2023-03-28
Gentiloni va a Tunisi, ma ha poco da offrire
Paolo Gentiloni e Nabil Ammar in Tunisia (Ansa)
Dopo un primo momento di dubbi, il commissario europeo ha incontrato il presidente Kaïs Saïed. Il Paese nordafricano chiede denaro per affrontare la crisi economica e fare le riforme. Antonio Tajani: «Se Ue e Fmi non intervengono, si rischia che lo facciano Russia e Cina».L’Ue inizia a muoversi sul dossier tunisino. Il commissario europeo per gli affari economici, Paolo Gentiloni, si è recato ieri in Tunisia, dove, oltre a vari alti funzionari del Paese, ha incontrato il presidente Kaïs Saïed: un faccia a faccia che sembrava destinato a saltare in un primo momento, ma che ha poi comunque avuto luogo, anche grazie alle pressioni dell’Italia. Nei colloqui si è discusso dei problemi migratori in corso e di un eventuale sostegno economico in favore di Tunisi. «Non lasceremo sola la Tunisia», ha promesso Gentiloni.D’altronde, la crisi migratoria sta diventando sempre più urgente. Tanto che, pochi giorni fa, si è addirittura formato un inedito asse tra Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron su questo dossier. È in un simile quadro che, il mese prossimo, si recherà in Tunisia il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, insieme all’omologo francese, Gerald Darmanin, e al commissario europeo agli Interni, Ylva Johansson: un viaggio che, oltre ad aiuti economici, potrebbe garantire al Paese nordafricano una fornitura di motovedette e l’addestramento di personale per la sicurezza. Più in generale, non si può escludere che Bruxelles punti a siglare con Tunisi un accordo migratorio simile a quello firmato nel 2016 con Ankara a seguito della crisi siriana. La Tunisia è attraversata da una significativa instabilità, le cui cause sono politiche e socioeconomiche. A inizio marzo, alcune centinaia di manifestanti sono scesi in piazza per esortare Saïed a rilasciare dei prigionieri politici. Il fronte dell’opposizione è attualmente guidato da Ennahda: partito vicino alla Fratellanza musulmana che, dopo essere stato per lungo tempo al potere sulla scia della Rivoluzione dei gelsomini, è stato scalzato a luglio del 2021 da Saïed, che sospese il parlamento, avocando a sé l’autorità esecutiva. Si registrano inoltre flussi migratori dall’area sub-sahariana che, a febbraio, lo stesso Saïed aveva definito frutto di «un’impresa criminale nata all’inizio di questo secolo per cambiare la composizione demografica della Tunisia». Parole che gli avevano attirato le critiche dell’Unione africana. Nel frattempo, l’inflazione resta alta e i beni di prima necessità scarseggiano, mentre le trattative tra Tunisi e il Fmi per ottenere un prestito da 1,9 miliardi di dollari sono in stallo: uno stallo principalmente dovuto al fatto che Saïed sembra riluttante ad attuare le riforme richieste come requisito per accedere a questo denaro. Una simile situazione sta accrescendo l’instabilità nel Paese, favorendo i flussi migratori verso le coste italiane. In questo quadro, l’ambasciatore francese in Tunisia, André Parant, ha offerto al Paese il sostegno finanziario di Parigi. Su una linea simile si è collocato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. «Noi sosteniamo una soluzione di compromesso: dare un primo sostegno, perché i tunisini affermano che senza soldi non possono fare le riforme. Se poi non intervengono la Ue o il Fmi e intervengono la Cina o la Russia come la mettiamo?», ha dichiarato il titolare della Farnesina, esortando inoltre a non commettere «l’errore di lasciare la Tunisia ai Fratelli musulmani». La preoccupazione espressa da Tajani è tutt’altro che infondata. Russia e Cina stanno da tempo consolidando la propria influenza sul Nord Africa. E la Tunisia rischia di non fare eccezione. A dicembre, Saïed incontrò Xi Jinping a Riad per rafforzare la cooperazione, Tajani ha ragione poi anche sul pericolo rappresentato dai Fratelli musulmani. L’amministrazione Biden si sta mostrando ambigua sul dossier tunisino. Sollecita, sì, un accordo tra Tunisi e il Fmi, ma sembra assecondare la linea dura di quest’ultimo, tendendo inoltre a rimarcare le preoccupazioni sul carattere autoritario di Saïed. Ora, che il presidente tunisino sia una figura controversa e da monitorare, è fuor di dubbio. Tuttavia i dem al potere oggi negli Usa sono fondamentalmente gli stessi che, nel 2011, ai tempi di Barack Obama, sostennero le primavere arabe, quelle primavere che, anziché portare democrazia, hanno destabilizzato il Nord Africa, rafforzando all’epoca i Fratelli musulmani: non esattamente un esempio di liberalismo. A gennaio 2021, The Arab weekly riportò come vari esponenti della Fratellanza avessero espresso soddisfazione per l’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca, visto che Donald Trump aveva avuto stretti rapporti con la monarchia saudita, che di questa organizzazione era acerrima nemica. L’attuale governo italiano ha compreso da tempo che, per risolvere la questione dei flussi migratori, è necessaria una stabilizzazione dell’area nordafricana. Gli scogli da superare sono due. Primo: l’Ue continua a rivelarsi un attore geopolitico debole nel Mediterraneo e questo dovrebbe spingere a un rapido cambio d’approccio dalle parti di Bruxelles. Secondo: ben venga la sponda tra Roma e Parigi, ma si faccia attenzione. Nell’ultimo decennio, la Francia ha infatti spesso giocato partite pro domo sua nel Mediterraneo, entrando non di rado in conflitto con i nostri interessi (si pensi soltanto alla Libia). Il punto su cui Roma dovrebbe quindi maggiormente insistere è quello di un rilancio del fianco meridionale della Nato: un rilancio che consenta all’Italia, grazie anche alla sponda atlantica, di controbilanciare le ambizioni francesi nell’area, arginando al contempo l’influenza di Mosca e Pechino sul Mediterraneo allargato. L’attuale Casa Bianca dovrebbe capirlo in fretta. Lasciare sola Roma sul dossier tunisino significherebbe aumentare l’instabilità nell’area. Russi e cinesi non aspettano altro.