2023-05-20
Giappone e Arabia: Zelensky si muove col «tour operator» targato Francia
Mohammad bin Salman e olodymyr Zelensky (Ansa)
Il presidente a Gedda con volo dell’Eliseo: mossa per indebolire gli Usa. Giallo sulla presenza al G7. Biden gli promette i caccia.A un certo punto era sembrato che avrebbe preso parte, nel fine settimana, al G7 di persona. Eppure il Consiglio per la sicurezza nazionale dell’Ucraina ha reso noto ieri che Volodymyr Zelensky dovrebbe partecipare soltanto in videoconferenza, anche se sono sempre più insistenti le voci di un suo arrivo a sorpresa, forse su un aereo francese. Ieri, il presidente ucraino si è invece recato in Arabia Saudita, dove ha parlato al vertice della Lega araba. Appena arrivato a Gedda, Zelensky ha dichiarato di voler «rafforzare le relazioni bilaterali» con Riad e i «legami dell’Ucraina con il mondo arabo», sostenendo inoltre che il governo saudita «svolge un ruolo significativo» su vari dossier. Più nel dettaglio, il presidente ucraino ha invocato sostegno per Kiev, non risparmiando qualche stoccata. «Purtroppo ci sono alcuni nel mondo e qui tra voi che hanno chiuso un occhio», ha detto ai suoi interlocutori arabi Zelensky, che ha anche incontrato il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman. Ora, ci sono alcuni elementi degni di nota. Innanzitutto, secondo Reuters, Zelensky sarebbe arrivato a Gedda con un aereo messo a disposizione dal governo francese. In secondo luogo, il summit della Lega araba di ieri è stato il primo a cui ha preso parte il presidente siriano, Bashar Al Assad, dopo ben 12 anni. Pochi giorni fa Damasco era stata infatti reintegrata nella Lega araba: una circostanza che, salutata con favore da Russia e Cina, aveva invece irritato gli Stati Uniti. In terzo luogo, a saltare all’occhio è anche il giallo sulla partecipazione di persona di Zelensky al G7, soprattutto dopo che quel consesso aveva annunciato «sanzioni coordinate» per indebolire ulteriormente la Russia. Infine, va tenuto presente come le relazioni tra Riad e Mosca non siano esattamente tese. È pur vero che a ottobre i sauditi hanno votato a favore di una risoluzione Onu che condannava l’annessione russa delle regioni dell’Ucraina orientale. Ed è altrettanto vero che in settembre Riad mediò un importante scambio di prigionieri tra Ucraina e Russia. Tuttavia non si può negare che la politica ostile a Riad dell’amministrazione Biden ha spinto i sauditi tra le braccia di Mosca e Pechino. L’anno scorso, Riad ha di fatto spalleggiato il Cremlino in sede Opec, mandando la Casa Bianca su tutte le furie. Era inoltre giugno 2022, quando il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, si recò in Arabia Saudita per incontrare gli omologhi del Consiglio di cooperazione del Golfo. Tra l’altro, proprio Mosca, secondo il Wall Street Journal, starebbe mediando il riavvicinamento tra Riad e Damasco. Senza poi dimenticare il ruolo cinese. Pechino ha infatti a sua volta mediato l’accordo diplomatico tra sauditi e iraniani (che stanno rifornendo i russi di droni contro Kiev), mentre a gennaio 2022 la Siria è entrata nella Belt and road initiative. Insomma, da quando Joe Biden è presidente, le relazioni tra Usa e Arabia Saudita sono diventate piuttosto turbolente. Alla luce di queste circostanze, è lecito farsi qualche domanda. Siamo sicuri che alla Casa Bianca abbiano apprezzato la partecipazione di Zelensky al summit della Lega araba? È singolare che il leader ucraino chieda sostegno ai Paesi arabi nello stesso summit che ha visto reintegrato Assad: quello stesso Assad che si è nettamente schierato con Vladimir Putin sulla questione dell’invasione dell’Ucraina. Bisognerebbe poi chiedersi come vada letto il coinvolgimento del governo francese nel viaggio saudita di Zelensky. Non è un mistero che, al di là delle dichiarazioni di facciata, l’Eliseo sposi sulla Russia una linea più morbida rispetto a Stati Uniti, Gran Bretagna e Polonia. Così come non è un mistero che Parigi punti storicamente a indebolire le relazioni transatlantiche per cercare di costruire una propria egemonia politica in sede europea. Nel 2019 Emmanuel Macron definì la Nato «cerebralmente morta», spalleggiando inoltre il filorusso Khalifa Haftar in Libia. Non si può insomma escludere che la Francia stia cercando di imbastire un’iniziativa politica in concorrenza rispetto agli Stati Uniti. Questo non significa che, in caso, Zelensky alla fine la accetterebbe di sicuro. Ma vuol dire che, se abbiamo ragione, tra Parigi e Washington potrebbe tornare a salire la tensione. D’altronde, non è chiaro quanto sia realmente sensato affidarsi alle iniziative politico-diplomatiche della Francia. Iniziative che Parigi coltiva tendenzialmente pro domo sua e che assai spesso si concludono con un buco nell’acqua. Basta rammentare le inutili telefonate dell’anno scorso di Macron a Putin. E intanto la reazione degli Stati Uniti non si è fatta attendere: la Casa Bianca darà il via libera alla consegna a Kiev di caccia militari, compresi gli F16, da parte di Paesi terzi e sosterrà «un’iniziativa congiunta volta ad addestrare i piloti ucraini».
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)