2025-07-21
Federico Rampini: «Pure neri e latinos rigettano il woke»
Il giornalista: «Se i democratici riconquisteranno il Congresso nel 2026, non escludo un impeachment per il presidente. Lo scontro con Musk nasce perché il tycoon non ha voluto tagliare pensioni e sanità».Federico Rampini, scrittore ed editorialista del Corriere della Sera, il presidente americano non demorde: dazi del 30% all’Europa. «Andrà tutto bene», rassicura. Possiamo fidarci? «No. Anche quando ci sarà la sua firma in fondo a un testo, è capace di rimangiarsela».Vista da New York: quella di Donald Trump è lucida follia o improvvisato cesarismo? «Alcune scomode verità aiutano a capire».Quali? «Il commercio mondiale è stato segnato da squilibri crescenti fra nazioni che si fanno trainare dalle esportazioni, come Cina, Giappone o Germania, e una che assorbiva le merci di tutte le altre indebitandosi: gli Stati Uniti». Quindi?«Nessuno ha rispettato le regole del gioco, cinesi in testa. L’età dell’oro della globalizzazione, durata dal 1989 al 2008, si è conclusa da tempo. Fu aurea solo per una parte della società americana. I perdenti hanno prevalso eleggendo Trump». Le elezioni di medio termine, a novembre 2026, sono destinate a destabilizzare?«In genere, il partito del presidente prende una batosta a metà mandato. Se i democratici riconquisteranno il Congresso, non escluderei un impeachment. Il mio storico preferito, Niall Ferguson, insegna che per capire Trump bisogna studiare Richard Nixon».Anche lui eletto due volte, fu poi costretto a dimettersi per evitare la destituzione dopo lo scandalo Watergate.«Ferguson, conservatore illuminato, sostiene che Trump è una creatura tipica della lunga tradizione del populismo americano. Smettiamola di dire che tutto quanto fa è senza precedenti, spiega: i giornalisti che lo scrivono sono ignoranti o non studiano la storia».Il consenso cala, il trumpismo avanza: dalla lotta al politicamente corretto all’avversione per l’ideologia woke. «L’ideologia woke stava già perdendo colpi. Il rigetto veniva perfino dalle minoranze etniche che la sinistra radicale pretende di rappresentare. Una ragione per cui il presidente americano ha aumentato la sua popolarità tra neri e latinos, arabi e indiani, è stato il prevalere intollerante dell’ala più estremista della comunità Lgbtq+. Ha spaventato gruppi etnici attaccati alla religione e alla famiglia. Gli stessi colpiti pure dall’escalation della delinquenza nei loro quartieri, dopo le campagne di delegittimazione verso le forze dell’ordine». Al cospetto dell’incontenibile presidente, l’Europa sembra pavida e imbambolata.«Non tutta. Il cancelliere tedesco Merz ha una reazione costruttiva alla sfida Trump. A Londra, sull’immigrazione, il primo ministro Starmer dice che il controllo delle frontiere è un valore progressista. La Polonia, oltre ad avere le idee chiare su Putin, vive un miracolo economico. L’Europa non è solo la burocrazia di Bruxelles».Sperava comunque in rapporti più distesi dopo l’incontro a Roma tra Ursula Von der Leyen, capo della Commissione europea, e J.D. Vance, vicepresidente statunitense.«Ma i rapporti stanno migliorando davvero, grazie a Putin che ha deluso Trump».Quel confronto è stato propiziato da Giorgia Meloni. Le sue relazioni con l’amministrazione americana ci saranno utili?«Ha già ottenuto indulgenza sul 3,5% del Pil da spendere nelle spese militari».Converrebbe negoziare da soli, come molti suggeriscono? «Non si può, il commercio estero è competenza dell’Unione. E Trump può tradire pure gli amici. Basti pensare al Giappone». Anche con Elon Musk la premier italiana vantava una costante frequentazione. «Musk è un genio industriale. Di politica, però, capisce poco. Chi aveva teorizzato la nascita di un’oligarchia, il regime dei plutocrati, non ha colto la natura del trumpismo».Il suo sodalizio con la Casa Bianca è finito malamente.«Da fautore radicale del mercato, voleva ridurre spese sociali e assistenziali, oltre che sfoltire la burocrazia. Ma Trump resta vicino alla destra sociale, populista. Si è rifiutato di tagliare le pensioni e la sanità per non scontentare l’elettorato operaio».Annuncia una nuova formazione politica: America party.