà individuali). «Durante la prima fase della pandemia non c’erano prove di efficacia di nessun tipo di trattamento quindi la terapia dei malati domiciliari poteva essere fatta soltanto attraverso farmaci sintomatici come paracetamolo piuttosto che fans», ha quindi aggiunto il rappresentante Gimbe rispondendo a Buonguerrieri, per poi dichiarare improvvidamente che «nessuno di questi farmaci era in grado di rallentare la progressione della malattia», a dispetto di tutte le evidenze empiriche che, già allora, mostravano l’efficacia dei fans (e non del paracetamolo) nello spegnere l’infiammazione.Ed è sulle evidenze scientifiche che, nuovamente, è scivolato Cartabellotta a seguito di una controproducente domanda del senatore pentastellato Alfonso Colucci, che gli chiedeva se le evidenze scientifiche cui la politica deve far riferimento siano quelle che promanano dalle istituzioni nazionali e internazionali. «Non possiamo assimilare il concetto di pubblicazione scientifica con quello di evidenza scientifica», ha risposto il presidente Gimbe, «durante il periodo Covid chiunque poteva pubblicare». Vietato studiare, ha detto insomma Cartabellotta, a meno che gli studi non siano «istituzionali». «Starei attento a lasciar supporre che si possa sostenere una tesi scientifica a seconda dello status», lo ha rimbeccato Alberto Bagnai, «lo status delle prove scientifiche sulla base del principio di autorità ci riporterebbe a prima del Medioevo. Si presume che qualsiasi ricerca, soprattutto sull’efficacia di un farmaco, richieda e prenda del tempo, vorrei che lei chiarisse la differenza tra pubblicazione e evidenza e chi dovrebbe gestire le pubblicazioni e le evidenze». Sfuggente la risposta di Cartabellotta: «Abbiamo prodotto poca ricerca pubblica». L’audizione è proseguita poi con gli interventi del Cnop (Consiglio nazionale ordine psicologi), che ha lamentato gli effetti delle restrizioni sui più giovani, della Sip (Società italiana di psichiatria) e del Sulpl (Sindacato unitario lavoratori Polizia locale). L’ex premier Giuseppe Conte ha liquidato la didattica a distanza (Dad) come «una misura necessitata», sviando il dibattito sull’uso eccessivo delle tecnologie a scuola.Filone giudiziario: Alice Buonguerrieri ha ricordato che la commissione vuole sapere se, mentre morivano innocenti, qualcuno lucrava sulla pandemia ai danni dello Stato. «Sulle teste dei cittadini italiani pendono oltre 200 milioni di euro da dover risarcire a un’azienda privata, la Jc Electronics, a causa dell’annullamento (in seguito al maxi contratto avviato con Mario Benotti), dichiarato illegittimo, di un contratto per la fornitura di mascherine in piena emergenza Covid da parte dell’allora struttura commissariale guidata da Domenico Arcuri, nominato dal governo Conte. Fratelli d’Italia insiste sulla richiesta di audizione urgente dei rappresentanti dell’azienda Jc per approfondire la vicenda, su cui va fatta immediata chiarezza. I cittadini italiani hanno diritto a conoscere la verità su quanto accaduto, nello specifico sulle gravi conseguenze economiche di certe scelte».
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)