2021-09-24
Follia: vietato persino lo scuolabus se mamma e papà non hanno il pass
Ordinanza surreale del sindaco di Ornavasso, in Val d'Ossola, che lascia a terra i bambini fino ai 12 anni. A Padova l'università chiede il certificato per accedere al sito. Studenti in rivolta.Green pass dal 20 ottobre per accedere agli scuolabus per gli studenti di età superiore a 12 anni. E - cosa che ha del surreale - i minori di 12 anni che potranno accedere al mezzo che li porta in classe solo se i genitori hanno il lasciapassare verde. Non si tratta di un'ulteriore applicazione estensiva del green pass varata dal governo, ma della decisione, che travalica le restrizioni nazionali, del sindaco di Ornavasso, comune di meno di 3.500 abitanti della Val d'Ossola. Non tutti i ragazzi del comune piemontese dovranno però sottostare alla regola imposta dal sindaco Filippo Cigala Fulgosi, eletto con una lista civica. Infatti l'ordinanza specifica che la limitazione riguarda «l'accesso al servizio di scuolabus in favore dei minori residenti nella frazione di Migiandone e nel comune di Anzola d'Ossola». Secondo le cronache locali il provvedimento ricadrebbe su 21 studenti, residenti nelle due località indicate, ma che, almeno stando al testo dell'ordinanza (la numero 26 del 10 settembre) che non cita nessuna motivazione specifica rispetto a quei luoghi, non risultano essere oggetto di particolari focolai di contagio Covid. Dal 20 ottobre, dunque i ragazzi abitanti nelle due località potranno entrare regolarmente a scuola senza green pass, salire su un autobus del trasporto pubblico, ma non usufruire dello scuolabus. L'ordinanza pubblicata prevedeva addirittura l'entrata in vigore 4 giorni fa, il 20 settembre, ma dopo le proteste, il primo cittadino invece di revocare l'ordinanza ha tirato dritto: «Ci siamo accorti che la data indicata di lunedì 20 settembre è sbagliata, doveva essere indicata quella del 20 ottobre. Detto ciò il concetto resta immutato. Il nostro obiettivo non era però quello di creare problemi ai genitori, ma di tutelare la salute pubblica dei bambini che prendono lo scuolabus e dell'autista del mezzo. Il servizio scuolabus non è a pagamento ma è un servizio gratuito che offriamo ai residenti». Infatti sull'albo pretorio comunale è comparsa una seconda ordinanza che rettifica la data, posticipandola al 20 ottobre prossimo, ma senza aggiungere alcuna motivazione specifica alla restrizione. Che ad oggi è stata collegata solo genericamente alla salute pubblica e, piuttosto curiosamente, alla gratuità del servizio. Saltando dalle scuole dell'obbligo all'università e dal Piemonte al Veneto, emerge invece la resa dello stesso governo alle difficoltà create dalla politica dell'obbligo della certificazione usato come strategia principale nella lotta alla pandemia. A Padova un gruppo di studenti protesta sostenendo, in una lettera per il rettore, che il diritto allo studio «è appena stato subordinato alla indebita comunicazione di dati sensibili e sanitari non solo per accedere all'Università, ma addirittura per usufruire del sito Uniweb, indispensabile per iscriversi ai corsi, visualizzare gli avvisi dei docenti, scegliere il piano studi e molto altro». Ma cosa accade esattamente all'ateneo patavino? Un «protocollo di contenimento del virus Sars-cov2», 26 pagine aggiornate al 14 settembre, recepisce le normative nazionali che impongono il possesso della certificazione anti covid per accedere alle università, valide sia per gli studenti che per il personale. Secondo il decreto governativo varato ad agosto da Palazzo Chigi, i controlli sul lasciapassare nelle scuole e nelle università devono essere effettuati con le stesse modalità in uso in bar e ristoranti, ma con una deroga: «Con riferimento al rispetto delle prescrizioni da parte degli studenti universitari, le verifiche di cui al presente comma sono svolte a campione con le modalità individuate dalle università». All'Università di Padova viene richiesto agli studenti di munirsi di una «dichiarazione per l'accesso alle strutture universitarie», che «viene compilata obbligatoriamente all'interno della procedura informatica di iscrizione all'ateneo o all'interno della piattaforma Uniweb». Come vengono trattati i dati relativi al possesso del green pass all'interno del sistema informatico? Vengono comunicati all'università come denuncia la lettera firmata «Studenti contro il green pass» o servono solo alla compilazione della dichiarazione? Giriamo il quesito, principalmente informatico, all'ateneo. Quello che invece è senza possibilità interpretazione è la frase, anch'essa contenuta nel protocollo: «La certificazione verde COVID-19 è verificata a campione». Una facoltà, come abbiamo visto, concessa dal decreto di agosto. Con buona pace dei ristoratori, personale scolastico, organizzatori di eventi e di tutte le altre categorie che si devono assumere la responsabilità di controllare ogni green pass.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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