2024-08-25
Vent’anni di flop delle politiche verdi. Costano tanto, non servono a niente
Uno studio di «Science» svela: solo il 4% delle misure attuate dal 2000 al 2022 ha funzionato. Ma il taglio netto delle emissioni è stato solo dello 0,15%: è l’ennesima conferma che gli obiettivi dell’Onu sono irrealistici.Vent’anni di politiche green demolite in un secondo da Science. Non che fosse questo l’obiettivo della prestigiosa rivista scientifica: in un articolo appena uscito, la testata ha analizzato le misure ecologiste attuate, tra il 2000 e il 2022, in 41 Paesi, sparsi in sei continenti. L’esito dell’analisi, però, non lascia molto margine alle arrampicate sugli specchi degli ambientalisti: di 1.500 tipologie d’intervento, solamente 63 hanno contribuito a una significativa riduzione delle emissioni. In pratica, il 4%. Gli autori dello studio si sono guardati dallo stimare i costi di quella sessantina di provvedimenti - figuratevi degli altri 1.400. Ma c’è da scommettere che le cifre in ballo farebbero venire le vertigini, se si considera che per attuare la direttiva Ue sulle case green, soltanto in Italia, servirebbero almeno 180 miliardi. Un onere da 60.000 euro ad abitazione.Ora, immaginate di aver speso una somma enorme per un progetto, durato oltre due decenni, per poi scoprire che avete ottenuto un risultato modestissimo. Cosa fareste? A parte mordervi la lingua, a parte abbandonarvi a irripetibili imprecazioni, con ogni probabilità seppellireste per sempre quel progetto. Già. Ma voi siete voi. E i soldi sarebbero i vostri. Quando si usano i soldi degli altri, invece, certe preoccupazioni non si manifestano. Ecco perché i sostenitori della transizione ecologica, installati nei palazzoni di Bruxelles, non cambieranno idea: il Green deal s’ha da fare. Contro ogni evidenza.Torniamo al paper di Science. Su X, Bjorn Lomborg, attivista danese già noto per il suo impegno nel demolire le balle catastrofiste, ha offerto spunti di lettura molto interessanti. Secondo la ricerca, l’insieme delle politiche più efficaci - di solito un mix di misure: incentivi per l’efficientamento energetico degli edifici, bonus per il passaggio ad auto meno inquinanti, riforme del sistema fiscale che premiano le attività ecocompatibili - ha portato a una riduzione complessiva delle emissioni di CO2 compresa tra 0,6 e 1,8 miliardi di tonnellate metriche. Sembra un’enormità, benché l’obiettivo sia stato raggiunto in 22 anni. Solo che il quadro inizia ad apparire meno roseo - anzi, meno verde - se si guarda alla quantità di anidride carbonica sparata nell’atmosfera dai 41 Stati passati in rassegna dai climatologi. In totale, parliamo di 778 miliardi di tonnellate metriche, stando ai registri consultabili su Our world in data. Cosa significa? Che il fiasco dell’ambientalismo non si ferma alla certificata inutilità del 96% circa degli interventi green. C’è di più: persino quelli dal maggiore impatto, a conti fatti, ossia inserendo nel conteggio la CO2 liberata nell’aria negli ultimi due decenni, ci hanno consentito di limitare le emissioni solamente dello 0,15%. Che dire? La montagna non ha partorito nemmeno un topolino; un lombrichetto, al massimo.Per avere un’idea più precisa dell’entità dell’insuccesso, dobbiamo confrontare la realtà con i pii desideri espressi negli accordi di Parigi e nell’agenda Onu. Sottolineavamo che le 63 politiche eco-friendly ci hanno condotto a un risparmio massimo di 1,8 miliardi di tonnellate metriche di CO2. In vent’anni. Sapete quante ne dovremmo tagliare, in base ai diktat delle Nazioni Unite? 23, fino al 2030. Ma ogni anno. La sproporzione tra i fatti e la fantasia è autoevidente.Sarebbe opportuno tenere a mente questi numeri, per le occasioni in cui gli ideologi della transizione provano a coprire le loro vergogne con la foglia di fico della scienza.In fondo, basterebbe una testa pensante per comprendere che vanno distinte tre questioni differenti. La prima: esiste o non esiste il cambiamento climatico? Ammettiamolo. Dopodiché, sorge un altro quesito: il cambiamento climatico dipende - e, se sì, in quale misura - dall’uomo? Qui, il discorso si fa più complesso. Ma anche accettando la versione dell’Ipcc, cioè che esso sia un fenomeno antropico, non per forza bisognerebbe rispondere «sì» alla terza domanda: è necessario adottare il Green deal? No. Non è affatto scontato che si debba sperperare denaro pubblico o, peggio, che si debbano depauperare i cittadini, si debbano mettere in pericolo la loro proprietà immobiliare, il loro diritto alla mobilità privata e il loro stile di vita, al fine di azzerare le emissioni climalteranti, mentre i principali inquinatori del mondo, dalla Cina all’India al Brasile, proseguono ad avvelenare l’atmosfera. Guadagnando ulteriori vantaggi competitivi sull’Occidente e, magari, rendendolo dipendente dalla loro supply chain di materie prime. Ora che abbiamo letto Science e le giuste considerazioni di Lomborg, inoltre, cominciamo persino a dubitare che le riforme verdi siano davvero capaci di farci risparmiare CO2.Giulio Andreotti scherzava: gli ambientalisti sono come i cocomeri, verdi fuori e rossi dentro. Della loro passione dirigista e collettivista, ormai, abbiamo prove inconfutabili. Erano preferibili i loro antenati, i comunisti rossi anche fuori. Senza dissimulazione. Prima che, al sol dell’avvenire, qualcuno sostituisse il net zero.
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