2022-01-24
Francesco Vaia: «Finiamola con il tamponificio e con i bollettini ansiogeni»
Il direttore sanitario dello Spallanzani, Francesco Vaia (Ansa)
Il direttore dello Spallanzani: «Nel mio Istituto gli asintomatici escono dalla quarantena dopo 5 giorni senza fare test, come negli Usa. Da febbraio veloce decrescita dei contagi».«I bollettini quotidiani andrebbero aboliti e nel mio Istituto l’ho fatto: rischiano, così come sono ora, di creare solo disorientamento e spavento nei cittadini». Francesco Vaia, direttore del polo d’eccellenza romano Lazzaro Spallanzani, non si presta alla guerra dei numeri: «I dati vanno raccolti, ma poi vanno analizzati e, soprattutto, va analizzato l’andamento del periodo: ha molto più senso in questa fase». Una fase in cui, professor Vaia, è corsa ai tamponi, soprattutto per le scuole.«Il “tamponificio” che si è creato nell’ultimo periodo è assolutamente da evitare. Allo Spallanzani abbiamo infatti proposto di rivedere le norme in materia di quarantena e di isolamento, consentendo, ad esempio, ai cittadini contagiati asintomatici di interrompere l’isolamento dopo 5 giorni, anche in assenza di test. Così come accade negli Stati Uniti».Cos’altro cambierebbe?«Abbiamo anche proposto di ridurre a 5 giorni la quarantena per chi non è vaccinato o è vaccinato da oltre 120 giorni. E di consentire agli asintomatici l’interruzione della stessa anche senza test. Si tratta di essere coerenti: se il vaccino funziona, allora dobbiamo permetterci sempre maggiori spazi di socialità ed evitare di bloccare il Paese».Non si rischia, però, di non uscirne più? «Dobbiamo tornare a dare priorità alla clinica e in definitiva alla scienza. I Cdc americani ed europei, ovvero i centri per il controllo e la prevenzione della malattie, spiegano che la persona contagiata è a sua volta contagiosa due giorni prima della sintomatologia e tre giorni dopo. Dobbiamo mantenere in vigore soltanto le misure in grado di limitare realmente l’impatto sulla salute della popolazione e sul sistema sanitario e i cittadini in questo devono essere responsabilizzati».Siamo davvero in grado di essere responsabili?«I cittadini sono molto più adulti e responsabili di quanto qualcuno immagina. E occorre siano nostri alleati, alleati della scienza per combattere e vincere la pandemia: se ci stiamo riuscendo molto è merito loro. Ricordiamoci che siamo tra i Paesi nel mondo con i più alti tassi di vaccinazione. Un segno concreto di maturità, direi».Anche per gli altri andrebbe ridotto l’isolamento?«Le misure vanno mitigate e mi risulta che il governo ci stia pensando. Sono fiducioso».La percezione sulle scuole è di caos. Tra Dad e quarantene, Regioni e famiglie sono in affanno. Cosa proporrebbe?«La didattica a distanza non è la soluzione, così come dicono operatori scolastici e genitori. Sta provocando gravi guasti sul piano psicologico nei giovani e creando problemi enormi alle famiglie, soprattutto alle donne che ne portano il maggior carico. Non si capisce perché ai bambini e ai ragazzi debba essere vietato di andare a scuola in presenza, salvo poi dare loro la possibilità di vedersi per tutte le attività ricreative. La soluzione per la scuola deve essere strutturale: servono investimenti per aumentare le risorse a disposizione».Ad esempio?«Il ricambio d’aria non può avvenire con la semplice apertura delle finestre, magari in pieno inverno, ma si dovrebbero sfruttare impianti di aerazione efficienti, come la ventilazione meccanica, tre volte più efficace come protezione delle mascherine, anche Ffp2. Per non parlare dei mezzi pubblici: scuola e trasporti sono un binomio inscindibile e si deve agire su entrambi per garantire ai nostri figli e nipoti una quotidianità vissuta in sicurezza rispetto alla circolazione del virus. Oltre al proseguimento del loro percorso di crescita, troppe volte ahimè accidentato, se non ostacolato».Torno sui bollettini, professore. Qualcosa sembra non tornare sui numeri. «Sui pazienti positivi ricoverati per altre patologie si potrà e dovrà fare chiarezza, soprattutto nel computo generale. Dobbiamo, però, prestare attenzione a non sottovalutare il carico che i positivi hanno di per sé sul sistema: richiedono percorsi e personale dedicati, ambienti con particolari peculiarità tipiche delle strutture che accolgono pazienti infettivi, penso ad esempio a camere con pressione negativa. Altrimenti rischiamo di ripetere esperienze gestionali, anche del recente passato, che hanno, ahimè, determinato gravi lutti».Qual è oggi la situazione allo Spallanzani?«Nel nostro Istituto i ricoveri sono stabili da un po’ di tempo, almeno quattro settimane. Sono ricoverati prevalentemente pazienti non vaccinati o che hanno completato il loro ciclo vaccinale primario da più di 120 giorni. E questo a dimostrazione dell’importanza della terza dose».Le terapie intensive seguono questa differenza?