2018-11-01
Finanziaria in Aula. Slittano i tagli alle pensioni d’oro e il reddito M5s
I primi sussidi saranno erogati da luglio. Emendamento ad hoc per la stretta agli assegni. Prima finestra di quota 100 ad aprile.Nell'ultima bozza della legge di bilancio, ha destato attenzione (articolo 5) l'introduzione di una flat tax al 15% per le ripetizioni scolastiche e le lezioni private, con l'obiettivo di attivare un potente incentivo all'emersione di attività finora molto spesso svolte in nero.Il Coni manterrà la pompa, il prestigio, le sfilate, la preparazione alle Olimpiadi e i relativi e meritati applausi, oltre al formale governo dello sport italiano. Ma perderà il salvadanaio.Lo speciale contiene tre articoli.Finalmente la manovra è arrivata in Parlamento, con tanto di bollinatura della Ragioneria dello Stato. Sono 75 pagine e 108 articoli che confermano la linea complessiva delle decisioni del governo, sebbene i cosiddetti tecnicismi andranno a cambiare non poco i tempi di attuazione. E questo farà la differenza sostanziale ai fini del calcolo del deficit. In poche parole, i gialloblù vogliono mantenere le promesse elettorali ma diluirle un po' nel tempo, consapevoli che Bruxelles leggerà la mossa come un messaggio di distensione. La manovra prevede dunque pace fiscale allargata (per quanto riguarda il saldo e stralcio) anche alle cartelle superiori ai 1.000 euro, flat tax per le partite Iva con un spesa complessiva che si avvicina a 1,4 miliardi di euro, interventi per favorire le politiche di sostegno della famiglia così come il fondo di ristoro per gli sbancati. In realtà, quest'ultima voce avrà una dotazione finanziaria iniziale di 525 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021 ma sarà alimentata - per 25 milioni per ciascuno degli anni del triennio - da risorse già stanziate dalla legge di bilancio 2018 e per 500 milioni di euro sul 2019 mediante risorse della contabilità speciale, versate all'entrata del bilancio dello Stato entro il 30 marzo 2019. In altre parole, il grosso arriverà dai conti dormienti che lo Stato inizia a incamerare al decimo anno di giacenza. Ciò che però rappresenta la vera novità dalla manovra di Giuseppe Conte è quanto esce dal testo per rientrare nel decreto legge collegato. Si tratta della riforma pensionistica e del reddito di cittadinanza. Lo stesso Luigi Di Maio ha confermato che né il reddito di cittadinanza né la riforma delle pensioni con quota 100 sono presenti in manovra, ma soltanto gli stanziamenti per le due misure (circa 7 miliardi di euro per ciascuna). «Nella legge di bilancio ci sono i fondi», ha detto. «Le norme che dispongono come accedere a quota 100 e al reddito di cittadinanza credo saranno oggetto di un decreto subito dopo la legge di bilancio, o prima della fine dell'anno». Questo vuol dire che il reddito di cittadinanza e la riforma delle pensioni saranno esaminati successivamente alla legge di bilancio, con iter diversi e tempi più lunghi. Secondo quanto risulta alla Verità, i due pilastri del contratto di governo saranno inseriti nel dl collegato, il quale non sarà però con iter ordinario ma di delega. L'articolo 76 della Costituzione concede alle Camere la possibilità di attribuire al governo il potere legislativo. Si tratta in poche parole di una delega preventiva che consente al governo di muoversi senza sorprese o agguati purché stia all'interno di un perimetro ben definito. Di solito lo si fa per le leggi fiscali. Lo schema ha però un lato negativo: i tempi. La storia insegna che servono almeno quattro mesi per completare l'iter nel caso in cui tutto fili liscio. Il che vuol dire che, una volta chiusa la parentesi della legge finanziaria, partirà l'iter. Che si chiuderà intorno a fine marzo o all'inizio di aprile. Significa che l'avvio di quota 100 resterà nei tempi previsti dall'accordo iniziale. Sono stimate quattro finestre di uscita, la prima delle quali partirà proprio ad aprile. Ma se per quota 100 basterà aprire il rubinetto, per il reddito di cittadinanza i tempi saranno più lunghi. Il decreto collegato richiederà, secondo quanto risulta alla Verità, numerosi decreti delegati che fisseranno l'avvio del reddito di cittadinanza non prima di metà luglio. Ciò permetterà, una volta imbastita la legge delega, ai 5 stelle di mettere la bandierina sull'operazione, e di farlo prima che si svolgano le elezioni europee di maggio. Al tempo stesso, gli assegni non verranno staccati nell'immediato (la definizione degli aventi diritto e delle modalità di erogazione e controllo richiedono un iter complesso) e il contatore della spesa in Bilancio scenderà ulteriormente. In poche parole, il reddito di cittadinanza per il 2019 è previsto, ma negli effetti peserà solo per cinque mesi su 12. Va segnalato che a slittare ieri è stato anche il taglio delle pensioni d'oro. Alcune fonti parlano della necessità di un parere di costituzionalità, altri lasciano intendere si sia trattata di una scelta politica. In ogni caso, accantonato il metodo di calcolo ipotizzato dal numero uno dell'Inps, Tito Boeri, nel testo della manovra ieri non si è letto nemmeno del contributo di solidarietà progressivo che in sostanza ridurrebbe gli importi superiori ai 4.500 euro netti, però a partire dai 2.800, creando un pericoloso precedente: lo schema applica nei fatti una logica progressiva. Va inoltre ricordato che dal primo gennaio scatterà l'adeguamento Istat. La rivalutazione degli assegni costerà circa due miliardi in più allo Stato. Fonti di governo confermano che il taglio delle pensioni d'oro rientrerà tramite emendamento o in un dei decreti collegati alla manovra. Ciò potrebbe permettere al governo di utilizzare lo schema progressivo per tagliare la rivalutazione delle pensioni proprio partendo dalla soglia dei 2.800 euro. Sebbene fino ai 3.000 euro netti si tratterebbe di meno di un euro al mese, lo scherzetto consentirebbe di risparmiare una cifra che viaggia intorno al miliardo e mezzo. Insomma, una serie di colpetti al timone che spiegano una serie di dichiarazioni positive sulla manovra e sulla stabilità del comparto bancario, che come tutti ormai sanno è collegato a doppio filo con l'andamento dello spread. «Non c'è una crisi bancaria all'orizzonte nel sistema italiano, ma occorre tranquillizzare i mercati, senza creare ansia», ha spiegato il numero uno di Intesa, Carlo Messina, che, sull'ipotesi di un nuovo intervento dello Stato in caso di una crisi nel sistema bancario, ha gettato acqua sul fuoco affermando che «prima di tutto lavoriamo sulla fiducia nel Paese, poi parleremo di quello che può succedere». Anche il livello di spread (ieri a 304) non desta preoccupazione perché «i fondamentali del Paese sono solidi», ha continuato Messina. «Indubbiamente lo spread è un indicatore che riguarda più la fiducia che i fondamentali di un Paese: i fondamentali dell'Italia sono solidi. Siamo qui a celebrare il risparmio», ha aggiunto il banchiere, «e con 10.000 miliardi di risparmi penso che più solido di così questo Paese non possa essere». Ecco che dal banchiere di sistema è arrivata la vera bollinatura alla manovra.Claudio Antonelli<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/finanziaria-in-aula-slittano-i-tagli-alle-pensioni-doro-e-il-reddito-m5s-2616912666.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="laliquota-al-15-farebbe-molto-pero-alle-famiglie-servirebbe-la-detraibilita" data-post-id="2616912666" data-published-at="1763783882" data-use-pagination="False"> L’aliquota al 15% farebbe molto, però alle famiglie servirebbe la detraibilità Nell'ultima bozza della legge di bilancio, ha destato attenzione (articolo 5) l'introduzione di una flat tax al 15% per le ripetizioni scolastiche e le lezioni private, con l'obiettivo di attivare un potente incentivo all'emersione di attività finora molto spesso svolte in nero. Secondo la norma, dal primo gennaio 2019, «i titolari di cattedre nelle scuole di ogni ordine e grado» potranno chiedere l'applicazione di «un'imposta sostitutiva dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali pari al 15%, salva l'opzione per l'applicazione dell'imposta sul reddito nei modi ordinari». Quindi un'opportunità in più, un'alternativa, se ritenuta vantaggiosa. Ma quali sono le dimensioni del fenomeno? Di che «mercato» stiamo parlando? Un prezioso e accuratissimo studio di due anni fa, curato da Lorenzo Castellani e Giacomo Bandini, offre cifre impressionanti: metà degli studenti delle superiori si avvarrebbero attualmente di lezioni private; il giro d'affari sarebbe complessivamente di 800 milioni l'anno, e in 9 casi su 10 le ripetizioni avverrebbero senza dichiarazioni al fisco: quindi in nero. E la spesa sostenuta dalle famiglie? Secondo Castellani e Bandini, ci sarebbe una spesa media di 27 euro l'ora per ciascuna materia oggetto di ripetizioni. Nel paper dei due ricercatori, si calcola che in media, per recuperare la sufficienza, lo