2022-01-15
La concertazione a Gedi: «Se vuoi pareri favorevoli cercati un comunista»
Carlo De Benedetti (Ansa)
I suggerimenti del legale a Monica Mondardini, indagata per truffa all’Inps . E l’ex ad su Carlo De Benedetti: «Con Conte non ha sponde».C’è una frase dell’ex ad di Gedi, Monica Mondardini, che sintetizza meglio di qualsiasi articolo o saggio quanto concesso in questo Paese alla borghesia sedicente progressista in nome di una sorta di concertazione permanente, in tutti i settori, anche quello penale. In questo caso la manager è in difficoltà visto che la sua azienda ha appena subito una perquisizione a tappeto da parte di decine di finanzieri a caccia della prova di una truffa ai danni dello Stato che, secondo i pm, andava avanti da anni. E allora la Mondardini va alla ricerca di un parere pro veritate di un qualche insigne studioso che possa dare ragione all’azienda. Insomma ai «padroni». E l’avvocato di turno, un fidato consigliere, offre la soluzione: «Andare da un comunista». Perché è così che funziona tra i grandi capitalisti: se flirti con la sinistra troverai sempre qualcuno pronto a spalleggiarti, anche nelle situazioni più intricate. Un assunto dimostrato, in questa inchiesta, anche dal ruolo del sindacato e in particolare della Cgil nell’offrire scivoli (illeciti per la Procura) ai dipendenti e agli stessi sindacalisti, in cambio della copertura politica. Che, nel nostro caso, è arrivata al punto di falsificare i libretti di lavoro e di cercare di zittire i testimoni, sotto la regia dell’azienda.Molti pasticci sono stati combinati per mandare in pensione i poligrafici, beneficio ottenuto dai dipendenti riscattando «quasi perfettamente» i mesi necessari a ottenere lo scivolo con i soldi dell’azienda, mesi di lavoro ricostruiti in modo truffaldino sbianchettando i libretti di lavoro o le loro copie conformi, ritocchi «tesi ad attestare falsamente l’effettività dei periodi lavorativi in questione». Ma alla fine «è emerso che nessuno dei soggetti esaminati dalla polizia giudiziaria ha effettivamente lavorato presso le sedi dichiarate all’Inps» o, se lo avevano fatto, era accaduto per «un periodo di molto inferiore rispetto a quello poi riscattato». Una vicenda per cui il giudice individua la complicità dell’azienda: «È di tutta evidenza il coinvolgimento dell’ufficio del personale che custodiva tali libretti». Gli inquirenti si sono trovati di fronte a una specie di catena di montaggio. Per esempio, nel 2014, alla Rotocolor 21 prepensionati su 26 fecero ricorso ai riscatti contributivi e 13 lasciarono il lavoro lo stesso giorno. «Tale elemento suscitava forti perplessità in ordine alla bontà dell’accordo sindacale», conferma il giudice, anche perché alla data dell’accordo la ditta non avrebbe avuto dipendenti «con i requisiti necessari all’ottenimento della pensione anticipata». Emblematica la situazione di Anna Piludu, che ha riscattato 160 settimane. Anche nel suo caso sarebbe stata depositata all’Inps una copia falsa dell’attestato sostitutivo del suo libretto di lavoro. La donna, davanti ai magistrati non ha riconosciuto la sua grafia sui documenti consegnati all’ente previdenziale e quanto al posto di lavoro indicato sull’attestato è stata ancora più tranchant: «Dichiaro di non aver mai lavorato in questa ditta né l’ho mai sentita nominare».La Piludu sarebbe salita su questa giostra infernale grazie a un sindacalista: «Ricordo che nel 2009, un responsabile sindacale iscritto alla Cgil, che lavorava presso la mia stessa azienda, il gruppo L’Espresso, in qualità di addetto all’archivio fotografico, credo che fosse Danilo Di Cesare ed aveva più o meno la mia stessa età, propose, a me e ad altri iscritti alla stessa sigla sindacale, di poter andare in prepensionamento. Quindi mi chiese di richiedere all’Inps il calcolo degli anni contributivi mancanti, anche se non ricordo di aver fatto personalmente tale richiesta, né tantomeno di essermi recata presso una sede Inps». Alla fine con Di Cesare ha incontrato l’ex vice capo del personale Romeo Marrocchio che le ha fatto firmare una scrittura privata e le ha anticipato i 49.000 euro necessari al riscatto.Per gli inquirenti