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2024-06-18
Grande Guerra: gli aviatori francesi e la difesa di Venezia
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Nieuport 23 della Escadrille 561 (M. Edouard Corniglion-Molinier) a Venezia-Lido nel 1917
L’Italia entrava in guerra il 24 maggio 1915. Il giorno stesso Venezia veniva attaccata dall’aviazione austro-ungarica nel quadro di un’operazione più ampia di bombardamenti navali e aerei lungo la costa adriatica, fino alle Marche. La mattina del primo giorno di guerra due idrovolanti nemici furono liberi di sorvolare la città lagunare e di sganciare alcune bombe, una delle quali esplose a poca distanza da Palazzo Ducale. La difesa aerea del patrimonio urbano e artistico della città sull’acqua era diventata così una priorità sin dalle prime ore della Grande Guerra. Non soltanto Venezia era un obiettivo per la vicinanza al fronte e il ruolo strategico sull’Adriatico, ma anche per il prestigio mondiale della città e per la quantità imponente di opere d’arte di altissimo valore, difficili da proteggere per la mancanza di scantinati in quasi tutto il territorio urbano dominato dalle acque. A sostegno dell’Italia Francia e Inghilterra si mossero per supportare l’alleato entrato nel conflitto un anno dopo l’inizio della guerra, con l’obiettivo di sopperire almeno in parte alle difficoltà logistiche che il Regio Esercito si trovò ad affrontare nei primi mesi di guerra. Parigi rispose alle necessità di difesa aerea della città di Venezia, inviando inizialmente un ridottissimo gruppo di idrovolanti. Si trattava di 6 FBA (Franco-British Aviation) con motore stellare Gnome et Rhone da 100 Cv. La base fu stabilita sull’isola di Sant’Andrea, poco a est dell’abitato di Venezia, dotata di un canale adatto all’ammaraggio e al decollo dei velivoli. Ufficialmente il gruppo CAM (Centre Aero-Maritime) nacque il 25 maggio 1915 sotto il comando del Tenente di Vascello Antoine Reynaud, che radunò 6 piloti e i tecnici distaccandoli dal Gruppo dell’Aviazione di Marina di Fréjus. A Venezia, fu posto sotto il comando italiano della Regia Marina. Oltre alla base di Sant’Andrea, il CAM ebbe un idroscalo avanzato a Porto Lignano allo scopo di sopperire ai problemi di autonomia degli aerei nelle previste sortite su Trieste e Pola. Il 14 giugno 1915 i piloti francesi ebbero il primo contatto con il nemico quando avvistarono un idrovolante austriaco in volo, senza tuttavia giungere allo scontro a fuoco. Due giorni più tardi un FBA riuscì a sganciare due bombe sul faro di Punta Salvore, nelle vicinanze di Trieste e il 22 dello stesso mese di giugno un idrovolante del CAM attaccava un cacciatorpediniere che incrociava al largo di Pola. Il 1° luglio, ai comandi del pilota Roulier, l’FBA numero «10» raggiungeva la baia di Trieste dove avvistava un sottomarino imperial-regio al largo di Pirano. Scesi a 15 metri dal pelo dell’acqua, Roulier e il marinaio Giorzo sganciavano tre bombe mentre il sommergibile si immergeva lasciando sulla superficie dell’Adriatico una scia di bolle. A Venezia la notizia fece scalpore e le prime pagine dei giornali la riportarono in tono trionfalistico. Durante l’estate del 1915 gli idrovolanti francesi si trovarono più volte ad affrontare le incursioni austriache sulla città che in alcuni casi ebbero successo, come quella avvenuta la notte del 24 ottobre 1915 con obiettivo la stazione ferroviaria. Le bombe nemiche colpirono la vicina chiesa degli Scalzi, dove andò perduto nell’incursione un prezioso affresco del Tiepolo. Durante l’attività di difesa del territorio della città lagunare, nonostante la perizia dei piloti che spesso si alzarono in volo assieme ad alcuni idrovolanti della Marina italiana, emersero tutti i limiti degli idrovolanti FBA, soprattutto nelle prestazioni e nello scarso armamento, limitato ad una sola arma brandeggiabile azionata dall’osservatore. Parallelamente ai compiti di caccia, proseguirono per tutto l’autunno del primo anno di guerra le sortite di attacco e ricognizione verso Trieste, con gli idrovolanti francesi e italiani che decollavano da un nuovo avamposto vicinissimo al fronte nelle acque di Grado (Udine). Il 1916 fu un anno tragico per il CAM di Venezia. Gli FBA, macchine fragili, mostravano ormai segni di usura. Già il 19 gennaio il pilota Ducuing si salvava per miracolo dopo un ammaraggio di fortuna dovuto a una «piantata» del motore nel mare tra Trieste e Grado. Nel giugno successivo un idrovolante austriaco pilotato dal tenente Banfield intercettava l’FBA francese su cui oltre al pilota Vaugeois aveva preso posto l’irredentista italiano Grammaticopoulo. Sotto il tiro delle raffiche nemiche dell’idrovolante «L 16», l’osservatore veniva ucciso sul colpo mentre Vaugeois ammarava sotto le raffiche, per poi tentare inutilmente un decollo verso Grado. Arresosi a Banfield, quest’ultimo