«Sì, la differenza tra non vaccinati o vaccinati con ciclo incompleto e pazienti vaccinati con dose booster si evidenzia in modo molto significativo nelle terapie intensive: 97% contro appena 3%. I pazienti che hanno ricevuto la terza dose e che comunque sono ricoverati, sia in ricovero ordinario sia in rianimazione, sono quasi sempre soggetti fragili e/o anziani con patologie concomitanti o le cui patologie di base hanno determinato una minore copertura da parte del vaccino».Gli ospedali reggono? Reggeranno?«La tenuta degli ospedali italiani è complessivamente buona. Potrebbe certo essere migliore se i ricoveri dei pazienti Covid fossero eseguiti con maggiore appropriatezza e se si riuscisse a potenziare l’offerta assistenziale domiciliare».Curarsi da casa, quindi?«Il Covid 19 oggi, come l’influenza ieri, ha svelato antiche difficoltà del nostro sistema sanitario, troppo ospedalocentrico e così poco attrezzato e performante sul territorio, abbandonato da troppo tempo. Se riuscissimo ad attuare un reale potenziamento della domiciliarità, portando a casa delle persone terapie innovative e diagnostica performante, istituendo ed enfatizzando il ruolo del “nuovo operatore sanitario del territorio”, non avremmo più motivo di parlare di ospedali sotto pressione, ma di una virtuosa integrazione. Si può, anzi si deve fare. O non avremo percepito da questa pandemia uno dei segni più importanti da cogliere per uscirne migliori. Allo Spallanzani, da varie settimane ormai, il paziente che curiamo ha più un identikit da ambulatoriale che da reparto, segno che una diversa gestione è possibile». I contagi intanto sembrano fuori controllo. Cosa prevede?«L’andamento di questi giorni lascia già intravedere un miglioramento: già da febbraio, potremmo assistere ad una diminuzione significativa dei contagi. Così come è avvenuto in altre nazioni dove si è sviluppato prima - Sudafrica ad esempio -, dovremmo assistere a una decrescita abbastanza veloce. Ma è importante non perdere di vista l’obiettivo e continuare sulla strada della vaccinazione. Magari con vaccini e terapie aggiornati alle varianti che si sono determinate, non più il vaccino nato dal virus di Wuhan».Davvero entro il 2022 tutti saranno raggiunti dalla Omicron, come ha previsto il sottosegretario Sileri? Non c’è scampo?«Non amo le previsioni. Cerco di attenermi agli studi pubblicati e alle evidenze epidemiologiche. È possibile che l’alta contagiosità del virus determini un aumento significativo della prevalenza, come peraltro sta già avvenendo, ma guai a creare perniciosi allarmismi, di cui proprio non si avverte l’esigenza, anzi».Concorda sul fatto che il problema del Paese sono i non vaccinati, così come detto da Mario Draghi?«Evitiamo di mutuare anche in questa pandemia un vezzo molto italico di dividerci sempre in schieramenti, di definirci guelfi e ghibellini, anti e pro, in questo caso vaxisti e antivaxisti. Non è di questo che abbiamo bisogno, ma di equilibrio, sobrietà e capacità di convincimento, soprattutto con la testimonianza personale».Una divisione che nei fatti però già c’è, e molto netta.«Fatta eccezione per chi sposa tesi ideologiche e irremovibili - penso a chi ancora è terrapiattista -, molte persone sono di fatto spaventate e disorientate. Hanno ricevuto informazioni non univoche in tutto questo tempo, hanno avuto indicazioni in un verso e nel contrario, una comunicazione inefficace e nociva. Soprattutto nella prima fase della vaccinazione abbiamo pagato un caro prezzo rispetto alla fiducia nello strumento vaccino, rischiando di buttare il bambino con l’acqua sporca. Non voglio fare difese a priori, ma a queste persone bisogna parlare con gli argomenti dell’onestà e della chiarezza. Il vaccino è una tutela, per sé stessi e per tutti».Intanto la ricerca prosegue.«Allo Spallanzani nell’ultimo anno abbiamo cercato di potenziare in primo luogo la ricerca sulle terapia, avviando ad esempio studi sugli anticorpi monoclonali che prevengono l’aggravamento di Covid 19. Abbiamo anche studiato l’effetto dei vaccini in particolare nelle popolazioni fragili e negli immunodepressi, dimostrando che la terza dose è efficace in molte di queste persone. E abbiamo avviato collaborazioni internazionali per contribuire a nuovi e più efficaci vaccini. Stiamo anche puntando molto sul rinnovamento dei dirigenti e sull’assunzione entro il prossimo anno di tanti di giovani da impiegare nelle attività di ricerca: il mondo della ricerca ha bisogno del loro entusiasmo, freschezza e preparazione».
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