2025-04-18
A Parigi Kiev compra la contraerea degli Usa
Emmanuel Macron e Marco Rubio (Ansa)
Macron prova ad accreditarsi come leader europeo con l’America. Ma l’incontro dei volenterosi alla presenza di Rubio non dà risultati. Gli ucraini accusano Mosca di ricevere aiuti dalla Cina. Il tycoon: «Muoiono 2.500 persone al giorno: ora basta».Domani a Roma il vertice Iran-Stati Uniti. «New York Times»: «Donald fermò Bibi».Lo speciale contiene due articoli.A Parigi ieri si sono intensificati i colloqui per cercare una soluzione diplomatica alla guerra in Ucraina, ma dal vertice dei cosiddetti «volenterosi» è emerso ancora una volta come l’Occidente si trovi nuovamente a fare i conti con l’impasse di un processo di pace che non riesce a fare progressi concreti.Nella capitale francese, la coalizione capitanata da Emmanuel Macron si è riunita per discutere di un piano di pace e rilanciare l’ipotesi ambiziosa ma divisiva di una forza multinazionale da schierare in Ucraina per garantire sicurezza e avviare un cessate il fuoco. Proposta che, tuttavia, non ha trovato un consenso unanime, né all’interno dell’Europa né tra gli alleati americani. Alla riunione che si è svolta all’Eliseo hanno preso parte rappresentanti di Regno Unito, Germania, Ucraina e - per la prima volta in questa cornice - due figure vicine a Donald Trump, il senatore Marco Rubio e l’inviato speciale Steve Witkoff. La loro presenza segna la volontà americana di mantenere aperto il canale con l’Europa, ma arriva in un clima tutt’altro che unitario in cui si susseguono dichiarazioni di intenti, proclami che puntano alla pace, ma che nei fatti non hanno ancora prodotto risultati tangibili. La Russia ha fatto sapere di considerare l’iniziativa franco-britannica come il tentativo europeo di prolungare la guerra e ha bollato il vertice di Parigi come «folle». A entrare nel merito è stata la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova: «Il piano della coalizione dei volenterosi per un contingente multinazionale di pace in Ucraina è folle». Zakharova che ha inoltre posto l’accento sulle divisioni all’interno dell’asse occidentale: «La maggior parte dei membri della coalizione dubita della fattibilità di questo intervento militare senza il sostegno degli Stati Uniti. E Washington non sarà ancora coinvolta in una simile avventura». Anche l’ex presidente russo e attuale numero due del Consiglio di sicurezza nazionale, Dmitry Medvedev, con il suo consueto sarcasmo, ha tuonato: «Apparentemente il vertice della cricca fascista dell’Ucraina è arrivato a Parigi per colloqui con Regno Unito, Germania e Francia su quante bare saranno pronti ad accettare dopo lo schieramento di truppe della coalizione dei volenterosi». Cremlino che, attraverso le parole del portavoce Dmitry Peskov, ha ribadito con forza le sue condizioni per raggiungere un accordo: la pace passa solo attraverso i colloqui diretti con Washington e prevede il riconoscimento delle quattro regioni occupate - Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia - come parte integrante della Russia. Dal consigliere di Vladimir Putin, Yuri Ushakov, è filtrata invece la notizia secondo cui Mosca e Washington starebbero lavorando a una nuova telefonata tra lo zar e Trump: «Se ne sta discutendo, ma non c’è ancora un’intesa», ha detto Ushakov.E mentre a Parigi si è discusso ancora una volta di escalation militare sotto l’etichetta della pace, a Washington Trump ha incontrato Giorgia Meloni accogliendola come «una grande leader» e annunciando di voler lavorare con lei per porre fine alla guerra: «Muoiono 2.500 persone al giorno in Ucraina. Se possiamo salvarle insieme sono felice», ha detto il tycoon a margine dell’incontro con il premier italiano. Una dichiarazione che potrebbe avere il sapore della beffa diplomatica per i volenterosi macroniani, ancora alle prese con riunioni interlocutorie e proposte respinte. Macron, a conclusione del vertice - a cui hanno partecipato tra gli altri il consigliere per la sicurezza nazionale della Gran Bretagna, Jonathan Powell, l’omologo tedesco, Jens Plotner, il capo di gabinetto ucraino, Andriy Yermak, e i ministri degli Esteri e della Difesa di Kiev, Andriy Sybiha e Roustem Umerov - ha detto che l’incontro tra le delegazioni di Stati Uniti, Unione europea e Ucraina è stato «un’importante opportunità per raggiungere un consenso sul conflitto in corso». Al momento però, l’unica certezza è che, al netto delle dichiarazioni, il conflitto continua: a Dnipro i droni russi hanno ucciso tre civili, a Zaporizhzhia le truppe di Mosca hanno lanciato un’offensiva su larga scala inviando 320 caccia e decine di mezzi di equipaggiamento.Volodymyr Zelensky, che ha esortato la comunità internazionale a «fare pressione sugli assassini» e a porre fine a una guerra che «solo la forza può fermare», ha lanciato una stoccata a Witkoff, accusandolo di aver adottato la strategia russa e di difendere le narrazioni di Mosca. Nonostante il voto contrario degli Stati Uniti alla risoluzione dell’Assemblea generale dell’Onu che condanna l’aggressione russa, il leader ucraino si è detto pronto a firmare con Washington il discusso accordo sulle terre rare (confermato ieri anche da Trump) e, contestualmente, ad acquistare almeno dieci sistemi di difesa aerea Patriot. Infine, ha acceso un nuovo allarme su una possibile collaborazione militare tra Pechino e Mosca: «Riteniamo che rappresentanti cinesi siano coinvolti nella produzione di alcune armi sul territorio russo».