2023-05-13
Gheddafi tormenta ancora Sarkozy: chiesto il processo per corruzione
I giudici francesi vogliono mettere alla sbarra l’ex presidente Nicolas Sarkozy per i presunti finanziamenti libici per la campagna elettorale del 2007. Fondi che alimenterebbero i sospetti sui motivi dell’intervento armato che spodestò il rais Muammar Gheddafi.Decine di migliaia di migranti ammassati alla frontiera dopo la scadenza della norma voluta da Donald Trump, e rinnovata da Joe Biden, per l’immediato respingimento dei clandestini. Lo speciale contiene due articoli. La Libia torna a perseguitare Nicolas Sarkozy. La Procura finanziaria nazionale ha chiesto il rinvio a giudizio per l’ex presidente francese e altre 12 persone. Secondo Le Figaro, i magistrati puntano a far sì che Sarkozy venga processato per corruzione passiva, associazione per delinquere, finanziamento illecito di campagna elettorale e occultamento di appropriazione indebita di fondi pubblici libici. In particolare, si ritiene che la campagna presidenziale di Sarkozy del 2007 avrebbe ricevuto svariati milioni di euro dal regime di Muammar Gheddafi. Bisognerà ovviamente vedere se le accuse, che sono sempre state respinte dall’ex capo di Stato francese, verranno provate. La decisione finale spetta ai giudici istruttori competenti sul dossier, aperto nel 2013. Resta però il fatto che questa richiesta di rinvio a giudizio sembra rendere più fondato il sospetto che Sarkozy abbia scatenato la guerra in Libia del 2011 per ragioni non esattamente cristalline, nonostante ne avesse sempre fatto pubblicamente una questione di natura umanitaria. A pensar male, si potrebbe ipotizzare che, alla base di quell’intervento, l’allora presidente francese volesse eliminare le prove dei presunti finanziamenti elettorali ottenuti da Gheddafi. D’altronde, documenti che sembravano provare l’esistenza di tali finanziamenti erano stati pubblicati da Mediapart tra marzo e aprile 2012, pochi mesi, cioè, dopo la morte del rais. Come che sia, i sospetti sulle reali intenzioni di Sarkozy nell’intervento libico vanno al di là della questione dei presunti finanziamenti. Del resto, che Gheddafi fosse una figura controversa e pericolosa era noto dagli anni Settanta. Eppure, durante i primi anni di presidenza, Sarkozy non disdegnava affatto di tenere stretti rapporti con lui. Nel dicembre 2007, l’allora inquilino dell’Eliseo difese una visita del rais in Francia (la prima in 34 anni), dicendo: «Gheddafi non è percepito come un dittatore nel mondo arabo». «Condivido la convinzione che la Francia debba dialogare con tutti restando ferma sui valori che sostiene», aggiunse. Fu durante quella visita che, secondo Reuters, vennero siglati accordi dal valore di 10 miliardi di dollari relativi ad aerei Airbus ed energia nucleare. Il cambio di rotta di Sarkozy arrivò con lo scoppio della guerra civile libica nel 2011, a poco più di un anno dalle successive presidenziali francesi, in cui l’allora inquilino dell’Eliseo sarebbe stato alla fine sconfitto da Francois Hollande. Del resto, non mancano fondate ipotesi sulle ragioni machiavelliche che potrebbero essere state alla base della svolta di Sarkozy. Una di queste è che la Francia non vedeva di buon occhio il rapporto sempre più stretto tra Roma e Tripoli: rapporto che era stato sancito dal trattato di Bengasi, firmato da Silvio Berlusconi e dallo stesso Gheddafi nell’agosto 2008. Un’altra questione riguarda un controverso memo che, ad aprile 2011, l’allora segretario di Stato americano, Hillary Clinton, ricevette dal suo consigliere, Sidney Blumenthal. Secondo tale documento, Sarkozy avrebbe voluto abbattere Gheddafi per impedire il suo progetto di creare una valuta africana, volta a contrastare il franco Cfa. E proprio la Clinton fu negli Usa, insieme a Samantha Power, il principale fautore dell’intervento bellico in Libia. Barack Obama era inizialmente restio e avrebbe non a caso definito poi quell’intervento come il peggior errore della sua presidenza. Nonostante il disastro che ne è seguito, la Clinton ha sempre continuato a dire di aver fatto la cosa giusta. Sulla stessa linea si è collocata la Power, che tuttavia - bontà sua - ha almeno ammesso una sottovalutazione degli scenari legati al post Gheddafi. Inoltre, a marzo 2016, la rivista Foreign Policy sostenne che «in verità, l’intervento libico riguardava il regime change fin dall’inizio». Ricordiamo che pezzi dell’amministrazione Obama spalleggiavano le cosiddette «primavere arabe» nella convinzione che sarebbero sorti governi liberaldemocratici in Nord Africa: una strategia d’ingegneria politico-istituzionale, tipicamente dem, poi rivelatasi fallimentare. «Sarkozy aveva interessi e motivi personali, forse inconfessabili, per eliminare un personaggio scomodo; la Clinton, evidentemente, non supportata adeguatamente dalla sua intelligence, ha aderito a un’iniziativa che si è rivelata catastrofica per il Maghreb e per l’Africa