riconobbe il valore del francese, portandolo a Trieste per un pranzo-interrogatorio cavalleresco. Anche l’arrivo a Grado di nuovi FBA con motore potenziato a 155 Cv non risolse il problema della superiorità delle macchine austriache. Alla metà del 1916 l’idrovolante di Banfield era diventato uno spauracchio per la città di Venezia, tanto da essere rinominato «lupo bianco» dagli italiani e dai francesi. Le difficoltà del CAM francese si resero del tutto evidenti quando il 15 agosto 1916 due FBA con motori Hispano Suiza da 155 Cv parteciparono ad un bombardamento su Trieste assieme agli italiani, la cui aviazione di Marina era notevolmente migliorata. A bordo dell’FBA n°308 trovò infatti la morte il pilota di punta del gruppo d’oltralpe, Roulier, che fu inseguito e abbattuto proprio dall’L-16 di Banfield precipitando nel golfo di Trieste. Ai suoi funerali a Venezia, Gabriele D’Annunzio lesse una lunga orazione in onore del pilota alleato. Alle difficoltà quotidiane che misero a dura prova i piloti francesi, si aggiunse la sorte avversa quando il 31 ottobre, durante i preparativi per un’incursione, una bomba si staccò accidentalmente dall’idrovolante n°321 uccidendo sul colpo 18 marinai e ferendone altri 17. Tra le vittime, il comandante Reynaud che fu sostituito nei giorni seguenti da André Woltz. Durante i primi mesi del 1917 il CAM di Venezia compì le sue ultime incursioni, tra cui alcune dall’esito soddisfacente su Pola e Parenzo, rafforzato dall’arrivo di sei nuovi apparecchi. Ma nel mese di aprile, durante l’inseguimento di un convoglio navale austriaco, cadeva anche il nuovo comandante Woltz, colpito dalle raffiche partite da un cacciatorpediniere. A pochi mesi da Caporetto, mentre i nuovi Macchi M.3 italiani si erano dimostrati validi e competitivi, gli FBA mostravano tutta la loro inadeguatezza al combattimento, tanto da essere ribattezzati dai marinai italiani con l’acronimo ironico di «FBA-Fate Bene Attenzione!». La storia del Centre Aero-Maritime di Venezia finì nel giugno del 1917, quando da Parigi, in accordo con le autorità italiane, si decise il suo scioglimento. Al cimitero di Venezia, sull’isola di San Michele, sono ancora oggi visibili le tombe dei piloti e dei marinai francesi caduti durante la difesa della città patrimonio dell’arte mondiale.
«Ocio, fiòl d’un can!». L’Escadrille 561 a Venezia-Lido
Già dai primi due mesi dell’attività del CAM era evidentemente emersa l’inadeguatezza di un nucleo di soli 6 idrovolanti, per di più scarsamente competitivi, per la difesa del cielo di Venezia. Nell’agosto del 1915, a Lione, fu creata la Escadrille 92/I (dove I stava per Italie) che si installò inizialmente a Nord dell’abitato di Mestre, sull’aeroporto di Bazzera con soli tre piloti e altrettanti caccia Nieuport 10. Come nel caso del CAM, anche per la 92/I fu prevista una base avanzata. In questo caso a Cascina Farello (tra Grado e Aquileia) dove i Nieuport (diventati 6 nell’autunno del 1915) ebbero il compito di difendere Venezia ma anche di effettuare incursioni a Trieste e lungo il fronte dell’Isonzo. Alla fine di ottobre i caccia francesi riuscivano a mettere in fuga un gruppo di idrovolanti Lohman austriaci diretti su Venezia, danneggiandone seriamente uno. Le buone caratteristiche di combattimento dei Nieuport 10 portarono come effetto positivo alla cessazione quasi totale delle incursioni nemiche diurne su Venezia, lasciando la Squadriglia d’oltralpe in situazione di calma relativa per buona parte del 1916, anno in cui il gruppo si trasferì stabilmente sull’aeroporto del Lido di Venezia. Qui i piloti vissero nell’agiatezza tra i confort delle ville lasciate in usufrutto dalla borghesia cittadina e negli hotel di lusso, spesso frequentati dal poeta-soldato Gabriele D’Annunzio. A causa della temporanea inattività, la 92/I, (nel frattempo ribattezzata 392) fu in parte distaccata nuovamente a Cascina Farello, da dove il 23 giugno 1916 tre Nieuport (piloti Chambarière, Robert e Espanet) decollarono per tendere un’imboscata all’aviazione austroungarica nel cielo di Trieste. Come esca fu usato un idrovolante italiano, che attirò la reazione nemica. Tra i piloti partiti su allarme, c’era il famoso Banfield, terrore dei cieli della laguna veneziana. Mentre il velivolo italiano attirava gli austriaci verso i Nieuport, due di questi aprivano il fuoco piombando sul Lohman L-16 dell’asso nemico, mettendolo rapidamente in fuga mentre il biplano di Espanet si occupava dei rinforzi. Banfield riuscì a rientrare alla base, ma l’eco dell’impresa che lo aveva messo in grave pericolo generò festeggiamenti per le strade di Venezia. In seguito, durante il 1917, una nuova tregua nella frequenza dei raid su Venezia permise alla 392, ribattezzata nuovamente (e definitivamente) 561, di tirare il fiato. Fu in questo periodo che i piloti francesi ebbero l’occasione di decorare le