2024-04-14
La foresta portata dentro la città rischia di diventare uno «zoo di alberi»
Maria Livia Olivetti (iStock)
Il bosco «a misura d’uomo» è addomesticato, ma esiste anche quello «vero» che ci precede. E che deve rimanere inaccessibile.Ne avevo sentito parlare e quest’anno sono stato a Roma al Festival del Verde e del Paesaggio. Lo scenario è molto suggestivo: i tre mausolei pietrosi del Parco dell’Auditorium della Musica, disegnato da Renzo Piano. I giardini pensili sono molto graziosi e ovviamente ben tenuti, e in una giornata di sole romano, 24 gradi, non una nuvola in cielo, i felici frequentatori possono deambulare tra diversi stand, alcuni con piante rampicanti, altri con progetti architettonici e paesaggistici, proposte di interventi di decoro e forestazione urbana, arte e natura, una libreria, vari vivaisti, scultori, opere d’arte che riecheggiano esperimenti fatti da Giuliano Mauri e dai protagonisti delle passate epoche di Landscape Art, Arte Ambientale, Land Art e Art in Nature, giusto per ricordare i movimenti più diffusi. Questi grandi confettoni che custodiscono le chiese dei credenti nel dio della musica, hanno quell’aspetto antico che li rende irresistibili. E cosa meglio di piante e alberi per celebrarne le peculiarità e il simbolismo? Passeggiando tra gli stand, con tante persone che ti fermano e ti presentano quel che vendono o che indagano, mi viene da chiedere che cosa oggi intendiamo per natura, poiché se tutto questo è natura forse la natura dei boschi antichi e di certi alberi millenari che incontro sono proprio mondi distinti.Un’occasione per riflettere ulteriormente sul significato delle parole che stiamo usando me lo ha dato un incontro che ho seguito, laddove Maria Livia Olivetti, professoressa di Architettura del Paesaggio presso l’ateneo palermitano, ha parlato del suo nuovo libro, La foresta civile. Un breviario per i boschi urbani contemporanei, edito da Libria, una casa editrice di Melfi (collana L&Scape). La Olivetti dialoga con Annalisa Metta, altra docente universitaria autrice alcuni anni orsono del fortunato Città selvatica, e dunque mi trovo senza volerlo al cospetto forse delle più convinte ambasciatrici dell’idea di città che si inselvatichisce grazie a spazi sempre più ricchi di alberi, piante e spazi adeguati. La natura è fondamentale, irrinunciabile, anzi, il progresso civile sembra destinato a doversi arricchire di un rapporto con la natura che sembrerebbe compromesso da duemila anni di modernizzazione, nonostante le follie industriali e belliche che purtroppo i nostri occhi debbono ancora tollerare. Ma che parole usiamo? Quali chiavi adottiamo?Mi ha colpito anzitutto l’insistenza nell’uso della parola «foresta», la Olivetti la predilige alla parola «bosco». Anzi, proprio non vorrebbe consegnarne una definizione, non ama le definizioni, dice. E qui mi soffermerei invece sul peso delle parole che usiamo. La parola «foresta» non è distinta da «bosco» soltanto per una questione di dimensione, tendenzialmente pensiamo che la foresta sia grande almeno tot, mentre il bosco è la dimensione rimpicciolita o contenuta della foresta, ma non è così, o meglio non è soltanto questo. Il «bosco» è di per sé un luogo sì colmo di alberi ma che viene regolarmente governato dagli uomini, mentre la «foresta» anticipa la nostra specie, la «foresta» viene prima di noi, la «foresta» è indipendente da noi in tutto e per tutto. Il «bosco» invece è nato per mano umana, cresce secondo le nostre direttive, ovviamente ogni albero segue le sue caratteristiche ma, ad esempio: quanto possono essere diversi un castagno governato da uomini e accompagnato a crescere e invece un castagno selvatico, o un platano, un faggio, e così via? Le nostre città sono colme di alberi accompagnati a crescere in un unico modo, verso l’alto, favorendo un solo tronco, ma in natura tanti alberi si evolverebbero distintamente. Dunque una «foresta» è un «bosco» dove la gravità dell’interazione tra le diverse specie è molto più ricca e variegata, dove il lavorio segreto delle mille bocche e delle radici è in atto da generazioni e generazioni, con scarsi o nulli interventi umani. La morte convive platealmente con la vita, in una «foresta». C’è una bella differenza nell’attraversare una foresta che da mille anni opera per i fatti propri e un bosco di città creato magari nel 1918, e governato coi consueti altalenanti entusiasmi fino ai giorni nostri. Forse la parola più indicata potrebbe essere «selva», nelle nostre città, ovvero formazioni e aree boscose che vivono e resistono, e proprio qui a Roma basterebbe pensare alle aree più fitte dei parchi di Villa Ada, o la pineta di Villa Doria Pamphilj, senza arrivare alle riserve dell’Insughereta, di Monte Mario o della Marcigliana. Un elemento certamente interessante riguarda l’idea di «foresta civile», ovvero uno spazio urbano dove la «foresta» incontra gli uomini e gli uomini frequentano la foresta, non luoghi inaccessibili, ma frequentabili, attraversabili, il che mi sobilla altri interrogativi. La natura dev’essere per forza avvicinabile? Non stiamo tornado ad uno zoo non degli animali, ma degli alberi? Dei vegetali? Desideriamo, me lo chiedo e lo chiedo a voi, nuove selve civili e urbane per poterci andare? Per frequentarle? Ma queste nature non sono sempre in prestito? Condizionati dai nostri bisogni, gli animali non sono liberi di viverle poiché ci siamo noi, coi nostri pargoli, con la nostra fidanzata, coi nostri anziani padri, che ci camminiamo e dunque la sicurezza, le trazioni, le potature. La foresta forse dovrebbe restare lontano da noi, dove esiste già, ben prima di noi, e qui, se proprio le aneliamo saranno boschi o selve, comunque mai davvero selvatiche, poiché accessibili. Non dimentichiamo che se gli alberi più annosi d’Italia hanno migliaia di anni – c’è chi giura almeno duemila, chi promette i tremila… – gli alberi più annosi delle nostre città arrivano a quattro secoli. Nonostante le mie riserve, La foresta civile è anzitutto un libro ricco di luoghi: l’aspetto che trovo più interessante riguarda i casi di foreste civili e urbane attraversate e descritte, con particolare attenzione per i contesti francese e tedesco. Inoltre il volume presenta due curiosi manifesti: Manifesto della nuova foresta civile, Programma per il Parco Foresta. A ciascuno dunque la foresta che si merita.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)