2019-03-14
Fino a ora il memorandum con la Cina porta rischi senza garantire benefici
Seguire il Dragone sulla Via della seta ci sta mettendo in mezzo al fuoco incrociato tra due super potenze. Ma non è chiaro se il gioco valga la candela. Se gli investimenti cinesi fossero davvero di soli 2 miliardi, no.Nel 2014 il Bullo e il presidente Bassanini cedettero il 35% della divisione Reti della Cassa al colosso China State Grid. Che ora ha un piede nel settore strategico per la banda larga.Lo speciale contiene due articoli.Mentre Usa e Cina trattano sui dazi, i due colossi si scannano sempre più. Ieri Il segretario di stato americano, Mike Pompeo, ha pure affermato che la Cina «non ha eguali» come Paese che viola i diritti umani, riferendosi in particolare alla campagna di Pechino contro le minoranze degli uiguri e dei musulmani. Parole dure nel momento in cui Washington e Pechino stanno cercando di chiudere l'accordo e organizzare l'incontro tra Donald Trump e Xi Jinping. Pompeo - che ha presentato il rapporto annuale del Dipartimento di stato sui diritti umani - ha sottolineato la durezza dei campi di rieducazione in cui vengono confinati uiguri, kazaki e altre minoranze di religione musulmana parlando di atroci abusi, con oltre un milione di persone seppellite su ordine delle autorità. L'accusa è chiaramente mirata ad alzare i toni. L'approccio cinese al terrorismo islamico è in realtà un esempio da studiare con interesse, ma è chiaro che il motivo del contendere è tutt'altro. La tecnologia del 5G e la supremazia nel mondo della cybersecurity. Tutto ciò ci riguarda molto da vicino, perché l'Italia sembra esserci cascata con tutti e due i piedi. L'arrivo di Xi Jinping in Italia e la firma del memorandum per la Via della Seta ha alzato un enorme polverone. Gli Stati Uniti si sono immediatamente schierata contro l'Italia e il governo stesso ha inizialmente vacillato per poi più volte confermare la volontà di tenere salda l'asse atlantista. Il ministero dello Sviluppo economico l'altro ieri ha ufficialmente smentito, con una nota, l'ipotesi di accordi sulla tecnologia 5G nel corso della visita del presidente cinese in Italia. Il memorandum of understanding tra Italia e Cina «non comprende alcun accordo sulle telecomunicazioni. Il ministro Luigi Di Maio ha istituito presso l'Iscti del ministero il Centro di valutazione e certificazione nazionale (Cvcn) per la verifica delle condizioni di sicurezza e dell'assenza di vulnerabilità di prodotti, apparati, e sistemi destinati a essere utilizzati per il funzionamento di reti, servizi e infrastrutture strategiche, nonché di ogni altro operatore per cui sussiste un interesse nazionale». L'opinione pubblica oggi sta dimenticando che le premesse per arrivare all'attuale memorandum sono state impostate dalla sinistra. A partire da Romano Prodi fino a Franco Bassanini, a cui si deve la regia dell'ingresso cinese in Cdp Reti. Ne abbiamo più volte scritte su queste colonne e per questo l'attuale paradosso è ancora più acceso. La vera «ciccia» degli accordi è stata gestita dai precedenti governi. L'attuale rischia di mettere la firma sotto una cornice che non ha il pregio di indicare le somme degli investimenti.Da un lato ci sono impegni programmatici su temi come le infrastrutture, collaborazione finanziaria e tutela ambientale. C'è pure una clausola abbastanza ridicola che rischia di trasformare l'accordo in un contratto di locazione con la possibilità di recedere con domanda anticipata di tre mesi. Non si capisce quanti miliardi la Repubblica popolare cinese abbia intenzione di immettere nella nostra economia. Il memorandum rischia di farci litigare con gli Usa. A quel punto deve valerne la candela. Per 100 miliardi se ne discute a tutti i livelli. per due miliardi di investimenti (un'ipotesi circolata) perché mettersi in un cul de sac? E ciò al netto della questione 5G. Se è veramente in gioco la sicurezza nazionale, i criteri di valutazione non possono essere solamente economici. Lo ha ribadito anche Matteo Salvini. Però vale anche l'uso del bilancino. Perdere gli investimenti di Huawei per l'Italia sarebbe un problema. Gli Usa non dovrebbero credere di imporre veti senza mettere sul tavolo un po' di miliardi di investimenti sul nostro territorio. Donald Trump è un nostro alleato. Ma è bene ricordare che la Penisola è strategica e in quanto tale ha un elevato valore aggiunto. La trasmissione dei dati in Italia è molto più sensibile che in qualunque altro posto del mondo. Abbiamo cavi sensibili per Israele e per il controllo dell'intero Mediterraneo. Ciò deve comunque avere un valore. Non può essere gratis, nemmeno per gli americani. Non si può infatti dare per scontato che un ambasciatore straniero convochi il numero uno di Tim per dare disposizioni. Un motivo in più per approcciare la Cina in modo laico. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/fino-a-ora-il-memorandum-con-la-cina-porta-rischi-senza-garantire-benefici-2631537632.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="con-renzi-pechino-e-entrata-in-cdp" data-post-id="2631537632" data-published-at="1757388937" data-use-pagination="False"> Con Renzi, Pechino è entrata in Cdp Ci si preoccupa molto (e con valide ragioni) per l'ormai prossima adesione italiana alla Via della seta cinese, ma molti di quelli che oggi strepitano o tacquero o addirittura applaudirono, meno di 5 anni fa, quando l'Italia - di fatto senza dibattito - si aprì a quella che potremmo chiamare «Via della seta energetica». Premier era Matteo Renzi, ministro dell'economia Pier Carlo Padoan, e gran cerimoniere l'attivissimo Franco Bassanini, allora presidente di Cdp. Come andarono le cose? Nell'estate del 2014, protagonista dell'operazione fu il gigante cinese China State Grid: dove «State» fa capire che si tratta di un'azienda pubblica (altro che privatizzazione, quindi!) e «Grid» non va confuso con greed («avidità» in inglese), ma vuol dire «rete». Stiamo parlando della più grande utility al mondo, un colosso - allora - da 298 miliardi di dollari di ricavi, impegnato nella costruzione e nella gestione della rete energetica operante sull'88% del territorio cinese, oltre che strumento per aggressive strategie di proiezione internazionale. Il gigante di stato di Pechino si aggiudicò ben il 35% di Cdp Reti, la società della Cassa depositi e prestiti che si occupa delle reti: quindi sono entrate in gioco le reti energetiche italiane, incluse Snam e Terna. L'operazione fu perfezionata tra il 30 e il 31 luglio del 2014, quando l'ad di Cdp Giovanni Gorno Tempini e il presidente del colosso cinese Zhu Guangchao firmarono un'intesa a Palazzo Chigi alla presenza del premier Renzi. Un Padoan esultante parlò di «una tappa molto importante, ma solo una tappa, del processo di integrazione economica tra Italia e Cina che si va rafforzando quotidianamente». Prezzo? Poco più di 2 miliardi. Per i cinesi, un affarone: l'investimento non solo era considerato sicuro e in grado di garantire un flusso costante di cassa, ma era inquadrato in una più ampia strategia per fare dell'Italia il proprio hub nel cuore dell'Europa, un passo avanti verso l'espansione delle loro attività globali. Di più: i cinesi, con l'ingresso in un vasto mercato fortemente deregolamentato, si collocavano in posizione privilegiata per eventuali dismissioni di utility da parte di enti locali italiani alle prese con conti in dissesto. I difensori dell'operazione dissero: 2 miliardi non sono pochi, e l'Italia mantiene la quota di controllo. Affermazioni vere, per carità. Peraltro, i mainstream media italiani, grandi supporter dell'operazione, si affrettarono a giustificare tutto, spiegarono che non c'erano grandi alternative, e che i fondi infrastrutturali esteri, che pure inizialmente avevano mostrato interesse per il dossier, avrebbero poi rinunciato all'investimento. E alcuni boiardi di Stato e parastato plaudirono all'operazione, majorette di sé stessi. Sta di fatto che le interrogazioni parlamentari presentate rimasero senza risposta. E nessuno diede spiegazioni convincenti su almeno quattro punti. Primo: perché fu scelto proprio quel partner, geopoliticamente così discutibile? Secondo: perché, in un Paese in cui il dibattito politico avviene su vicende anche piccolissime, su una questione così grande ci fu invece un gran silenzio? Terzo: perché coinvolgere un partner così aggressivo in un settore strategico e ultrasensibile per la sicurezza nazionale come quello delle reti? Quarto: perché non fu seguita la strada maestra di una gara internazionale? Un po' tutti, all'epoca, rimasero afoni. Oggi invece strillano. Ma le conseguenze della scelta di allora possono farsi sentire proprio adesso. Sarà duro tenere anche il tema della banda larga fuori da quella «scatola». E sarà ancora più complicato spiegare ai partner atlantici (Washington in testa) come mai, in 5 anni, si siano aperte a Pechino prima le porte delle reti e poi quelle di altre infrastrutture fisiche decisive (porti). Sarà vivamente sconsigliabile pensare che gli interlocutori non capiscano, e provare a raccontar loro che è solo una questione commerciale, senza implicazioni geopolitiche.
Ecco #DimmiLaVerità dell'8 settembre 2025. Il generale Giuseppe Santomartino ci parla dell'attentato avvenuto a Gerusalemme: «Che cosa sta succedendo in Medio Oriente? Il ruolo di Hamas e la questione Cisgiordania».