fusoliere dei loro aerei con disegni e scritte personalizzati. Il più famoso fu il motto dipinto sul Nieuport 23 (modello nuovo arrivato in squadriglia nel 1917) dal Maresciallo Edouard Corniglion-Molinier (accreditato di 4 vittorie aeree alla fine della guerra), che usò la frase in veneziano «Ocio fiòl d’un Can!» (Attento figlio di un cane!) indirizzata ai piloti nemici. Da quel graffito dipinto grossolanamente sulla fusoliera, nacque la tradizione tutt’ora in auge nell’Aeronautica militare italiana di usare motti in veneziano negli emblemi di squadriglia (Ad esempio il 18° Gruppo Caccia dell’AMI utilizza la frase «Ocio che te copo! – Attento che ti ammazzo- oppure durante la Seconda Guerra Mondiale la 162a Squadriglia usò il dialetto veneziano sulle fusoliere dove un gatto mostrava le unghie sopra la scritta «Varda che te sbrego!» - Guarda che ti graffio!). La Escadrille 561 vide aumentare effettivi e velivoli con i nuovi Nieuport 23, alcuni Sopwith Camel e i primi SPAD VII e si trovò ad operare dalla base di Cascina Farello insieme ai piloti italiani comandati dall’asso Pier Ruggero Piccio, non senza qualche episodio di reciproca rivalità di bandiera. La ritirata di Caporetto fece da spartiacque, con l’intera Squadriglia che si radunò a Venezia-Lido con il compito di difendere la nuova linea sul Piave e di proteggere allo stesso tempo Venezia, attaccata anche via mare dalla marina austriaca e da velivoli dell’Impero e tedeschi. La 561, lasciati gli agi dei mesi precedenti, si distinse nella difesa del territorio della laguna. La cronaca dell’ultimo anno di guerra riporta le gesta dei piloti d’oltralpe, che oltre a respingere gli attacchi da Est si prodigarono nella distruzione dei Drachen, i palloni frenati antiaerei che gli austro-tedeschi avevano piazzato lungo la linea del Piave. I velivoli della 561 parteciparono attivamente alla controffensiva italiana verso Vittorio Veneto, con un ultimo distaccamento a Nove di Bassano. L’esperienza sul fronte italiano si concluse per i piloti francesi con una parata in automobile lungo la penisola istriana, conquistata dagli italiani dopo la vittoria finale. Pochi giorni dopo lo Stato Maggiore dell’Aeronautica militare francese disciolse la Escadrille 561. Non fu mai più ricostituita.
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La città lagunare, obiettivo sin dal maggio 1915 delle incursioni aeree austriache, fu difesa da due squadriglie aeree inviate da Parigi. La storia degli idrovolanti del Centre Aéro-Maritime e dell'Escadrille 561.L’Italia entrava in guerra il 24 maggio 1915. Il giorno stesso Venezia veniva attaccata dall’aviazione austro-ungarica nel quadro di un’operazione più ampia di bombardamenti navali e aerei lungo la costa adriatica, fino alle Marche. La mattina del primo giorno di guerra due idrovolanti nemici furono liberi di sorvolare la città lagunare e di sganciare alcune bombe, una delle quali esplose a poca distanza da Palazzo Ducale. La difesa aerea del patrimonio urbano e artistico della città sull’acqua era diventata così una priorità sin dalle prime ore della Grande Guerra. Non soltanto Venezia era un obiettivo per la vicinanza al fronte e il ruolo strategico sull’Adriatico, ma anche per il prestigio mondiale della città e per la quantità imponente di opere d’arte di altissimo valore, difficili da proteggere per la mancanza di scantinati in quasi tutto il territorio urbano dominato dalle acque. A sostegno dell’Italia Francia e Inghilterra si mossero per supportare l’alleato entrato nel conflitto un anno dopo l’inizio della guerra, con l’obiettivo di sopperire almeno in parte alle difficoltà logistiche che il Regio Esercito si trovò ad affrontare nei primi mesi di guerra. Parigi rispose alle necessità di difesa aerea della città di Venezia, inviando inizialmente un ridottissimo gruppo di idrovolanti. Si trattava di 6 FBA (Franco-British Aviation) con motore stellare Gnome et Rhone da 100 Cv. La base fu stabilita sull’isola di Sant’Andrea, poco a est dell’abitato di Venezia, dotata di un canale adatto all’ammaraggio e al decollo dei velivoli. Ufficialmente il gruppo CAM (Centre Aero-Maritime) nacque il 25 maggio 1915 sotto il comando del Tenente di Vascello Antoine Reynaud, che radunò 6 piloti e i tecnici distaccandoli dal Gruppo dell’Aviazione di Marina di Fréjus. A Venezia, fu posto sotto il comando italiano della Regia Marina. Oltre alla base di Sant’Andrea, il CAM ebbe un idroscalo avanzato a Porto Lignano allo scopo di sopperire ai problemi di autonomia degli aerei nelle previste sortite su Trieste e Pola. Il 14 giugno 1915 i piloti francesi ebbero il primo contatto con il nemico quando avvistarono un idrovolante austriaco in volo, senza tuttavia giungere allo scontro a fuoco. Due giorni più tardi un FBA riuscì a sganciare due bombe sul faro di Punta Salvore, nelle vicinanze di Trieste e il 22 