2023-02-18
Se il 110% è finito in un disastro figurarsi le norme green sulla casa
Il drastico stop imposto dal governo motivato dal timore che i crediti generati dal bonus vengano contati come deficit. Ora arriva la transizione verde, che costerà 140 miliardi all’anno. Che non possiamo permetterci.Giovedì mattina viene convocato il Consiglio dei ministri. Fissato per metà pomeriggio. All’ordine del giorno, diversi punti. Il più importante dei quali è la semplificazione della burocrazia attorno al Pnrr. Poi, alle 4 del pomeriggio, mezz’ora prima dell’avvio del cdm, l’ordine del giorno viene integrato con un nuovo decreto: «Misure urgenti in materia di cessione di crediti d’imposta relativi agli incentivi fiscali». Un intervento improvviso che stravolge l’intero cdm e in poco meno di tre ore decreta la fine improvvisa dei bonus edilizi per come li ha voluti il governo Conte bis. Da oggi, in pratica, niente più cessione dei crediti d’imposta e nemmeno sconti in fattura. Restano i vari bonus edilizi (dal superbonus 90% al bonus facciate, a quello per il verde o l’acqua potabile), ma sarà consentito soltanto utilizzare le detrazioni previste dalla legge sul proprio cassetto fiscale. Se il reddito lo consente e si ha capienza, si utilizza l’intero importo previsto, altrimenti si finisce col perdere l’occasione. Unica differenza rispetto al pre Conte bis è che questo governo ha allungato il periodo di beneficio fiscale. Detto questo c’è da chiedersi: perché un intervento così drastico in così poco tempo? Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti hanno tirato un colpo di spugna che nemmeno il governo precedente aveva osato. Mario Draghi si era sempre detto contrario e ha cercato di ostacolarlo più volte rendendo le pratiche burocratiche barriere sempre più alte. Eppure non l’ha mai abolito. In occasione della manovra, il governo Meloni ha, come tutti ricorderanno, abbassato la percentuale del superbonus dal 110 al 90% riducendo il perimetro di utilizzo. Nel frattempo però il Mef si è accorto che i crediti in circolazione sono arrivati all’incredibile cifra di 110 miliardi. Di questi, circa 6 sarebbero in mano alle aziende edili. Più o meno 9 sarebbero i miliardi riconducibili a truffe. Il resto dei crediti è in pancia alle banche e agli intermediari finanziari. Avendo più volte l’Europa specificato che i crediti non possono diventare moneta fiscale, il rischio concreto è che questa massa di detrazioni dreni il gettito e quindi la liquidità dello Stato. Senza questi soldi, diventerebbe difficile pagare gli stipendi pubblici o le pensioni. A questi timori si è aggiunta l’indiscrezione giunta al governo giovedì che Eurostat possa a brevissimo tornare sul tema. Palazzo Chigi teme che i 110 miliardi vengano classificati come deficit. Se la voce sarà imputata agli anni fiscali 2021 e 2022 il problema è gestibile. Se anche solo 50 dei 110 miliardi finissero come deficit del 2023, il combinato disposto della scarsa liquidità in ingresso e della batosta improvvisa nel rapporto tra deficit e Pil metterebbe a rischio la stabilità stessa del bilancio dello Stato. Da qui la decisione improvvisa di tirare giù le saracinesche e dare un segnale anche all’Eurostat di un cambio di passo drastico. Certo, restano aperti due interrogativi. Il primo riguarda la comunicazione. Perché non addebitare direttamente al governo Conte il pasticcio e i numerosi errori di calcolo che, ad esempio, il nostro quotidiano ha più volte descritto? L’altro interrogativo riguarda il futuro degli incentivi e degli interventi sulla casa. Molti condomini resteranno in mezzo al guado e si troveranno, se vogliono proseguire con la ristrutturazione, a pagare più di quanto previsto, le aziende si trovano con un potenziale buco di 5 o 6 miliardi. Il governo sarà tenuto a sanare questa situazione. Cambiare le regole in corsa comporta infatti l’obbligo di indennizzi. Diverso è il tema della bolla finanziaria che si è venuta a creare. Potrà essere spostata nel tempo, ma come potrà essere diluita? Al momento questo non è chiaro. Ciò che è invece chiaro è l’insegnamento che si può trarre da tutta la vicenda. Lo schema incentivi a pioggia è fallito. Ma se non si è riuscita a gestire una idea sicuramente positiva per il rilancio del Pil, che cosa succederà quando il Paese si troverà a dover fronteggiare l’obbligo della transizione verso le case green? Anche depurato dalle truffe e dalla bolla finanziaria, il bilancio del nostro Paese non sembra in grado di gestire 60 miliardi di minori introiti salvo rischiare di andare gambe all’aria. Le norme Ue sugli immobili costerebbero 1.400 miliardi in dieci anni. Significa che almeno 140 miliardi ogni anno dovrebbero essere messi in cantiere. Gli italiani non hanno la disponibilità di denaro per pagarsi tutte queste ristrutturazioni e i futuri governi non potranno erogare incentivi così ampi. Non serve altro per capire che la strada che Bruxelles vuole imporre porterebbe a un default del Paese o nel migliore dei casi (lo scriviamo in modo ironico) alla spoliazione del patrimonio immobiliare a favore di fondi esteri. Tertium non datur.