
Costretto a traslocare oltre le Mure leonine il quotidiano papale. Il Pontefice non lo sente suo: la priorità è risparmiare.«A papa Francesco interessa di più La Repubblica». Lo spiffero che arriva dai sacri corridoi è malizioso, ma quello che sta per accadere riguarda la Storia: L'Osservatore Romano verrà sfrattato dal Vaticano. Dopo 90 anni di permanenza nei palazzi della Santa Sede, il giornale del Papa sarà costretto a traslocare fuori dalle Mura leonine, in una nuova sede vicino a Castel Sant'Angelo, sempre di proprietà della Curia romana ma tecnicamente all'estero. La decisione ha un impatto simbolico enorme.Di fatto il più autorevole organo di stampa vaticano tornerà in territorio italiano, dov'era acquartierato dalla fondazione (1861) sino alla firma dei Patti Lateranensi nel 1929. La svolta è sorprendente e verrà annunciata questa mattina alla redazione da Paolo Ruffini, prefetto del dicastero per la Comunicazione, che ha convocato una riunione con tutti i dipendenti per «importanti comunicazioni». La ristrutturazione dei media vaticani - da anni in crisi di copie, di ascolti, di audience e di fatturato - era nell'aria. Ma poiché se ne parlava da tempo senza che nulla di concreto accadesse (se non la nomina e poi lo scioglimento di costose commissioni di riforma), sembrava che la vicenda potesse essere derubricata a babele secondaria. Osservatore Romano, Radio Vaticana e Vatican Media (ex Centro televisivo vaticano) perdono 25 milioni di euro l'anno e soprattutto il giornale soffre di una crisi d'identità determinata da un ruolo marginalizzato dalle moderne metodologie di comunicazione. La rivoluzione digitale ha colpito duro anche lì.La redazione dell'Osservatore, composta da 30 giornalisti (fra quotidiano ed edizioni settimanali in inglese, francese, portoghese e spagnolo), vive un momento difficile ed è contraria al trasloco dalla storica sede di via dei Pellegrini, soprattutto per il suo effetto simbolico. «Se negli anni Quaranta la redazione fosse stata in Italia», spiega un redattore, «il giornale non avrebbe potuto avere l'autonomia che ha avuto nel denunciare le derive autoritarie di nazismo e fascismo. E le persone lo avevano capito perché allora L'Osservatore vendeva più di 100.000 copie. Con il trasloco viene a mancare un presidio di libertà. Siamo preoccupati». Non altrettanto in ansia sembra la nouvelle vague al comando dei media vaticani rappresentata da Ruffini e dal direttore editoriale Andrea Tornielli, che ha deciso di entrare a piedi uniti nel problema. Il direttore dell'Osservatore, Andrea Monda, farà buon viso a cattivo gioco. È stato il primo a intuire che qualcosa sta cambiando nelle armonie mediatiche del Vaticano: per la prima volta un direttore dell'OR non ha accompagnato il Papa in un viaggio pastorale (in Marocco) e in futuro l'assenza diventerà strutturale «per tagliare le spese».Il trasloco dovrebbe avvenire al massimo entro l'aprile del 2020 in piazza Pia, in una sede dove già opera Radio Vaticana, primo media della Curia a pagare gli effetti della crisi. In una riunione sui costi, tutti ricordano le parole di un monsignore particolarmente caustico: «Costa cento volte più di Radio Maria e viene ascoltata cento volte meno». Ora si parla di un accorpamento. Sulla destinazione dei locali della vecchia redazione si sovrappongono le voci più disparate: potrebbero diventare ambulatori della mutua interna al Vaticano o nuovi uffici della Gendarmeria. In fondo, pur sconcertante, quella del trasloco è una soluzione meno drastica di quella prospettata due anni fa da Dario Edoardo Viganò, ex prefetto per la Comunicazione, che essendo più attratto da Web, televisione e cinema, L'Osservatore voleva addirittura chiuderlo. Fu stoppato dal Pontefice in persona. Francesco decise di tenerlo in vita, ma non lo considera più il suo giornale.L'aspetto culturale e utilitaristico non è secondario nel ridimensionamento di un organo un tempo imprescindibile per cogliere con esattezza e profondità il pensiero del Santo Padre. I lettori dell'Osservatore Romano erano tutti coloro che avevano necessità di conoscere le opinioni, i convincimenti, la dottrina del Pontefice. Alti prelati, ambasciatori, amici e nemici. Già con Giovanni Paolo II il giornale cominciò a soffrire, perché quel Papa non apprezzava la gerarchia, la bypassava e personalmente dichiarava il suo pensiero ai movimenti dottrinali ai quali era particolarmente affezionato. Benedetto XVI, essendo culturalmente inarrivabile ed ermetico, era più da libro rilegato che da giornale. Francesco, infine, disintermedia. E al di là delle battute preferisce la presa diretta delle interviste su Repubblica o sul Guardian per raggiungere più popolo possibile. Così L'Osservatore osserverà da più lontano la meraviglia della fede. Per l'uomo venuto dalla fine del mondo certe tradizioni della Chiesa sono incomprensibili dettagli.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.