2019-09-20
Favore alla Triplice sulla rappresentanza sindacale: i piccoli non avranno più voce
L'Inps dovrà ponderare iscritti e voti per pesare le sigle: chi è sotto al 5 per cento è fuori dai tavoli. Esultano gli industriali.I sindacati blindano il proprio futuro e ottengono, con l'appoggio della Confindustria e del neo ministro del lavoro, la grillina Nunzia Catalfo, il primo step per estendere le decisioni della maggioranza sindacale a tutti i lavoratori di una medesima categoria. In questo modo si taglia la testa una volta per tutte agli accordi aziendali, a quelli di secondo livello e a tutte le sigle piccole o piccolissime. Certo, mettere in un angolo i vari Cobas o Rsu ridurrà il numero degli scioperi lungo la Penisola - e questo è un bene - ma così, con la scusa della democrazia, si livellerà tutto al medesimo tavolo di discussione, rendendo per legge la presenza delle tre grandi sigle necessaria e insostituibile. Infatti, dopo il pubblico impiego arrivano le regole per «pesare» i sindacati anche nel settore privato: il dato si otterrà dal mix tra iscritti e voti, con il compito affidato all'Inps.In sostanza, la convenzione firmata dall'istituto guidato da Pasquale Tridico, Ispettorato nazionale del lavoro (Inl), Cgil, Cisl, Uil e Confindustria, dopo un lungo percorso cominciato con l'accordo interconfederale del 2011 e seguito tra gli altri dal Testo unico sulla rappresentanza del 2014, fissa i criteri per la misurazione e la certificazione del peso dei sindacati: all'Inps il compito di raccogliere i dati sugli iscritti (dato associativo) e, insieme all'Inl, sui voti ottenuti nelle elezioni delle Rsu (dato elettorale), facendone la media, sul modello di quanto già accade da oltre 20 anni nel pubblico impiego.Con questo ultimo atto, potranno di conseguenza scattare le clausole già concordate tra Cgil, Cisl, Uil e Confindustria negli accordi precedenti. Due su tutte: la soglia del 5% per sedere al tavolo di contrattazione nazionale e la maggioranza semplice del 50% più uno per firmare i contratti. Insomma, un potere di esclusione non da poco. Per ora l'accordo riguarda Cgil, Cisl, Uil e Confindustria, ma l'obiettivo del ministero del Lavoro è di estenderlo anche alle altre associazioni. A detta delle principali sigle e della Confindustria il tavolo avviato ieri sarebbe una svolta nel mondo del lavoro e della contrattazione, che «punta ad arginare gli accordi pirata e il dumping contrattuale, ovvero le intese al ribasso firmate nelle imprese da sigle poco rappresentative». E che, secondo il ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, è l'inizio di «un nuovo percorso» che ha «tra i suoi punti di arrivo» la legge sulla rappresentanza. Il ministro sembra però omettere un dettaglio non irrilevante. Con l'applicazione dell'erga omnes, l'efficacia obbligatoria dei contratti collettivi si estenderà, come abbiamo spiegato prima, per tutti i lavoratori della categoria cui il contratto si riferisce. Il ministro del Movimento 5 stelle si dice intenzionato, intanto, ad andare avanti nel confronto (è «la parola d'ordine», dice, dell'azione di governo) con le parti sociali per definire il salario minimo legale. E ad avviare il piano straordinario di prevenzione e sicurezza sul lavoro, con il tavolo convocato per lunedì. La stessa richiesta per la consultazione certificata dei lavoratori, cioè il voto a cui sottoporre gli accordi. Garante del processo di certificazione un comitato ad hoc, composto da esponenti delle parti sociali e presieduto dal ministero del Lavoro.Non possono che dirsi soddisfatti i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo: parlano di «giornata davvero importante», che consente di «rafforzare la contrattazione e dare valore al lavoro». Giudizio positivo anche dal presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia: le regole fanno «da apripista per pesare anche la rappresentanza datoriale». Come già previsto dal Patto della fabbrica. Si inaugura «una nuova stagione», sottolinea pure Pasquale Tridico. «Ora si apre il dibattito su una legge sulla rappresentanza», da sempre sostenuta dalla Cgil. Più cauti Cisl e Uil: se va fatta, deve riprendere «esattamente» l'accordo tra le parti. L'esperienza insegna che quando industriali e sindacati siedono dalla stessa parte del tavolo, i lavoratori devono alzare le antenne. In questo caso l'evoluzione del mondo del lavoro ha reso anacronistici i sindacati, i quali spesso ostacolano i singoli accordi per non perdere l'egemonia decisionale, che si traduce spesso anche in importanti ritorni economici. Mentre la vera domanda è cosa accadrà a quelle aziende che avranno sufficiente potere per bypassare le organizzazioni tradizionali del lavoro. Il rischio, a nostro avviso, è che fuori dal perimetro dei contratti nazionali ci sarà ancora più far west. In un momento in cui i dati sull'andamento dei contratti a tempo indeterminato sono incoraggianti. L'Inps ieri ha aggiornato i dati sui rapporti di lavoro nei primi sette mesi dell'anno, confermando la crescita dei contratti stabili con un saldo pari a oltre +353.000 (+148% sull'anno), ancora sul boom delle trasformazioni. Cala, invece, il ricorso alla cassa integrazione ad agosto: le ore autorizzate sono 6,4 milioni (-42% sull'anno). Guardando, però, all'andamento degli otto mesi, si superano 169 milioni ore di cig, in aumento del 13,6% rispetto a gennaio-agosto 2018, trainate soprattutto dalla straordinaria (+32,8%), segno delle tante crisi aperte. Insomma, c'è molto da fare. Soprattutto servono schemi nuovi che difficilmente arriveranno dalle vecchie alleanze.