2018-08-29
Filtrano le prime reazioni del Papa: «È amareggiato, ma non si dimette»
Nella Curia, però, emerge il vero punto di scontro sull'omosessualità nel clero. Le indicazioni sono chiare: niente gay in seminario. Ma la lobby omo si tutela e, nei fatti, smentisce le regole. Il Papa è «amareggiato» per il caso Viganò, ma «non pensa alle dimissioni». Così l'Ansa ieri sera ha riferito le prime reazioni indirette del Santo Padre, trapelate da alcune fonti vicine ai collaboratori più stretti di Bergoglio. Intanto, però, sotto di lui il memoriale dell'ex nunzio sta facendo emergere il grande nodo irrisolto, quello che veramente è al cuore della battaglia a cui stiamo assistendo nella Chiesa cattolica. Un problema tremendo ma molto semplice: l'omosessualità nel clero. O, se vogliamo, della cosiddetta lobby gay, cioè di quella potente rete di prelati, posizionati perfino ad altissimo livello - almeno stando a quanto scritto da Viganò - che dai tempi di Benedetto XVI è indagata come grave problema.Il dossier lobby gay fu affidato dallo stesso papa Ratzinger a tre cardinali, Julián Herranz, Josef Tomko e Salvatore De Giorgi, e gli fu consegnato il 17 dicembre 2016. Cosa è emerso da quell'istruttoria non è dato sapere: i faldoni, di cui certamente si parlò durante il conclave che poi elesse Francesco, furono consegnati allo stesso Bergoglio da Ratzinger. Si noti che nel suo penultimo giorno da papa, Benedetto XVI ricevette in udienza privata proprio i tre cardinali a cui aveva affidato l'inchiesta. Probabilmente non è stato il risultato di quel lavoro ad aver indotto Benedetto XVI alla rinuncia, ma sicuramente la «sporcizia» sulle dinamiche di gestione del potere che risulta da quelle pagine è stata un elemento che lo ha fatto desistere, per chiamare energie fresche a risolvere il dramma.Al di là della questione pedofilia e abusi, che sembra l'ultimo baluardo che ancora sveglia un'opinione pubblica assuefatta a quasi tutto, il dossier Viganò riguarda propriamente una battaglia intraecclesiale che ha nella questione omosessualità il suo elemento chiave. Per capire di cosa stiamo parlando occorre mettere due paletti: è ovvio che la pedofilia è un reato, mentre l'omosessualità non lo è, ma qui si tratta della chiesa cattolica, la quale nel suo catechismo definisce gli atti omoerotici come «intrinsecamente disordinati» rispetto alla natura umana. Tanto che lo stesso papa Francesco nel maggio scorso ha detto, di fronte ai vescovi italiani, che, anche davanti a un minimo dubbio, i candidati che manifestano omosessualità attiva è bene non entrino nei seminari.La nuova Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, approvata da Francesco nel dicembre 2016, ripete quanto già stabilito dalle vecchie regole per l'accesso ai seminari, ossia che «la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al seminario e agli ordini sacri coloro che praticano l'omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay». Piaccia o non piaccia, questo è. Mentre quello che emerge dal dossier Viganò, se veritiero, è ben altro, cioè una sottocultura gay che ha messo salde radici nella chiesa a tutti i livelli. D'altra parte, il memoriale mette nero su bianco informazioni che circolano da tempo, tra sussurri e chiacchiere. Per tacere dei tanti casi emersi alle cronache, dalla faccenda del monsignore Battista Ricca, nominato da Francesco prelato dello Ior nel 2013, nonostante un dossier che lo inchioderebbe per fatti legati all'omosessualità nei suoi trascorsi in Sudamerica, fino al caso del segretario del cardinale Francesco Coccopalmerio, beccato nell'estate 2017 impegnato in un festino gay a base di droga nientedimeno che in un appartamento del palazzo dell'ex Sant'Uffizio. Per capirci, il monsignore in questione, Luigi Capozzi, era stato anche proposto come vescovo. Poi ci sono diverse inchieste giornalistiche che attestano una diffusa omosessualità nel clero, a partire da quella famosa condotta dal settimanale Panorama nel 2010 sulle «notti brave dei preti gay», oppure il più recente dossier di oltre 1.000 pagine che un gigolo, Francesco Mangiacapra, ha depositato nella curia di Napoli con tanto di prove che incastrerebbero decine di sacerdoti del Sud Italia. Da non dimenticare che l'ex officiale della congregazione per la Dottrina della fede, Krzysztof Charamsa, quando nel 2015 ha fatto il suo coming out ed è uscito dalla chiesa, dichiarava in modo iperbolico che un prete su due sarebbe omosessuale.Tutti questi elementi, dall'inchiesta commissionata da Benedetto XVI, alle cronache più o meno pruriginose, fino al recente dossier Viganò, sembrano convergere. C'è un problema omosessualità che, nonostante i tentativi di normalizzarla anche dottrinalmente, si muove nel territorio della Chiesa come una faglia attiva pronta a scaricare la sua energia in terremoti violenti. Sempre più analisti rilevano il problema di troppi consacrati che conducono una doppia vita a sfondo sessuale, per cui diventa poi difficile capire chi compie e chi nasconde i crimini di abuso.La situazione probabilmente è diffusa sia tra il clero progressista che tra quello conservatore, ed entrambi, pur disprezzandosi per questioni dottrinali o ecclesiologiche, sanno gli uni degli altri, ma non arrivano ad eliminarsi perché rischierebbero di vedere finita una situazione che in fondo va bene a tutti. Questi schieramenti si ritrovano d'accordo purtroppo sul sistema di omertà e bugie. Matthew Schmitz sul New York Times ha scritto che «i tradizionalisti insistono sul fatto che l'abuso può essere prevenuto solo dalla più stretta adesione alla dottrina (…) i liberali che chiedono invece alla chiesa che cessi di condannare gli omosessuali», ma intanto entrambi si ritrovano sul fatto che occorre non dire pubblicamente quello che si fa di nascosto. È ragionevole pensare che in questa ipocrisia di fondo abbia prosperato il sistema di coperture degli abusi che stanno alla base degli scandali che stanno colpendo la chiesa in tutto il mondo. Ecco perché il dossier Viganò apre probabilmente una guerra civile nella Chiesa, perché ora un missile è stato tirato su di una parte del campo, quella rappresentata da prelati «liberal», e questa ora si trova in grande difficoltà. Come reagiranno? La guerra, da fredda, potrebbe farsi ora aperta.Il nodo irrisolto quindi è davvero quello della omosessualità nella chiesa. Come avviene l'accesso ai seminari? Si rispettano le regole in vigore? È possibile per un omosessuale con tendenze radicate che vive castamente essere sacerdote? Benedetto XVI nel libro intervista Luce del mondo, diceva che «l'omosessualità non è conciliabile con il ministero sacerdotale, perché altrimenti anche il celibato come rinuncia non ha alcun senso», e aggiungeva che «sarebbe un grande pericolo se il celibato divenisse motivo per avviare al sacerdozio persone che in ogni caso non desiderano sposarsi, perché in fin dei conti anche il loro atteggiamento nei confronti dell'uomo e della donna è in qualche modo alterato, disorientato, ed in ogni caso non è in quell'ordine della creazione del quale abbiamo parlato».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)