«I nuovi partiti qui non hanno mai avuto fortuna. Fallì persino uno dei più grandi presidenti, Theodore Roosevelt, quando provò a ricandidarsi fondandone uno».Il suo sfrenato interesse verso la politica dipende pure dalla crisi della Tesla?«In realtà, Musk s’è avvicinato alla politica quando ancora la Tesla andava bene e gli ambientalisti lo coccolavano. Del resto, ha finanziato sia Obama che Hillary Clinton». I guai più grossi, comunque, vengono dal predominio cinese.«Sì, dalla concorrenza predatoria di colossi come Byd. Questo gruppo sta scatenando una feroce guerra dei prezzi. Vuol fare terra bruciata della concorrenza. Le altre attività di Musk però vanno meglio, soprattutto quelle spaziali».In Italia la quota di mercato delle auto elettriche rimane attorno al 5%. Il settore non smette di tribolare.«L’Unione europea segue la svolta tedesca: l’agenda green verrà ridimensionata, per non consegnare tutto il continente alla Cina».Microchip, intelligenza artificiale, guerra tra Stati Uniti e Cina fanno da sfondo all’ultimo libro, Il gioco del potere, scritto con suo figlio Jacopo. È il primo romanzo, dopo una ventina di saggi. Com’è nato?«Da un’idea di Jacopo, attore, che vuole farne una serie televisiva. Lui ci ha messo i personaggi e la trama: lo scontro dentro questa società italiana di semiconduttori, una storia tipica del nostro capitalismo dinastico e familiare». Nel thriller, ambientato in un distopico 2027, le questioni geopolitiche si mescolano a una complicata successione aziendale. Spunta persino un diabolico tycoon, che ricorda proprio Musk: «Il viso, rimodellato da droghe e chirurgia estetica, sembrava quello di uno sciamano privo di età e di sesso». «È un romanzo realistico, che racconta anche l’improvvisa scomparsa di Trump, l’invasione di Taiwan, l’avanzata dell’intelligenza artificiale». Per tratteggiare i De Luca, protagonisti della storia, vi siete ispirati a qualche famiglia di imprenditori? «È una metafora di tutto il capitalismo italiano: genio e familismo».La più celebre dinastia è quella degli Agnelli, adesso alle prese con il crollo di Stellantis e le vicissitudini ereditarie. Come può salvarsi l’ex Fiat dal declino? «Se lo sapessi, farei il top manager. A ciascuno il suo mestiere». Gli eredi Elkann controllano anche La Repubblica, che lei ha abbandonato nel 2021 per diventare editorialista del Corriere della Sera. «Veramente, sono stato spinto verso l’uscita: crisi aziendale, prepensionamenti».Era il giornalista prediletto di Carlo De Benedetti, storico editore del quotidiano. Però non l’ha mai nominata direttore.«Ha fatto bene. Sono uno scrittore e un solitario. Non ho la stoffa del direttore».Dopo le sue forzate dimissioni, l’Ingegnere comunque si è sfogato: «Se fossi stato ancora io il presidente, Rampini non avrebbe mai lasciato Repubblica». «Mi ha lusingato».Lo sente ancora?«Sì, con piacere. Anche se la pensiamo diversamente su tante cose, ho sempre apprezzato la sua curiosità intellettuale».Lei ha appena lasciato La7, dove conduceva Inchieste da fermo. Il titolo sembra un polemico omaggio alla nostra categoria: dovrebbe consumare le suole, come recita un vecchio adagio giornalistico, ma si sarebbe irrimediabilmente impigrita.«Quel titolo lo decise il direttore del canale, Andrea Salerno. Io sono allergico alle polemiche».In una rete considerata antigovernativa, era uno dei pochissimi battitori liberi. «Guardo poca televisione perfino in America, dove vivo. I miei esperimenti sono incursioni da marziano».Adesso è passato a Mediaset. La sua nuova trasmissione si chiama Risiko.«Mi hanno proposto una bella sfida: un programma di divulgazione della geopolitica, con uno sguardo storico. Le nuove regole del gioco, gli scontri tra le potenze, le rivalità fra gli imperi».Dopo Bianca Berlinguer, l’emittente berlusconiana continua a sparigliare.«Ribadisco: sono un marziano che si avventura sporadicamente su un pianeta alieno, che è la tv. Ignoro le grandi strategie dei network».I più feroci le daranno del neo populista.«Sto scrivendo un libro sul Giappone e sono tornato a immergermi nella loro tradizione zen. Quindi, qualsiasi cosa dicano di me…».
Robert Kennedy Jr e Orazio Schillaci (Ansa)
Pierluigi Bersani e la t-shirt Frocia Italia