dello stesso mese di giugno un idrovolante del CAM attaccava un cacciatorpediniere che incrociava al largo di Pola. Il 1° luglio, ai comandi del pilota Roulier, l’FBA numero «10» raggiungeva la baia di Trieste dove avvistava un sottomarino imperial-regio al largo di Pirano. Scesi a 15 metri dal pelo dell’acqua, Roulier e il marinaio Giorzo sganciavano tre bombe mentre il sommergibile si immergeva lasciando sulla superficie dell’Adriatico una scia di bolle. A Venezia la notizia fece scalpore e le prime pagine dei giornali la riportarono in tono trionfalistico. Durante l’estate del 1915 gli idrovolanti francesi si trovarono più volte ad affrontare le incursioni austriache sulla città che in alcuni casi ebbero successo, come quella avvenuta la notte del 24 ottobre 1915 con obiettivo la stazione ferroviaria. Le bombe nemiche colpirono la vicina chiesa degli Scalzi, dove andò perduto nell’incursione un prezioso affresco del Tiepolo. Durante l’attività di difesa del territorio della città lagunare, nonostante la perizia dei piloti che spesso si alzarono in volo assieme ad alcuni idrovolanti della Marina italiana, emersero tutti i limiti degli idrovolanti FBA, soprattutto nelle prestazioni e nello scarso armamento, limitato ad una sola arma brandeggiabile azionata dall’osservatore. Parallelamente ai compiti di caccia, proseguirono per tutto l’autunno del primo anno di guerra le sortite di attacco e ricognizione verso Trieste, con gli idrovolanti francesi e italiani che decollavano da un nuovo avamposto vicinissimo al fronte nelle acque di Grado (Udine). Il 1916 fu un anno tragico per il CAM di Venezia. Gli FBA, macchine fragili, mostravano ormai segni di usura. Già il 19 gennaio il pilota Ducuing si salvava per miracolo dopo un ammaraggio di fortuna dovuto a una «piantata» del motore nel mare tra Trieste e Grado. Nel giugno successivo un idrovolante austriaco pilotato dal tenente Banfield intercettava l’FBA francese su cui oltre al pilota Vaugeois aveva preso posto l’irredentista italiano Grammaticopoulo. Sotto il tiro delle raffiche nemiche dell’idrovolante «L 16», l’osservatore veniva ucciso sul colpo mentre Vaugeois ammarava sotto le raffiche, per poi tentare inutilmente un decollo verso Grado. Arresosi a Banfield, quest’ultimo riconobbe il valore del francese, portandolo a Trieste per un pranzo-interrogatorio cavalleresco. Anche l’arrivo a Grado di nuovi FBA con motore potenziato a 155 Cv non risolse il problema della superiorità delle macchine austriache. Alla metà del 1916 l’idrovolante di Banfield era diventato uno spauracchio per la città di Venezia, tanto da essere rinominato «lupo bianco» dagli italiani e dai francesi. Le difficoltà del CAM francese si resero del tutto evidenti quando il 15 agosto 1916 due FBA con motori Hispano Suiza da 155 Cv parteciparono ad un bombardamento su Trieste assieme agli italiani, la cui aviazione di Marina era notevolmente migliorata. A bordo dell’FBA n°308 trovò infatti la morte il pilota di punta del gruppo d’oltralpe, Roulier, che fu inseguito e abbattuto proprio dall’L-16 di Banfield precipitando nel golfo di Trieste. Ai suoi funerali a Venezia, Gabriele D’Annunzio lesse una lunga orazione in onore del pilota alleato. Alle difficoltà quotidiane che misero a dura prova i piloti francesi, si aggiunse la sorte avversa quando il 31 ottobre, durante i preparativi per un’incursione, una bomba si staccò accidentalmente dall’idrovolante n°321 uccidendo sul colpo 18 marinai e ferendone altri 17. Tra le vittime, il comandante Reynaud che fu sostituito nei giorni seguenti da André Woltz. Durante i primi mesi del 1917 il CAM di Venezia compì le sue ultime incursioni, tra cui alcune dall’esito soddisfacente su Pola e Parenzo, rafforzato dall’arrivo di sei nuovi apparecchi. Ma nel mese di aprile, durante l’inseguimento di un convoglio navale austriaco, cadeva anche il nuovo comandante Woltz, colpito dalle raffiche partite da un cacciatorpediniere. A pochi mesi da Caporetto, mentre i nuovi Macchi M.3 italiani si erano dimostrati validi e competitivi, gli FBA mostravano tutta la loro inadeguatezza al combattimento, tanto da essere ribattezzati dai marinai italiani con l’acronimo ironico di «FBA-Fate Bene Attenzione!». La storia del Centre Aero-Maritime di Venezia finì nel giugno del 1917, quando da Parigi, in accordo con le autorità italiane, si decise il suo scioglimento. Al cimitero di Venezia, sull’isola di San Michele, sono ancora oggi visibili le tombe dei piloti e dei marinai francesi caduti durante la difesa della città patrimonio dell’arte mondiale.