2025-11-04
Addio a Giorgio Forattini, artista maestro della satira: «I migliori comunisti sono i ricchi»
Il vignettista è morto oggi a Milano e nell’arco di una vita ha assemblato un mosaico fatto di 14.000 caricature che hanno graffiato Papi, leader e capi di Stato. Collaborò con «Repubblica», «Il Giornale» e «Panorama».All'interno una selezione di strisce riprese dai numeri di «Panorama» degli anni 1992, 1997, 2001, 2003.Era il bambino che indicava i re nudi e li faceva impazzire. «I migliori comunisti sono i ricchi». E vai con la vignetta in cui Enrico Berlinguer in vestaglia e pantofole è seduto in poltrona a leggere l’Unità e a sorseggiare tè, infastidito dagli echi di una manifestazione che arrivano dalla finestra. «Bettino Craxi non sopporta le critiche». E giù a disegnare il leader socialista come un duce con fez, orbace e stivaloni. «Walter Veltroni è mellifluo, scivoloso». Niente di meglio che tratteggiarlo come un lombricone. Massimo D’Alema gli chiese 3 miliardi di lire di risarcimento. Giulio Andreotti, una delle sue vittime preferite, si rifiutò sempre di portarlo in tribunale. «Perché mai, è lui che mi ha inventato».Giorgio Forattini è scomparso a 94 anni nella sua casa di Milano, in zona Porta Venezia, assistito dalla seconda moglie Ilaria Cerrina Feroni, nobile fiorentina, storica addetta stampa di Mondadori libri. Se n’è andato dopo aver attraversato quasi tutta la Prima repubblica con la matita in mano. Maestro di satira e di giornalismo, in mezzo secolo ha messo insieme 55 libri (tre milioni di copie vendute) e 14.000 vignette, alcune delle quali valevano molto più dei pensosi editoriali di opinionisti dalla prosa impervia. Cattivo, semplice, diretto, ha fustigato premier, presidenti, Papi, ha rappresentato con il suo tratto le grandi tragedie, il terrorismo politico, le stragi di mafia, fino al crollo della partitocrazia con Tangentopoli. «Le mie linee guida stavano in due paroline: libertà e divertimento. So di aver fatto arrabbiare tantissime persone. Forse perché le rappresentavo com’erano e non come volevano essere rappresentate».Pilastro di Panorama con le Mascalzonate e della Repubblica di Eugenio Scalfari («lui l’ha inventata, io l’ho disegnata»), Forattini ha lavorato anche per La Stampa, Il Giornale, L’Espresso, Qn, ha diretto Il Male ed è sempre stato fiero del tesserino da giornalista professionista. Come tale veniva trattato: querela, querela, querela. Era una battaglia quotidiana. «D’Alema, allora premier, arrivò a querelare solo me senza il giornale, chiedendomi 3 miliardi di lire per la vignetta sull’affare Mitrokhin. Fu la prima volta che un politico pretese un risarcimento così alto e senza il giornale. Un precedente pericolosissimo contro la libertà di satira». Il disegno raffigurava il politico mentre, con un bianchetto, cancellava il proprio nome dalla lista dei beneficiari delle attività illegali del Kgb in Italia. D’Alema ritirò la denuncia ma Forattini se ne andò da Repubblica perché non si era sentito difeso a sufficienza. Ultima vignetta: Eugenio Scalfari nudo che si taglia con una falce il pisello a forma di matita mentre nell’altra mano impugna un martello. Mite, gentile ma irritabile (in casa lo chiamavano Isterix), il re Mida della satira qualche anno fa rivelò: «Pur lavorando soprattutto in giornali di sinistra sono stato querelato 20 volte solo da esponenti di sinistra. È la conferma che quella parte politica non accetta la satira quando le è rivolta contro». Scatenò un putiferio su Panorama un’altra vignetta con D’Alema e il testo «Io rublo, tu rubli».Giorgio Forattini è nato a Roma il 14 marzo 1931 da una casalinga e da un dirigente dell’Agip. Dopo il liceo classico si è iscritto ad Architettura ma non è mai arrivato in fondo, anche perché a 22 anni si è sposato e ha cominciato a dover mettere insieme il pranzo con la cena. Come cantava Giorgio Gaber «Non ha mai fatto il ladro e le collanine». Tutto il resto si: operaio, rappresentante di elettrodomestici e poi di prodotti petroliferi, consulente di una casa di edizioni musicali, agente pubblicitario, copywriter. Mago del disegno e della battuta, crea campagne per la Fiat e l’Alitalia. A 40 anni la svolta. Il quotidiano comunista freak Paese Sera indice un concorso satirico, lui partecipa e vince. «Creai una striscia con un protagonista che si chiamava Stradivarius, un rappresentante di commercio romantico, che amava la musica e quando tornava a casa si metteva a suonare il violino con una parrucca in testa». Come premio viene assunto: disegnatore e grafico impaginatore. La sliding door della vita arriva nel 1974, referendum sul divorzio. Forattini celebra la vittoria disegnando Amintore Fanfani come un tappo (era basso di statura) che salta da una bottiglia di spumante con un grande «No» sull’etichetta. «Me l’aveva suggerito un tipografo dicendomi qualche ora prima «stai a vedere che il tappo salta», riferendosi al leader dc antidivorzista». L’aneddoto conferma che il suo valore non stava nel cogliere la battuta ma nel cogliere la notizia. Questa sensibilità lo porta lontano, oltre gli orizzonti del disegno, e lo fa approdare al giornalismo più lirico e profondo. Forattini tocca quelle vette almeno due volte. La prima rappresentando il dramma dell’Achille Lauro con la carrozzina di Leon Klinghoffer, ucciso dai terroristi arabi, su una spiaggia al tramonto. La seconda quando, dopo la morte di Giovanni Falcone, disegna la Sicilia con il muso di un coccodrillo che piange lacrime di ipocrisia. «La mia condanna è far ridere ma dentro sono profondamente triste», rivela un giorno. È pronto a raccontare la perdita del figlio Fabio, trovato morto in casa a 52 anni sui Colli Romani. Se n’è andato un grande e non ha lasciato eredi. Un grande perché non aveva paura di camminare da solo dentro un magma mediatico già dominato dal pensiero unico. Un grande perché al pensiero forte aggiungeva la battuta folgorante e la mano non gli tremava mai, soprattutto in capolavori come «Nudi alla meta», «Satyricon», «Pagine gialle». Allora prendere in giro Berlinguer era come insultare il papa; Forattini non si è mai dimenticato di sbeffeggiare anche i pontefici. Ciriaco De Mita con la coppola, D’Alema in divisa da Hitler comunista, Umberto Bossi come Alberto da Giussano, Rocco Buttiglione gorilla, Romano Prodi curato di campagna. Oggi sarebbe impossibile, oggi verrebbe zittito come sessista, razzista, esempio deteriore di body shaming. Il personaggio preferito? «Spadolini nudo, innocente come un putto». C’è una vignetta di cui si vergognava un po’, quella dello scheletro di Raul Gardini al timone di una barca a vela, dopo il presunto suicidio. Collezionista di ritratti, ne possedeva 1500 fra le case di Milano e Parigi. Tirato per la giacca da tutti fino a quando non ha deciso di ritirarsi una decina di anni fa, nelle ultime interviste ha regalato il suo testamento politico. Riassumibile in una frase: «Non sono mai stato di sinistra. E neanche di destra. Sono sempre stato un uomo libero. La verità è che detesto l’integralismo. Non sopporto nessun partito, e ho detto tutto». Anche lui come il titolo di un suo libro, nudo alla meta.
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