il lavoro «sporco» sarebbe stato realizzato non dai lavoratori, ma da manager e sindacalisti. Scrive il giudice: «La Cigs e il prepensionamento previsti dalla Legge 416/81 per il settore Editoria, come ampiamente illustrato, fondano parte delle proprie procedure sulla concertazione da porre in essere con le organizzazioni sindacali». Le attività di indagine «hanno messo in evidenza il ruolo importante ricoperto dalle figure degli Rsu/Rsa interni all’azienda». Anche dopo l’inizio delle indagini, la sospensione delle pensioni sub judice e la notifica dei primi avvisi di garanzia. Per esempio il già citato Di Cesare, durante le investigazioni, si sarebbe interfacciato «costantemente» con i «riscattati dei quali avrebbe curato le pratiche» per evitare di finire lui e far finire loro nei guai giudiziari, a causa della «predisposizione dei documenti falsi».Molto attiva anche un’altra ex rappresentante della Cgil andata in pensione da molti anni. Si tratta di Maria Fidalma Mazzi, la quale ha lavorato per il gruppo editoriale dall’1 gennaio 1979 al 30 giugno 2002, quando è stata prepensionata all’età di 54 anni. La donna avrebbe fatto, secondo il gip, «da raccordo tra tutti coloro che hanno illecitamente riscattato periodi contributivi, anche fornendo loro una serie di suggerimenti tesi a fuorviare le indagini ed inquinare il quadro probatorio». Nelle conversazioni captate «dimostra di conoscere perfettamente sia il sistema di frode adottato che coloro che si sono adoperati per produrre i documenti falsi» e, addirittura, cita due presunti falsari, esclamando: «Perché il problema è che lui faceva il libretto e… vero, qui se hanno fatto la fotocopia sono cazzi amari!».Secondo il giudice gli accertamenti «hanno messo in evidenza i tentativi posti in essere per cercare di raggruppare tutti gli ex dipendenti che hanno avuto problemi con l’Inps o con la Procura per dare loro indicazioni su cosa dire alla polizia giudiziaria e su come comportarsi in generale, temendo che qualcuno, le cosiddette “schegge impazzite”, non opportunamente istruito, potesse riferire fatti penalmente rilevanti». Per questo sarebbero stati organizzati briefing in cui condividere le «strategie difensive comuni incentrate su false dichiarazioni». Nel decreto di sequestro nei confronti del gruppo Gedi il giudice evidenzia che «l’unica dipendente non raggiunta in tempo, la citata Anna Piludu è quella che ha fornito informazioni alla p.g. in sede di interrogatorio». Successivamente, la Mazzi, una volta contattata la Piludu, si sarebbe «premurata di conoscere le dichiarazioni rese, sottolineando in modo risentito il fatto che non l’avesse contatta prima di essere interrogata».Molto critici con la Piludu anche Di Cesare e un certo Vincenzo Di Martino, ex dipendente dell’Ansa. Le indagini hanno consentito di apprendere che c’erano referenti sindacali anche all’esterno del gruppo, come Di Martino (che, dal 2001, avrebbe percepito 663.000 euro di pensione), i quali si sarebbero «prodigati per trovate le società fittizie da indicare nelle domande di rendita vitalizia». Ma non sempre azienda e sindacato marciavano compatti. La Mazzi, per esempio, in un’intercettazione, fa capire che a loro non preoccupa la storia dei dirigenti demansionati di cui non si sono occupati direttamente: «Quelli sono cazzi loro, eh, mica nostri…». Quindi esprime lo stupore per lo stato di crisi concesso a Repubblica: «Mi disturba e mi sconvolge che gli hanno ridato la solidarietà […] allora se tu non hai diritto a quei tempi nemmeno a fare i prepensionamenti perché non c’era lo stato di crisi adesso gli ridai la solidarietà? Cioè voglio dire è strano tutto ciò». Sono stati iscritti sul registro degli indagati e intercettati anche altri sindacalisti, come l’ex rappresentante della Cgil, Stefano Graziosi, Alessandro Cellarosi e Massimo Moresi, rispettivamente ex Rsu Uil e Cisl. Per il giudice i rappresentanti sindacali sarebbero stati «pertanto a conoscenza delle diverse tipologie di truffa». Anche i «comunisti». Che, nel gruppo Gedi, quando serviva, erano pronti a dare una mano. Financo al padrone.
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