«Ocio, fiòl d’un can!». L’Escadrille 561 a Venezia-LidoGià dai primi due mesi dell’attività del CAM era evidentemente emersa l’inadeguatezza di un nucleo di soli 6 idrovolanti, per di più scarsamente competitivi, per la difesa del cielo di Venezia. Nell’agosto del 1915, a Lione, fu creata la Escadrille 92/I (dove I stava per Italie) che si installò inizialmente a Nord dell’abitato di Mestre, sull’aeroporto di Bazzera con soli tre piloti e altrettanti caccia Nieuport 10. Come nel caso del CAM, anche per la 92/I fu prevista una base avanzata. In questo caso a Cascina Farello (tra Grado e Aquileia) dove i Nieuport (diventati 6 nell’autunno del 1915) ebbero il compito di difendere Venezia ma anche di effettuare incursioni a Trieste e lungo il fronte dell’Isonzo. Alla fine di ottobre i caccia francesi riuscivano a mettere in fuga un gruppo di idrovolanti Lohman austriaci diretti su Venezia, danneggiandone seriamente uno. Le buone caratteristiche di combattimento dei Nieuport 10 portarono come effetto positivo alla cessazione quasi totale delle incursioni nemiche diurne su Venezia, lasciando la Squadriglia d’oltralpe in situazione di calma relativa per buona parte del 1916, anno in cui il gruppo si trasferì stabilmente sull’aeroporto del Lido di Venezia. Qui i piloti vissero nell’agiatezza tra i confort delle ville lasciate in usufrutto dalla borghesia cittadina e negli hotel di lusso, spesso frequentati dal poeta-soldato Gabriele D’Annunzio. A causa della temporanea inattività, la 92/I, (nel frattempo ribattezzata 392) fu in parte distaccata nuovamente a Cascina Farello, da dove il 23 giugno 1916 tre Nieuport (piloti Chambarière, Robert e Espanet) decollarono per tendere un’imboscata all’aviazione austroungarica nel cielo di Trieste. Come esca fu usato un idrovolante italiano, che attirò la reazione nemica. Tra i piloti partiti su allarme, c’era il famoso Banfield, terrore dei cieli della laguna veneziana. Mentre il velivolo italiano attirava gli austriaci verso i Nieuport, due di questi aprivano il fuoco piombando sul Lohman L-16 dell’asso nemico, mettendolo rapidamente in fuga mentre il biplano di Espanet si occupava dei rinforzi. Banfield riuscì a rientrare alla base, ma l’eco dell’impresa che lo aveva messo in grave pericolo generò festeggiamenti per le strade di Venezia. In seguito, durante il 1917, una nuova tregua nella frequenza dei raid su Venezia permise alla 392, ribattezzata nuovamente (e definitivamente) 561, di tirare il fiato. Fu in questo periodo che i piloti francesi ebbero l’occasione di decorare le fusoliere dei loro aerei con disegni e scritte personalizzati. Il più famoso fu il motto dipinto sul Nieuport 23 (modello nuovo arrivato in squadriglia nel 1917) dal Maresciallo Edouard Corniglion-Molinier (accreditato di 4 vittorie aeree alla fine della guerra), che usò la frase in veneziano «Ocio fiòl d’un Can!» (Attento figlio di un cane!) indirizzata ai piloti nemici. Da quel graffito dipinto grossolanamente sulla fusoliera, nacque la tradizione tutt’ora in auge nell’Aeronautica militare italiana di usare motti in veneziano negli emblemi di squadriglia (Ad esempio il 18° Gruppo Caccia dell’AMI utilizza la frase «Ocio che te copo! – Attento che ti ammazzo- oppure durante la Seconda Guerra Mondiale la 162a Squadriglia usò il dialetto veneziano sulle fusoliere dove un gatto mostrava le unghie sopra la scritta «Varda che te sbrego!» - Guarda che ti graffio!). La Escadrille 561 vide aumentare effettivi e velivoli con i nuovi Nieuport 23, alcuni Sopwith Camel e i primi SPAD VII e si trovò ad operare dalla base di Cascina Farello insieme ai piloti italiani comandati dall’asso Pier Ruggero Piccio, non senza qualche episodio di reciproca rivalità di bandiera. La ritirata di Caporetto fece da spartiacque, con l’intera Squadriglia che si radunò a Venezia-Lido con il compito di difendere la nuova linea sul Piave e di proteggere allo stesso tempo Venezia, attaccata anche via mare dalla marina austriaca e da velivoli dell’Impero e tedeschi. La 561, lasciati gli agi dei mesi precedenti, si distinse nella difesa del territorio della laguna. La cronaca dell’ultimo anno di guerra riporta le gesta dei piloti d’oltralpe, che oltre a respingere gli attacchi da Est si prodigarono nella distruzione dei Drachen, i palloni frenati antiaerei che gli austro-tedeschi avevano piazzato lungo la linea del Piave. I velivoli della 561 parteciparono attivamente alla controffensiva italiana verso Vittorio Veneto, con un ultimo distaccamento a Nove di Bassano. L’esperienza sul fronte italiano si concluse per i piloti francesi con una parata in automobile lungo la penisola istriana, conquistata dagli italiani dopo la vittoria finale. Pochi giorni dopo lo Stato Maggiore dell’Aeronautica militare francese disciolse la Escadrille 561. Non fu mai più ricostituita.
(Ansa/Arma dei Carabinieri)
Si tratta in particolare di truffatori che ricorrevano al trucco del «finto carabiniere» per sottrarre denaro soprattutto a persone anziane. Tra gli indagati, uno era già detenuto per altra causa; sei sono stati portati in carcere, nove agli arresti domiciliari e cinque sottoposti all’obbligo di dimora.
