2024-07-09
La Francia andrà in rotta col Patto di stabilità
Qualsiasi governo nascerà si troverà con le mani legate dai vincoli europei su salari e pensioni. Inoltre dovrà affrontare i sindacati pronti a bloccare il Paese. In questo scenario è possibile riaprire i negoziati con Bruxelles per allentare l’austerità.In Francia una maggioranza che sa di minoranza e viceversa. Un governo che si regge grazie a un sottile fil di ferro. Di certo l’avanzamento della sinistra targata Jean-Luc Mélenchon sposterà gli equilibri verso pratiche fiscalmente lontane dalle ultime dichiarazioni della Bce guidata da Christine Lagarde. Insomma, c’è da spettarsi un ritocco dell’età pensionabile che potrebbe tornare a 60 anni, un aumento dei salari probabilmente a discapito del deficit e addirittura una politica di calmieramento dei prezzi. Non a caso ieri al di là della seduta di Borsa il rendimento dei titoli di Stato francesi, gli Oat, si è mosso in modo divergente.I rendimenti sono rimasti fermi generando una inversione della curva sul tratto 2-10 anni, a testimonianza del maggiore rischio percepito dai mercati sul breve termine. A fine seduta l’Oat scadenza a 2 anni è rimasto fermo al 3,16% segnato venerdì scorso. Sul segmento a lungo termine, invece, il tasso del bond francese decennale è sceso al 3,12% dal 3,16% rispetto alla chiusura della vigilia, con uno spread verso il Bund in calo a 60 punti stabile dai 63 del riferimento precedente. Tradotto? Gli investitori non si fidano di quanto possa accadere nei prossimi 12 mesi. D’altronde i dati macro di Parigi non viaggiano in acque tranquille. La somma tra debito pubblico e indebitamento familiare supera il 350% del Pil, inoltre il pacchetto di emissioni di debito è per il 45% in mano a fondi stranieri. Molto più dell’Italia la cui quota in mano a investitori esteri si ferma al 25%. La necessità per il prossimo governo francese, di qualunque colore, sarà rimettere in carreggiata il Pil e la produttività. Facilmente la strada oltre a essere in salita dovrebbe portare a un elevato numero di operazioni di privatizzazione degli asset e revisione del mondo del lavoro. Limare gli stipendi verso il basso?In Francia sarà molto più difficile che in Italia vista la propensione dei sindacati a paralizzare il Paese e picchiare i pugni sul tavolo delle trattative governative. Non solo. Emmanuel Macron cercherà di mantenere in vita il governo Attal, ma difficilmente riuscirà a non scottarsi senza un appoggio esterno dell’elettorato di Mélenchon. Nel 2025 l’Eliseo cercherà di salvare le pensioni e gli stipendi? Avrà una sola strada, cercare di far saltare il nuovo Patto di stabilità. Fresco fresco di approvazione rischia già di stare stretto e di influire sulle sorti politiche di Parigi molto più di quanto inciderà sul nostro governo. A noi verrà chiesto un aggiustamento di almeno 10 miliardi l’anno per sette anni. Dovremo avviare le gare europee delle spiagge e, soprattutto, mettere a terra la terribile riforma del Catasto, la stessa avviata da Mario Draghi e per fortuna mai autorizzata dal Parlamento. Purtroppo nulla di nuovo, ma stavolta (rispetto al vecchio Patto di stabilità) vale la pena ricordare che la morsa sarà meno stretta dal punto di vista numerico, ma più invasiva dal punto del controllo. L’ha spiegato più volte il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. «È finita l’era del dispendio del Superbonus e della spesa pubblica distribuita ai fini elettorali». In queste raccomandazioni, tuttavia, c’è un pericolo da non sottovalutare. Quando al termine della precedente legislatura il Parlamento fece saltare il progetto dell’esecutivo che mirava a una riforma digitale del Catasto e allo spostamento della tassazione da un piano reddituale a quello patrimoniale, l’Italia non aveva una spada di Damocle sulla testa. Il Patto era sospeso. Adesso le cose sono cambiate e immaginare che per non subire altri tagli si debba riformare il mondo dell’immobiliare e di fatto tassarlo ogni anno significherebbe trovarsi di fronte a un nuovo ricatto. Saremo liberi di tenere la linea? Questa è la domanda fondamentale che si somma alla seconda questione di peso: come sarà tornare ai tagli? Dopo le elezioni in Francia però gli equilibri sono cambiati e non poco. L’elemento positivo è che l’Italia non sembra più essere nel mirino della Ue. Né della Bce. O meglio non è il principale obiettivo. Si appresta a sostituire Roma una Parigi che agli occhi della Bce per tenere in equilibrio una alleanza così posticcia dovrà cercare in tutti i modi di sforare i nuovi parametri o nella migliore delle ipotesi spingere sulla Commissione entrante in modo che il periodo di rientro da sette anni venga ulteriormente diluito. Magari a dieci o 12 anni. A quel punto la Bce sarà quasi costretta a sostenere Parigi perché, se l’Italia era «too big to fail», figuriamoci la Francia che botto farebbe.
Sergio Spadaro e Fabio De Pasquale (Imagoeconomica)
Il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti (Imagoeconomica)
Iil presidente di Confindustria Emanuele Orsini (Ansa)