2023-09-14
I fondi leveranno la casa a chi non la fa green
Assoimmobiliare lancia l’idea: comprare (a prezzi ribassati) gli edifici dai proprietari che non hanno i mezzi per ristrutturarli. I quali riceverebbero in cambio nuove abitazioni. Ma oltre a rimetterci, perderebbero le radici. Magari per finire in un ghetto.Il ministro dell’Ambiente: «Chiediamo all’Europa di valutare le peculiarità dell’Italia».Lo speciale contiene due articoli.Ambizioso. L’aggettivo più amato a Bruxelles emerge prepotentemente nel discorso di Ursula von der Leyen al Parlamento europeo sullo stato dell'Unione, tenuto ieri mattina dalla presidente della Commissione europea a Strasburgo.Si tratta della stessa «ambizione» che porta a pensare che ristrutturare non meno del 50% del patrimonio immobiliare italiano possa arrestare l’innalzamento della temperatura terrestre a un massimo di 1,5 gradi centigradi entro il 2050. Un non sequitur da manuale, su cui però la Commissione e il Parlamento europeo insistono, mentre il governo di Giorgia Meloni sul tema appare a dir poco incerto.Ora, cogliendo l’attimo di imbarazzo del governo e la fase ancora interlocutoria, a Bruxelles, del provvedimento Epbd (Energy Performance of Buildings Directive, la direttiva sul rendimento energetico nell’edilizia), c’è chi mette le mani avanti e propone soluzioni creative. Nelle ultime settimane è circolata una proposta di Confindustria Assoimmobiliare relativa alla creazione di un mercato di sostituzione. Che cos’è in pratica? Si tratta di una sorta di rottamazione degli immobili. In sostanza, i grandi proprietari immobiliari venderebbero case nuove, nelle classi energetiche alte (A, B, C), ricevendo in permuta le case e gli appartamenti nelle classi energetiche più basse. Sarebbero così le grandi società di gestione immobiliare ad investire nelle ristrutturazioni, per poi rivendere le case ristrutturate. «In Europa circa il 25-30% delle abitazioni è gestito da capitali istituzionali che offrono abitazioni di qualità. In Italia siamo appena al 5%», ha dichiarato qualche giorno fa in una intervista a MF Davide Albertini Petroni, presidente di Assoimmobiliare.Assoimmobiliare rappresenta gli operatori e gli investitori istituzionali dell’immobiliare operanti in Italia, sia italiani sia internazionali, e vede fra i propri soci Sgr immobiliari, fondi immobiliari, società immobiliari quotate e non quotate, primari istituti bancari, compagnie assicurative, società pubbliche che gestiscono grandi patrimoni immobiliari, società dei servizi immobiliari, dei servizi legali e tributari e della consulenza al real estate. Si tratta insomma della finanza applicata agli immobili.Secondo Albertini Petroni, il meccanismo della permuta, che ora ha un’imposta di registro del 9%, andrebbe agevolato, fornendo incentivi e sostegni statali. Servirebbe una partnership pubblico-privata, «un’operazione di sistema che coinvolga governo, banche e settore immobiliare», conclude Albertini Petroni.La proposta lascia aperti molti interrogativi e parecchi dubbi. La prima riserva è sul fatto che un meccanismo simile, appena fosse inaugurato, farebbe precipitare il valore delle case da permutare e innalzare quello delle case nelle classi energetiche più alte, con un realizzo immediato della perdita all’atto della permuta.Il secondo dubbio è sul ruolo dello Stato. In questo mercato unico integrato e fortemente competitivo che vorrebbe essere l’Unione europea, in questo autoproclamato paradiso della concorrenza, a quanto pare non si fa altro che reclamare l’intervento dello Stato. Forse, allora, sarebbe il caso di dire esplicitamente che nell’Unione europea lo Stato non serve ad altro che ad assorbire continuamente le inefficienze del mercato generate da politiche europee folli e suicide. Politiche messe in opera, peraltro, da un pugno di funzionari che non rispondono politicamente a nessuno di ciò che fanno e scaricano i costi sui cittadini, che non hanno difesa alcuna.Il terzo dubbio riguarda la fattibilità concreta di tale proposta e i suoi effetti sociali. Chi oggi abita in una vecchia casa in centro città, certamente non efficiente energeticamente, dovrebbe trasferirsi dove, per avere una casa «a norma»? Dove sono le case in classe A? Occorre costruirne di nuove? E dove?L’Italia certo è diversa dal resto d’Europa. Il fatto che, come riporta correttamente Albertini Petroni, nel nostro Paese solo il 5% del patrimonio immobiliare sia nelle mani del capitale istituzionale, ha una spiegazione e un significato culturale.La casa fa parte del concetto tanto enfatizzato del made in Italy, è la base del saper fare e del saper vivere italiano. Fa parte della cultura del buon vivere italiano il concetto di casa, prima ancora che la sua costruzione concreta. In Italia i tre quarti delle case sono di proprietà di chi le abita. Nella cultura italiana, la casa è famiglia, è lavoro, è crescita, è stabilità e gli italiani che vivono all’estero sanno molto bene quanto è diversa la cultura italiana della casa. L’idea di sradicare le persone dalle proprie abitazioni per mettersi nelle mani della finanza immobiliare a molti potrà anche sembrare una buona cosa. Ma la questione si riallaccia all’idea di fondo che tutto è merce, anche la casa, e che la merce deve cambiare proprietario per creare ricchezza. L’onda del progresso pretende un uomo senza radici, volubile, un contenitore senza storia e senza identità, da riempire con i «nuovi» concetti alla bisogna (il green). Forse occorre chiedersi se la nostra identità, di persone e di popolo, vale più o meno di un appartamento in classe A in periferia.