Il provvedimento nasce da un’indagine convenzionalmente denominata «Altro Mondo», condotta dal Nucleo investigativo di Milano e avviata a partire dal 2023, come risposta alla recrudescenza di furti, rapine e truffe commessi prevalentemente in danno di soggetti vulnerabili, mediante la tecnica del «finto carabiniere».
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Luis «Toto» Caputo (Getty Images)
Caputo, classe 1965, cresciuto al Collegio Cardenal Newman e laureato in Economia all’Università di Buenos Aires, è il fulcro del sistema Milei. Dopo una lunga carriera tra Jp Morgan e Deutsche Bank, dov’è stato uno dei trader di riferimento per l’America Latina, entra in politica con Mauricio Macri nel 2015 come segretario e poi ministro delle Finanze, gestendo il rientro dell’Argentina nei mercati con il compromesso sui fondi avvoltoio e il celebre bond centenario (un’obbligazione da 45 miliardi di dollari con scadenza a 100 anni e cedola del 7,125%). Nell’esperienza di governo con Macri, il debito privato argentino è salito dal 16% al 38% del Pil.
Con Milei, torna al centro della scena come ministro dell’Economia dal dicembre 2023. Subito attua tagli feroci a sussidi e spesa, operazioni che riportano l’Argentina al surplus fiscale dopo anni di disavanzi.
Accanto a lui, nel ruolo di vice, c’è José Luis Daza, nato a Buenos Aires da diplomatici cileni ma formato tra Cile, Stati Uniti e i grandi desk di Wall Street. Economista dell’Universidad de Chile, con un dottorato all’Università di Georgetown, rappresentante del Banco Central de Chile a Tokyo, poi capo ricerca mercati emergenti a Jp Morgan e Deutsche Bank. Daza ha fondato l’hedge fund Qfr Capital ed è stato consigliere del candidato conservatore cileno José Antonio Kast. Dal 2024 è segretario alla politica economica e viceministro di Caputo, con il compito chiave di tenere i rapporti con il Fondo monetario internazionale e con gli investitori di tutto il mondo.
Pablo Quirno è invece il ponte tra l’universo finanziario e la diplomazia. Discendente di una storica famiglia conservatrice argentina, studia Economia alla University of Pennsylvania (Wharton) e costruisce una carriera in Jp Morgan come direttore per l’America Latina e membro del comitato di gestione regionale, seguendo privatizzazioni e ristrutturazioni di debito in mezzo mondo. Nel 2016 entra nel governo Macri come coordinatore della segreteria delle Finanze e capo di gabinetto di Caputo, passando anche dal board della Banca centrale argentina. Con Milei è prima segretario alle Finanze, poi (dopo le dimissioni di Gerardo Werthein) promosso ministro degli Esteri nell’ottobre 2025, simbolo dell’allineamento sempre più netto con gli Stati Uniti.
Infine, Santiago Bausili, 1974, anche lui formatosi al Collegio Cardenal Newman e poi all’Università di San Andrés. Per oltre undici anni in Jp Morgan e quasi nove in Deutsche Bank, si specializza in debito sovrano latinoamericano e derivati, spesso in tandem con Caputo. Nel 2016 passa al settore pubblico come sottosegretario e poi segretario alle Finanze nel governo Macri. Nel dicembre 2023 Milei lo nomina presidente della Banca centrale, dietro raccomandazione di Caputo.
La strategia del team Caputo è quella della disciplina fiscale a tutti i costi. L’obiettivo immediato è stato frenare l’inflazione, crollata da oltre il 200% all’inizio del mandato a circa il 30%. Ma il prezzo è la macelleria sociale. Pensioni, salari pubblici e prestazioni sociali non sono state adeguate all’inflazione e la disoccupazione è aumentata.
L’altro elemento critico della strategia di Caputo è la gestione della valuta argentina. Nonostante Milei avesse un tempo definito il peso «escremento», la sua amministrazione ha adottato una politica di sostegno alla valuta, mantenendo tassi di interesse elevati e controlli stretti su cambi e capitali. Questa formula, già tentata dai predecessori senza successo, ha lo scopo di stabilizzare l’inflazione in un mercato dei cambi volatile e ristretto.
Questa politica monetaria rigida ha avuto un impatto tossico sul sistema bancario. I tassi di interesse elevati hanno spinto il tasso di morosità sui prestiti ai massimi da almeno 15 anni, costringendo le banche a ridurre drasticamente l’erogazione di credito.
Il grande rischio per Caputo e la sua squadra di ex- trader è che l’accumulo di riserve in valuta forte si sta rivelando troppo impegnativo (secondo il Fmi), nonostante gli sforzi. La sopravvivenza politica di Milei, e l’efficacia dell’esperimento di Caputo, dipendono dalla capacità di tradurre l’austerità e il sostegno finanziario di Washington in prosperità per la maggioranza. Finora, l’esperimento è basato su un precario equilibrio tra disciplina finanziaria draconiana e un sostegno esterno senza precedenti, una miscela esplosiva che sta mettendo a dura prova il tessuto sociale argentino.
