2018-04-11
In Germania c’è una legge vergogna che permette la poligamia islamica
Pure in Germania il dibattito si apre, anzi divampa, dopo che Markus Soeder, governatore della Baviera ed esponente di punta della Csu (partito bavarese gemello della Cdu di Angela Merkel), ha chiesto di modificare la legge tedesca che di fatto ammette la poligamia, attraverso il riconoscimento dei matrimoni multipli celebrati all'estero.In questa polemica, giocano certamente anche fattori contingenti di politica interna. Il partitone di governo tedesco non è in buona salute almeno per due ragioni. Da un lato, perché anni e anni di grande coalizione con i socialdemocratici hanno trasmesso ai cittadini il senso di un «governo cartello», di una maggioranza non contendibile, e di un eccessivo abbraccio tra centrodestra e centrosinistra. E dall'altro, perché la sconsiderata apertura della Merkel a profughi e immigrati, come se la Cancelliera si ritenesse una versione teutonica della Statua della libertà, ha aperto un'autostrada alla formazione di destra dura dell'Afd, che proprio sul contrasto all'immigrazione fuori controllo ha giocato le sue carte più efficaci.Ora, alcuni esponenti della Cdu-Csu cercano di riequilibrare la situazione, di contendere il terreno all'Afd. Si tratta di capire se non sia troppo tardi. Certo, l'idea del semaforo verde alla poligamia dà veramente la sensazione di uno smarrimento profondo: come occidentali, al di là di ogni considerazione religiosa o confessionale.Indubbiamente, il tema giuridico si pone, e non dubito che - in termini di diritto - qualche soluzione vada pur cercata, per evitare che alcune situazioni familiari restino pericolosamente confinate nella clandestinità. Anche nel Regno Unito, esistono forme di riconoscimento parziale di matrimoni multipli precedentemente contratti: ma solo ai fini dell'accesso ad alcuni e limitati profili di welfare, senza accesso a trattamenti pensionistici, e meno che mai ai fini dell'acquisizione della cittadinanza.Qui, invece, sembra esserci qualcosa in più, un pericoloso salto di qualità. L'idea che l'integrazione debba portare con sé un cedimento culturale totale all'islam, la rinuncia a un perimetro di principi. Non si tratta - si badi bene - di pretendere che i princìpi religiosi giudaico-cristiani diventino automaticamente norma giuridica da imporre a tutti: il punto - al contrario - è evitare che sia proprio la sharia a farsi legge laica imposta all'intera cittadinanza tedesca, francese, e magari in futuro italiana.È la trappola del multiculturalismo, in cui gran parte dell'Occidente è inesorabilmente caduto: l'errata convinzione che si possano integrare le comunità in quanto tali, recependone in toto i costumi, cedendo porzioni di territorio, ammettendo logiche normative confuse e - per così dire - «miste», illudendosi che questo arretramento occidentale sia funzionale al quieto vivere e alla convivenza.Doppio errore. In primo luogo, perché occorre mettersi in testa un'elementare verità: dobbiamo integrare gli individui, non le comunità. Dobbiamo integrare le persone, non dei gruppi che abbiano la pretesa di imporre - in modo illiberale - precetti religiosi più o meno scivolosamente trasformati in norma giuridica.E in secondo luogo, perché, se anche una maggioranza politica momentanea riesce a imporre una legge di questo tipo, di apertura eccessiva e scriteriata, il tessuto sociale nazionale (tedesco, francese, eccetera) non la accetta, reagisce e si difende in qualche modo, non dà vero e pieno riconoscimento alle comunità islamiche.Anzi. Anche psicologicamente, si alimenta un meccanismo doppio e pericoloso: da un lato, lo Stato che concede qualcosa di troppo all'islamico; dall'altro, una società che continua a diffidare di lui, innescando proprio la dinamica di rancore e voglia di vendetta che è stata tipica della storia personale di giovani inglesi, francesi, belgi, divenuti terroristi islamisti. Ecco perché accelerare su questa strada legislativa è una pessima idea.Lo dico pensando anche all'Italia. Se per ora (incrociando le dita) ci siamo risparmiati un attacco terroristico, lo si deve certamente al gran lavoro di intelligence da parte di servizi di sicurezza e forze dell'ordine, oltre che al fatto che siamo generalmente considerati un paese di transito, ma soprattutto lo si deve alla circostanza che il numero degli islamici radicalizzati è ancora complessivamente basso, che non abbiamo (per fortuna!) quartieri stile Molenbeek che possano fungere da bunker impenetrabile, e che sono ancora contenuti i numeri degli immigrati di seconda e terza generazione. Dunque, cedimenti e norme «tedesche» di questo tipo andrebbero in una direzione che va assolutamente evitata.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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