studente e la sua famiglia prevedano un numero di ore di lezioni private variabile tra 50 e 70, quindi due ore a settimana per 6 mesi (25-30 settimane). Il che si aggiunge a un doposcuola che è già molto impegnativo per gli studenti italiani, gravati, secondo uno studio Oecd, da un livello di attività scolastiche aggiuntive secondo solo a quello degli studenti russi (in Italia, circa 12 ore settimanali oltre l'orario scolastico). Resta da capire se il nuovo incentivo sarà fiscalmente efficace. Certamente è attrattivo dal punto di vista dell'emersione e della tassazione ragionevolissima (15%). Inutile dire che l'operazione sarebbe molto più forte, però, se si introducesse il principio del «contrasto di interessi», cioè la possibilità per il genitore di scaricare la spesa sostenuta. È quello il più potente meccanismo pro emersione, in ogni ambito. Inoltre, su un piano diverso, in futuro si potrebbe valutare (come il paper Castellani-Bandini suggeriva) di prevedere anche strumenti affinché le stesse scuole debbano organizzarsi per aiutare i ragazzi a recuperare, senza ulteriori spese per le famiglie, senza cioè costringerle - come unica soluzione - a ulteriori rapporti privati con gli insegnanti. Daniele Capezzone <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/finanziaria-in-aula-slittano-i-tagli-alle-pensioni-doro-e-il-reddito-m5s-2616912666.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="a-stanziare-i-fondi-alle-societa-sara-direttamente-il-governo-e-malago-rosica" data-post-id="2616912666" data-published-at="1763783882" data-use-pagination="False"> A stanziare i fondi alle società sarà direttamente il governo. E Malagò rosica Sotto un titolo neutro («Disposizioni in materia di sport»), l'articolo 48 della manovra innesca quella che i suoi sostenitori, con understatement e forse una punta di ironia, non vogliono chiamare «rivoluzione» («Mi sembra che ci sia un po' di enfasi rispetto a queste prospettive rivoluzionarie: diciamo riformatrici», è la frase attribuita al sottosegretario Giancarlo Giorgetti). Ma in realtà lo è e forse è davvero un bene, rispetto ad alcune consolidate tradizioni romane. Il Coni manterrà la pompa, il prestigio, le sfilate, la preparazione alle Olimpiadi e i relativi e meritati applausi, oltre al formale governo dello sport italiano. Ma perderà il salvadanaio, anzi la cassaforte, cioè i 410 milioni di finanziamento annuale statale destinati alle singole federazioni sportive. Attualmente a distribuirli è il Coni stesso, attraverso una sua società (Coni servizi). In base alla manovra, invece, fermo restando lo stanziamento della stessa somma, solo una piccola parte andrebbe al Coni (meno di un decimo degli stanziamenti, 40 milioni, per il suo funzionamento), mentre il resto sarebbe gestito da una nuova società (Sport e Salute, che sostituirebbe la Coni Servizi) sotto il diretto controllo del governo, ovviamente con l'obbligo di trasferire alle singole federazioni non meno di 260 milioni annui. Conseguenze? Primo: i vertici della nuova società non sarebbero decisi dal Coni, ma dal governo (dal ministero dell'Economia su indicazione dell'autorità di governo competente in materia di sport, sentito il Coni, al quale spetterebbe quindi solo un parere). Secondo: come detto, sarebbe questa nuova società a decidere erogazioni e distribuzioni di risorse tra le varie federazioni sportive. Terzo: è sancita l'incompatibilità tra la governance della nuova società e quella del Coni (o la pompa o la cassa, si potrebbe dire brutalmente). Naturale che l'attuale vertice del Coni, Giovanni Malagò, non l'abbia presa bene. Ieri è andato a perorare la sua causa da Giorgetti in un incontro, al termine del quale ha dichiarato: «La ragione di questo intervento? Non la dovete chiedere a me, però penso che la risposta sia di natura politica. Lo sport italiano ne aveva bisogno? No, non lo penso proprio». Inevitabile che si apra una polemica, della quale vi anticipiamo i contorni. I difensori dello status quo diranno: con la riforma, si mina la mitica «autonomia dello sport italiano dalla politica». E l'argomento, a prima vista, è seducente. Ma a ben vedere, non è convincente: anzi, quanto più è chiara la responsabilità del governo, tanto più sarà limpida la possibilità per il Parlamento di esercitare attività ispettiva e di controllo. Daniele Capezzone
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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