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Javier Milei (Ansa)
Milei, l’economista libertario dalla chioma selvatica, ha ottenuto una vittoria sorprendente nelle elezioni di medio termine a fine ottobre, un risultato che gli ha conferito un mandato inequivocabile per il suo programma di terapia shock. Il suo partito, La Libertad Avanza (Lla), ha conquistato circa il 41% dei voti a livello nazionale, doppiando la sua rappresentanza al Congresso, contro il 32% del fronte peronista. Questo risultato ha trasformato il suo gruppo nel più numeroso della Camera bassa, garantendogli la minoranza necessaria per preservare il potere di veto e difendere i suoi decreti presidenziali.
Il trionfo del partito di Milei è stato un inatteso ribaltamento del paesaggio politico. Il dato più sorprendente è che le periferie povere di Buenos Aires, da sempre la roccaforte del movimento peronista, hanno compiuto una svolta storica a sfavore del partito erede del peronismo storico, Fuerza Patria di Cristina Kirchner. I peronisti hanno governato l’Argentina per vent’anni dal 2003, salvo la pausa di quattro anni di Mauricio Macri tra il 2015 e il 2019.
Mentre gli elettori della classe media si sono mobilitati per sostenere la motosega di Milei, la chiave della sconfitta peronista è stata l’astensione o il voto contrario degli elettori più poveri, stanchi di un’instabilità economica permanente cui le fiacche politiche dei passati presidenti li condannavano. Il mandato presidenziale di Alberto Fernández, considerato quasi all’unanimità come il peggior presidente della giovane democrazia argentina, ha significato la fine della pazienza in gran parte dell’elettorato.
Il pilastro della rivoluzione di Milei è l’austerità feroce e senza compromessi. Fin dall’inizio del suo mandato, il presidente ha avviato riforme drastiche, riuscendo a trasformare un deficit fiscale primario in un surplus. Ha tagliato l’occupazione pubblica di oltre il 10%, ha tolto protezioni sociali e rendite diffuse.
Il risultato di questa cura drastica è stato l’abbattimento dell’iperinflazione, che è crollata da oltre il 200% all’inizio del suo mandato a circa il 30% al momento delle elezioni. I mercati internazionali hanno premiato questa determinazione, con il calo del rischio sovrano e un rally nei titoli e nelle obbligazioni subito dopo il voto. Tuttavia, la terapia shock ha avuto un costo sociale elevato, con Milei stesso che ha ammesso che l’austerità aveva portato alla chiusura di fabbriche e all’aumento della disoccupazione.
La scalata di Milei non sarebbe stata possibile senza l’intervento diretto degli Stati Uniti. Il presidente Donald Trump ha scommesso pesantemente sul successo del presidente, offrendo un salvataggio finanziario senza precedenti: un accordo di swap di valuta da 20 miliardi di dollari e la promessa di raccogliere altri 20 miliardi di dollari da banche private e fondi sovrani. Questo sostegno finanziario è stato esplicitamente condizionato al successo di Milei nelle elezioni di medio termine, confermando che l’Argentina è ora un alleato ideologico chiave di Washington, fondamentale per contrastare l’influenza cinese in America Latina.
La squadra economica di Milei, soprannominata i «ragazzi di Jp Morgan» per la forte presenza di ex trader di Wall Street come il ministro dell’Economia Luis Caputo, è ora impegnata in un atto di equilibrismo, cercando di stabilizzare il traballante peso e ricondurre l’Argentina sui mercati internazionali.
Milei sta capitalizzando il suo mandato non solo per aggiustare i conti, ma per smantellare lo Stato in senso profondo. Ha introdotto il regime di incentivi per i grandi investimenti (Rigi), che garantisce 30 anni di stabilità fiscale, disponibilità di valuta estera e protezioni legali agli investitori stranieri per progetti superiori a 200 milioni di dollari. Questa mossa è strategica per trasformare l’Argentina in una potenza mineraria, sfruttando le sue immense riserve inesplorate di rame e litio.
L’Argentina, che condivide la stessa catena montuosa del Cile, esportatore per 20 miliardi di dollari di rame all’anno, non esporta un solo grammo di questo metallo critico. L’obiettivo di Milei è attrarre circa 26 miliardi di dollari in investimenti per i progetti di rame, promettendo che l’Argentina «avrà dollari a sufficienza». L’Argentina, inoltre, detiene riserve significative nel Triangolo del litio ed è il quarto esportatore mondiale di questo minerale.
A riprova della sua visione radicale, l’amministrazione Milei sta rimodellando la struttura dello Stato, avvicinandola al modello di sicurezza nordamericano. La Direzione nazionale delle migrazioni è stata trasferita dal ministero dell’Interno a quello della Sicurezza. Poi, per la prima volta dal ritorno alla democrazia nel 1983, Milei ha nominato un generale, Carlos Presti, a capo del ministero della Difesa, con l’intento dichiarato di «porre fine alla demonizzazione dei nostri ufficiali, sottufficiali e soldati». Infine, il presidente sta spingendo per la privatizzazione e la modernizzazione dell’obsoleta rete ferroviaria per potenziare le esportazioni di cereali, rame e litio, aumentando le esportazioni di 100 miliardi di dollari in sette anni.
Nonostante il chiaro allineamento con Washington, Milei è costretto a un difficile pragmatismo verso Pechino, principale cliente per la soia argentina. Nonostante avesse liquidato la Cina come partner «comunista» in campagna elettorale, Milei ha dovuto riconoscerla come un «partner commerciale molto interessante» dopo la conferma di uno swap valutario multimiliardario da parte di Pechino.