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/fondi-leveranno-casa-non-green-2665375826.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="pichetto-sembra-ormai-rassegnato-a-seguire-la-linea-del-male-minore" data-post-id="2665375826" data-published-at="1694674227" data-use-pagination="False"> Pichetto sembra ormai rassegnato a seguire la linea del male minore «Riguardo ai fabbricati e alle case green, non possiamo avere un approccio standard, come chiede l’Europa, senza valutare le peculiarità del nostro Paese. Al ministero dell’Ambiente è partito il gruppo di lavoro con un mandato preciso: la verifica delle classi energetiche e anche la verifica degli strumenti con cui intervenire sulla decarbonizzazione. Ma ci vuole anche una verifica per capire se questo Paese è in grado di produrre quegli strumenti. Facile dire “mettiamo le pompe di calore”, ma poi se non siamo in grado di produrle diventiamo dipendenti da altri Paesi». Non è la prima volta che il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin critica la normativa europea che impone alle nostre abitazioni, in tempo brevissimo, il passaggio alle classi energetiche meno dispendiose. E in questa occasione, come del resto nelle altre, lo fa con un approccio pragmatico e non certo ideologico. Parlando di peculiarità tutte italiane. E della necessità di mitigare l’impatto che per i nostri proprietari di casa rischia di essere devastante. Sopratutto per chi vive nel Mezzogiorno o nelle periferie. Il problema è che in questa, come nelle occasioni precedenti, il rischio, o meglio la quasi sicurezza, è che alle parole del ministro non seguano fatti concreti. O ne seguano pochi. La battaglia per la direttiva sulle case green si sta combattendo passo dopo passo in sede di trilogo (vertice tra i rappresentanti di Comissione, Consiglio e Parlamento Ue). Il prossimo incontro è previsto per il 6 di ottobre, ma nel frattempo i Verdi hanno chiesto ai parlamentari di accelerare l’iter e di arrivare a dama sugli articoli più importanti, soprattutto il 9, quello che stabilisce tempi e modalità di passaggio da una classe energetica all’altra. Ecco, più che le dichiarazioni a favor di agenzia del ministro, servirebbe una forte attività di pressione politica in queste sedi per portare a casa il risultato minimo, l’annacquamento della direttiva, o addirittura quello massimo, farla finire in un vicolo cieco. «In ogni caso», continua il ministro «è una sfida che va giocata sperando nella vittoria e non in difesa. Dobbiamo prevedere un percorso realistico, fattibile e ovviamente discuterne anche a livello europeo». Un percorso che di certo non è quello che aveva in mente la ragazza scoppiata a piangere, a fine dello scorso luglio, dopo aver ammesso di aver paura per il proprio futuro. Di soffrire di eco-ansia. E provocando per questo le lacrime di solidarietà di Pichetto. Comunque, ieri per il ministro è stata anche una giornata di annunci: il Cdm approverà a breve un decreto legge sull’energia per riformare il mercato domestico di luce e gas, prima della fine del mercato tutelato il prossimo 10 gennaio. Il decreto legge comprenderà anche norme per individuare le aree idonee per le rinnovabili e per l’eolico offshsore, e darà la possibilità ai Comuni di autocandidarsi per ospitare la discarica nazionale dei rifiuti nucleari. Il decreto legge è quasi pronto negli uffici del ministero, anche se alcune parti non urgenti potrebbero essere presentate sotto forma di disegno di legge. Pichetto Fratin ne ha parlato nel corso di un convegno a Roma al Gse (la società pubblica per gli incentivi alle rinnovabili) sulle Comunità energetiche rinnovabili. «Il decreto», ha spiegato, «interviene nella liberalizzazione per le famiglie, in un momento in cui non c’è la certezza che il quadro geopolitico tenga, e che quindi i prezzi possano essere previsti». Il 10 gennaio del 2024, infatti, cesserà di esistere il mercato tutelato di luce e gas, dove i prezzi vengono stabiliti da Arera, l’autorità pubblica. Gli utenti in regime di maggior tutela (oggi un terzo del totale) dovranno passare al mercato libero, dove si servono già gli altri due terzi. Chi non lo farà, si vedrà attribuire un operatore in automatico col «Servizio a tutele graduali», che durerà altri 3 anni. Il decreto legge vuole regolare questo passaggio.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)