
Come i suoi predecessori, l'attuale presidente grillino della Camera Roberto Fico scalpita per avere un ruolo più politico. Ogni giorno fa in modo che il mondo si ricordi della sua esistenza, rilasciando dichiarazioni che correggono la linea del governo. Si sente pronto per il Pd?La sindrome di Montecitorio è una brutta malattia che colpisce chiunque dopo essere diventato presidente della Camera si renda conto di non contare una cippa. Oh, certo, ha l'auto blu, anzi, ne ha quattro o cinque. Ogni volta che suona il campanello accorrono decine di commessi pronti a servirlo e riverirlo. Dispone di un appartamento presidenziale dove può consumare colazioni tra porcellane e argenti. E se è stanco ha anche una camera tutta sua per farsi la pennichella. Infine, ha il bagno riservato, senza dover dividere la ritirata con altri parlamentari. Insomma, vive 365 giorni l'anno come se stesse in un albergo a cinque stelle (nulla a che vedere ovviamente con il movimento fondato da Beppe Grillo) in cui sono serviti pasti gratis dalla mattina alla sera. Tuttavia, nonostante il lusso, conta meno di un Luigi Di Maio qualsiasi. Anzi: non conta proprio niente e ogni giorno, mentre agita il campanellino e sorseggia il caffè nel servizio bello concesso in uso al Presidente, se ne rende conto. È la terza carica dello Stato, ma ha lo stesso potere dell'ultima, perché gli passa avanti anche un ministro senza portafoglio come quello alle Pari opportunità. Addirittura un sottosegretario ha più peso di lui, perché può dichiarare ciò che gli pare, può finire sui giornali, può dimostrare di esistere. Il presidente della Camera invece no: è costretto a tacere per rispettare il ruolo di super partes, di presidente di tutti. Risultato, la sindrome di Montecitorio si insinua piano piano nella sua mente. È come un tarlo che scava giorno dopo giorno e convince la persona colpita che le è stato sottratto qualcosa. Il paziente si sente vittima di un torto, come se qualcuno gli avesse rubato la scena. Già, perché il problema è tutto lì. Uno si trova sullo scranno più alto di Montecitorio, ma il massimo che gli fanno dire è che un altro ha facoltà di parlare. Di fatto, il presidente è un commesso di lusso, uno che passa la parola agli altri, porgendo il microfono, e se l'onorevole smadonna o manca di rispetto, gliela toglie. La sindrome di Montecitorio, nel corso degli anni, ha colpito gente di diverso colore. Fausto Bertinotti, che arrotava le erre per sembrare non un figlio di un ferroviere qual era, ma un nobile decaduto, resistette qualche mese e poi sbracò, definendo la maggioranza di Romano Prodi, la stessa che lo aveva eletto presidente della Camera, un brodino caldo. Finì come doveva finire, con una crisi di governo e nuove elezioni. Prima di lui aveva mostrato la stessa sintomatologia Pier Ferdidando Casini, il quale da numero uno di Montecitorio fece opposizione per interposta persona, ovvero tramite il gemello democristiano Marco Follini. A differenza di Bertinotti, Pierfurby però non fece cadere il governo, ma restò ben saldo al suo posto fino alla fine, lasciando che a bruciarsi fosse il suo sostituto. Risultato: Casini è ancora lì che se la gode, mentre l'altro, Follini, è morto e sepolto. Di Gianfranco Fini si sa, un secondo dopo essere diventato presidente cominciò a lavorare per soffiare la poltrona a Silvio Berlusconi e dopo qualche mese di tira e molla esplose in un «Che fai, mi cacci?». Paradossalmente la più tranquilla è stata Laura Boldrini, che essendo così piena di sé in cinque anni non si è accorta di non contare nulla. Ora è il turno di Roberto Fico, il quale dopo appena quattro mesi di Montecitorio, si agita come se ci stesse da una vita. Ogni giorno fa in modo che il mondo si ricordi della sua esistenza, rilasciando dichiarazioni che correggono la linea del governo. Anche ieri, con un'intervista a Repubblica, la terza carica dello Stato ha voluto dire la sua sulla Rai, la Tav, i rapporti con la Lega, l'immigrazione. È evidente che l'incarico gli sta stretto. Lui vorrebbe essere al posto di Di Maio. Anzi, a quello di Giuseppe Conte e invece gli tocca suonare la campanella. Se non si riprenderà presto, finirà come gli altri, cioè a fare il capo dell'opposizione. Anzi, dato che il Pd non riesce a trovare nessuno da mettere alla guida del partito, ci sono buone probabilità che Renzi e compagni lo chiamino per offrirgli la poltrona di segretario. In fondo è più vicino alla sinistra che al governo, dunque perché non approfittarne? I presupposti ci sono tutti. E anche l'ambizione. Proprio come Bertinotti, Fini, Casini e Boldrini. Non c'è il quattro senza il cinque stelle.
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