2024-09-28
L’Italia si prende l’agricoltura dell’Europa
Massimiliano Giansanti (Imagoeconomica)
Massimiliano Giansanti alla guida del Copa, l’organo che riunisce le imprese dell’Ue, è il primo connazionale nominato in 30 anni. «Bisogna tenere il passo di Cina e Usa, serve una riforma radicale della Pac». La Meloni: «Grazie alla coesione del nostro sistema». Un’agricoltura modello Italia è possibile. Oggi si chiude a Siracusa il G-7 dei campi con un significativo successo della piattaforma politica presentata dal nostro ministro per la sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, che pone quattro temi centrali riversati nel documento finale: la tecnologia e la ricerca per migliorare le produzioni in qualità e in quantità sviluppando l’agricoltura di precisione, il sostegno ai giovani, il rilancio della risorsa pesca e un rapporto paritario con l’Africa per contribuire allo sviluppo di quel continente. Ieri a Bruxelles dopo 30 anni un imprenditore italiano ha assunto la guida del Copa, l’organismo che riunisce la rappresentanza di tutti gli agricoltori europei. Insieme al Cogeca - che rappresenta le cooperative europee - è il primo interlocutore della Commissione. Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura - raggruppa circa 200.000 aziende che coprono il 45% della produzione nazionale - cinquantenne imprenditore romano che spazia dai kiwi al latte passando per il grano, assume la rappresentanza di 22 milioni di imprese agricole europee. Una tessitura diplomatica che è stata portata avanti dal ministro Lollobrigida, che ha siglato la pax agricola tra Confagricoltura e Coldiretti e ha consentito all’Italia di acquisire questa decisiva casella. La stessa presidente del Consiglio Giorgia Meloni si è congratulata col presidente di Confagricoltura sottolineando: «La riconosciuta esperienza di Giansanti e la coesione dimostrata dal sistema Italia e da tutte le organizzazioni agricole italiane - a partire da quelle con diritto di voto come Coldiretti, Confagricoltura e Cia - sono state decisive nella scelta. È un risultato molto importante che consente all’Italia di tornare dopo 30 anni ad esprimere la guida del Copa, organismo che riunisce le principali realtà del comparto e rappresenta decine di milioni di agricoltori europei. Ringrazio il ministro dell’Agricoltura Lollobrigida e le organizzazioni agricole per il grande lavoro che hanno portato avanti, e che hanno permesso di raggiungere quest’obiettivo». Il modello Italia significa quasi 1,6 milioni di imprese, 4 milioni di addetti, 70 miliardi di export il record di produzioni Dop e Igp, un moltiplicatore economico che porta l’agroalimentare a fatturare oltre 500 miliardi di euro, più o meno un quarto del Pil. L’Italia fa un passo avanti notevole nelle gerarchie europee senza contare che Raffaele Fitto - vicepresidente esecutivo della Commission europea - avrà la supervisione anche sulle politiche agricole. Massimiliano Giansanti, appena il plenum del Copa ne ha ratificato la nomina, ha posto l’accento sulla necessità di cambiare indirizzo alla politica comunitaria e di rimettere l’agricoltura al centro del progetto europeo. È convinto che questi siano gli anni decisivi per «una radicale riforma della Pac. Se pensiamo a un allargamento ulteriore dell’Europa, all’ingresso di nuovi stati membri, è necessario aumentare la dotazione della Pac ma anche cambiarne gli indirizzi per contrastare con efficacia gli effetti del cambiamento climatico». Secondo Giansanti la sfida che attende l’Europa «è quella di tenere il passo di Usa e Cina, che peraltro hanno budget molto più consistenti». Ma si può fare solo «agendo come una realtà coesa, così potremo competere negli scenari globali restituendo all’agricoltura europea la dignità che merita». Insomma, sembra di capire che serva un piano Draghi agricolo piuttosto che un Farm to Fork che mirava alla riduzione delle produzioni. «Oltre alla revisione della Pac, ha sottolineato Giansanti, «occorre difendere il reddito degli agricoltori e garantire reciprocità negli scambi commerciali con i paesi terzi: i nostri concorrenti devono essere allineati agli standard europei sulla sicurezza alimentare e sulle condizioni di lavoro». Da Bruxelles a Siracusa lo scenario non cambia, perché il ministro Francesco Lollobrigida - è stato il primo a congratularsi con Giansanti - ha subito chiesto alla Commissione di cassare l’obbligo a partire da quest’anno di mettere al riposo il 4% dei terreni agricoli. La Commissione aveva già ammesso che si trattava di un errore, ma Lollobrigida ha chiesto che si approvi subito la modifica della Pac, prevedendo una rotazione delle colture diversificata in base alle dimensioni delle aziende e al tipo di coltivazione. Perché come è emerso dal G-7 oggi l’Europa non si può permettere di rinunciare a produrre - va considerato che gli Usa hanno destinato al sostegno agricolo 1.040 miliardi di dollari contro i 386 miliardi di euro dell’Europa in sette anni - ma soprattutto non può continuare a importare senza condizioni di reciprocità (è il caso dei prodotti che arrivano dalla Cina che sta facendo dumping pur di vendere, o dal Brasile) per quel che riguarda gli standard di salubrità e qualità. È uno dei cardini dell’azione di Massimiliano Giansanti, ma è anche il modello agricolo italiano che si impone in Europa.
Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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