Il destino politico di Milei dipende dalla sua capacità di tradurre le riforme orientate al mercato in prosperità tangibile per la maggioranza, specialmente in un momento in cui gli argentini sono preoccupati per la perdita di posti di lavoro e il calo del reddito. Le politiche deflazioniste attuate per compiacere i mercati e frenare l’inflazione hanno un costo sociale alto, quello della disoccupazione e del calo dei consumi. Milei deve quindi trovare sempre nuovi obiettivi e nuovi capri espiatori per evitare che la questione sociale esploda e faccia dell’Argentina una polveriera.
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Ansa
Secondo le prime ricostruzioni almeno due uomini vestiti di nero - mentre le autorità non escludono la presenza di un terzo complice - hanno aperto il fuoco a breve distanza dalla spiaggia, scatenando il panico tra la folla. Diversi testimoni, citati dai media locali, hanno raccontato di colpi esplosi senza sosta e di persone in fuga nel tentativo di mettersi in salvo. L’emittente pubblica Abc ha reso noto il nome di uno dei due attentatori, senza precisare se sia deceduto durante l’assalto. Si tratta di Naveed Akram, cittadino pakistano di 25 anni residente a Sydney, nel quartiere di Bonnyrigg; nella sua auto sono stati ritrovate altre armi e esplosivi, segno che il disegno era molto più ampio. Il secondo autore dell’attacco terroristico è stato identificato come Khaled al Nablusi, cittadino libanese di origine palestinese, affiliato all’Isis, che tuttavia non ha rivendicato l’attacco. Le autorità hanno confermato che almeno uno degli aggressori era noto ai servizi di sicurezza. A riferirlo è stato il direttore dell’Australian security intelligence organisation (Asio), Mike Burgess: «Uno di questi individui ci era noto, ma non con la prospettiva di rappresentare una minaccia immediata. Dobbiamo capire cos’è successo qui».
Resta aperto il nodo delle misure di sicurezza: l’assenza di un dispositivo rafforzato appare difficilmente spiegabile, considerata l’ondata di antisemitismo e le minacce contro la comunità ebraica che da mesi attraversano l’Australia. Invece di smantellare le reti estremiste, il governo ha permesso ai centri islamici legati all’ideologia radicale, tra cui l’Istituto Al Murad, di continuare a operare. Queste istituzioni hanno contribuito a radicalizzare i giovani e persino i bambini, creando le condizioni che hanno prodotto terroristi come Naveed Akram. Secondo quanto emerso, i due uomini armati sono arrivati indisturbati nei pressi dell’area dell’evento e hanno sparato per circa nove minuti utilizzando fucili a pompa Remington 870. Prima dell’intervento della polizia Hamad el Ahmed, arabo-australiano e gestore di un chiosco sulla spiaggia, ha affrontato a mani nude uno degli attentatori riuscendo a neutralizzarlo, salvando così altre vite umane. Colpito da due proiettili, è rimasto ferito e dovrà essere sottoposto a un intervento chirurgico.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha accusato l’Australia di aver alimentato il clima di odio, affermando che il Paese «ha gettato benzina sul fuoco dell’antisemitismo» prima dell’attacco di Sydney. Netanyahu ha ricordato di aver inviato ad agosto una lettera al primo ministro Anthony Albanese. Come riportato dal Times of Israel, il premier israeliano ha sostenuto che le politiche di Albanese, incluso il riconoscimento di uno Stato palestinese, incoraggiano «l’odio per gli ebrei che ora infesta le vostre strade. L’antisemitismo è un cancro. Si diffonde quando i leader rimangono in silenzio. Dovete sostituire la debolezza con l’azione». Il presidente dell’Organizzazione sionista mondiale, Yaakov Hagoel, ha collegato la strage a una più ampia escalation globale: «La serie di aggressioni antisemite che si registrano in tutto il mondo è scioccante e richiama alla memoria i periodi più bui della storia». «Dal 7 ottobre è in corso una guerra che non colpisce soltanto lo Stato di Israele, ma ogni ebreo ovunque si trovi. Questo è diventato l’ottavo fronte di quel conflitto». Resta ora da chiarire se l’attacco sia opera di due «lupi solitari», ipotesi improbabile, o se vi sia una regia esterna.
Israele ha avviato consultazioni strategiche e di sicurezza per individuare eventuali mandanti. Negli ultimi mesi, le autorità israeliane avevano lanciato avvertimenti sulla possibile preparazione, da parte dell’Iran, di infrastrutture terroristiche destinate a colpire comunità ebraiche in Australia. Secondo le valutazioni israeliane, il principale sospettato resta Teheran, con possibili collegamenti a organizzazioni come Hezbollah, Hamas e Lashkar-e-Taiba, gruppi che negli anni hanno dimostrato capacità operative anche al di fuori del Medio Oriente; così come non va scartato l’Isis. L’ipotesi prevalente, però, è che l’Iran abbia fornito supporto logistico, finanziario o di addestramento, sfruttando reti già esistenti e canali di radicalizzazione attivi sui social media. Se dovesse emergere una responsabilità diretta di Teheran, la risposta di Israele sarà inevitabile, in linea con la dottrina di deterrenza adottata negli ultimi anni. Tempi, luoghi e modalità restano da definire ma potremmo scoprilo a breve.
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