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/francia-usa-armi-ucraina-2671798299.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="nucleare-liran-cambia-mediatore-e-scopre-che-trump-ha-fatto-da-scudo" data-post-id="2671798299" data-published-at="1744967547" data-use-pagination="False"> Nucleare, l’Iran cambia mediatore e scopre che Trump ha fatto da scudo A poche ore dall’inizio del vertice di Roma tra Usa e Iran il presidente iraniano, Masoud Pazeshkian, ha accettato le dimissioni di Mohammad Javad Zarif, ex capo negoziatore per l’accordo sul nucleare del 2015. «A causa di alcuni problemi, l’amministrazione non è più in grado di beneficiare delle preziose conoscenze ed esperienze di Zarif», si legge nella nota ufficiale diffusa martedì sera dalla presidenza. Al suo posto è stato nominato Mohsen Esmaeili, 59 anni, un politico moderato e stimato giurista, che assumerà il ruolo di vicepresidente per gli affari strategici. Tutto avviene dopo l’avvertimento lanciato da Rafael Grossi, direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), che si trova a Teheran: «Siamo in una fase cruciale di queste importanti negoziazioni e sappiamo che il tempo è limitato. Per questo sono qui: per contribuire a facilitare il processo», ha dichiarato. Mentre in un’intervista al quotidiano francese Le Monde, pubblicata mercoledì, Grossi ha aggiunto che l’Iran «non è lontano dal possedere la bomba atomica. C’è ancora molta strada da fare, ma dobbiamo riconoscere che la distanza si è accorciata». Il direttore generale dell’Aiea ha anche espresso l’auspicio che la sua agenzia possa essere coinvolta nel dialogo in corso tra Iran e Stati Uniti: «Non facciamo parte di questo confronto bilaterale tra Araghchi e Witkoff, ma non siamo spettatori indifferenti. Sanno bene che, in caso di accordo, sarà nostro compito verificarne l’attuazione». Ieri la televisione di Stato iraniana ha riconfermato che i prossimi colloqui sul nucleare si terranno domani a Roma, ma l’Oman continuerà a svolgere il ruolo di mediatore. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, impegnato in queste ore in un’intensa attività diplomatica con Riad e Abu Dhabi, avrà una serie di incontri separati con i protagonisti del dialogo: l’inviato speciale di Donald Trump, Steve Witkoff, il ministro degli Esteri omanita, Badr Albusaidi, e il capo della diplomazia iraniana, Abbas Araghchi. Nel corso della giornata Tajani vedrà anche Grossi. Cosa aspettarsi dall’incontro di Roma? Impossibile fare previsioni, tuttavia, va ricordato che gli Stati Uniti e Israele non vogliono in alcun modo che l’Iran si doti dell’arma nucleare mentre gli iraniani hanno detto più volte che «l’arricchimento dell’uranio è una nostra prerogativa e non è oggetto di questo negoziato». Si tratta di posizioni inconciliabili che potrebbero trovare un punto di incontro provvisorio solo se venisse concordato uno stop delle attività di Teheran di almeno un anno (periodo nel quale trattare). Ma la strada per un’intesa di questo tipo appare molto stretta. Attenzione anche ai silenzi tattici di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti che sul nucleare iraniano la pensano esattamente come gli Usa e Israele. A proposito dello Stato ebraico, si è appreso che aveva messo a punto un piano per colpire le infrastrutture nucleari iraniane già a maggio, ma l’operazione è stata sospesa. La ragione? Un cambio di rotta deciso da Trump che ha scelto di dare priorità alla diplomazia con Teheran (ieri, dopo il vertice con Giorgia Meloni, ha persino lodato il popolo iraniano). Lo ha rivelato mercoledì il New York Times, citando fonti di alto livello dell’amministrazione Usa. La svolta è maturata dopo mesi di dibattito alla Casa Bianca, durante i quali sono stati valutati attentamente i pro e i contro di un’azione militare rispetto a un negoziato. Alla fine, Trump ha deciso di non appoggiare l’iniziativa militare israeliana e ha incaricato i suoi collaboratori di riprendere i colloqui con Teheran, nella speranza di contenere le ambizioni nucleari iraniane. La decisione è stata comunicata personalmente al primo ministro Benjamin Netanyahu durante la sua visita a Washington a inizio mese ed è certo che non l’abbia presa bene. Ma gli israeliani fanno buon viso a cattivo gioco. Sono certi che l’Iran stia prendendo tempo, che Trump non concederà.