subsahariana», ha detto alla Verità Alberto Michelini, rappresentante personale per il G8-Africa dell’allora premier, Silvio Berlusconi. «Gheddafi, peraltro uno dei maggiori sostenitori dell’Unione Africana, nonostante i difetti e gli errori, era l’unico in grado di tenere assieme il complicato sistema tribale di cui dovrebbe tenere conto chiunque guardi all’Africa», ha aggiunto. Effettivamente l’aver abbattuto Gheddafi senza un piano per il dopo si è alla fine rivelato un boomerang sia per la Francia sia per i dem americani. Da una parte, le armi degli arsenali del rais sono spesso finite nelle mani dei jihadisti che hanno poi destabilizzato il Sahel, indebolendo l’influenza di Parigi nell’area; dall’altra, la Libia è finita nel caos, mentre la parte orientale del Paese è scivolata nell’orbita russa. Se la storia, come diceva Marco Tullio, è realmente maestra di vita, quanto accaduto deve farci finalmente capire che non è il caso di accettare lezioncine sui diritti umani dai dem Usa o dal presidente francese di turno. Quando queste lezioncine arrivano, si ricordi loro che cosa hanno combinato Sarkozy e la Clinton in Libia. O si ricordi che, nel 2020, qualcuno ha conferito la Legion d’onore ad al-Sisi. Citofonare a quello spirito umanitario di Emmanuel Macron per i dettagli. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/gheddafi-tormenta-ancora-sarkozy-2660095045.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="marea-umana-al-confine-usa-messico" data-post-id="2660095045" data-published-at="1683970608" data-use-pagination="False"> Marea umana al confine Usa-Messico Una bomba migratoria incombe sugli Stati Uniti. Giovedì notte, è scaduto il Titolo 42: una norma che, introdotta a marzo del 2020 dall’amministrazione Trump, rendeva possibile espellere celermente gli immigrati clandestini per ragioni legate alla pandemia. Sono state circa 2,7 milioni le espulsioni complessive avvenute sulla base di questo dispositivo.Man mano che la data di scadenza si avvicinava, numeri imponenti di migranti si sono recati al confine meridionale degli Stati Uniti: circa 10.000 persone al giorno. Non solo. Nella serata di giovedì, le strutture per l’accoglienza erano già piene. È in questo quadro che, la settimana scorsa, Joe Biden aveva annunciato che avrebbe inviato 1.500 miliari alla frontiera, portando così il numero complessivo dei soldati schierati in loco a 4.000 unità. Nel pomeriggio italiano di ieri, la Cnn riferiva inoltre di «decine di migliaia di migranti ammassati nel nord del Messico», mentre varie contee del Texas meridionale avevano da poco dichiarato lo stato di calamità. Secondo Nbc News, le autorità texane si stavano preparando ad aprire la diga di Caballo. Nel frattempo il nodo è già diventato politico. Non è del resto un mistero che l’immigrazione clandestina abbia sempre rappresentato una spina nel fianco per l’attuale presidente. Basti pensare che lo scorso anno fiscale statunitense si è concluso con il record storico di arrivi di clandestini alla frontiera meridionale. Tuttavia adesso il quadro rischia di peggiorare sensibilmente. E le polemiche non mancano. Il Gop accusa il presidente di lassismo e di aver contribuito così ad alimentare gli arrivi di migranti irregolari. «Joe Biden, questo è colpa tua», ha tuonato giovedì sera il senatore repubblicano del Texas, Ted Cruz. «Se le persone vengono uccise attraversando illegalmente il confine, è colpa tua», ha continuato, per poi aggiungere: «Se le donne subiscono abusi sessuali attraversando illegalmente la frontiera, è colpa tua». Tuttavia, l’inquilino della Casa Bianca si sta trovando in difficoltà anche a sinistra. La sua amministrazione ha infatti appena introdotto delle restrizioni alla possibilità di concedere asilo: restrizioni contro cui ha fatto ricorso l’organizzazione progressista, American Civil Liberties Union. Più in generale, parte della sinistra americana sta accusando Biden di aver adottato delle politiche migratorie eccessivamente in continuità con quelle di Donald Trump. Infine, ma non meno importante, un giudice federale della Florida nominato proprio da Trump, T. Kent Wetherell, ha bloccato giovedì sera una misura che consentiva il rilascio rapido dei migranti con «libertà condizionale»: una misura che era stata introdotta per gestire il sovraffollamento e contro cui aveva fatto ricorso il governatore della Florida, Ron DeSantis. Neanche a dirlo, la decisione del togato è stata accolta con profondo disappunto dall’amministrazione Biden. Per il presidente quello che sta accadendo alla frontiera è un problema rilevante. E potrebbe danneggiare le sue chances di rielezione.
«The Iris Affair» (Sky Atlantic)
La nuova serie The Iris Affair, in onda su Sky Atlantic, intreccia azione e riflessione sul potere dell’Intelligenza Artificiale. Niamh Algar interpreta Iris Nixon, una programmatrice in fuga dopo aver scoperto i pericoli nascosti del suo stesso lavoro.