2019-02-25
Nell’era digitale risorge l’artigianato. Ma prestate attenzione a chi esagera
Ora et labora: addio smartphone, riscoprite la creatività come mezzo espressivo. Diffidate però dai numerosi video di bricolage che affollano Youtube. I radical chic propongono un fai da te grottesco nel nome della moda della decrescita.Guardatevi le appendici prensili che avete attaccate ai polsi e che chiamiamo mani. Cosa ci avete fatto oggi, oltre a tappare (neologismo onomatopeico per «premere un tasto virtuale») sullo schermo touch del cellulare? Qualunque cosa ci abbiate fatto, aveste pure tessuto un tappeto persiano e strangolato un coccodrillo che vi voleva mangiare vivi per fare merenda, è sicuramente inferiore a quanto, con le proprie mani, uomini e donne facevano 50, 100, 200, 500, 1.000 anni fa, praticamente sempre nella storia umana. «Con le mani sbucci / le cipolle / e accarezzi il gatto / con le mani», cantava anni fa Zucchero. Spesso a quell'«accarezzi», nei concerti Adelmo Fornaciari faceva seguire un'altra parola: non il gatto, ma un'altra cosa che, con gatto, assona. Tuttavia, a prescindere dagli usi ludici, per sé e per gli altri, delle mani, queste ultime sono innanzitutto uno strumento di creazione. Sono il primo strumento dell'essere umano. Preistoricamente, sono stati lo sviluppo del cervello, la posizione eretta e la locomozione bipede che, liberando le mani dall'utilizzo a mo' di piedi e dunque dall'unico uso locomotorio, hanno loro permesso di essere applicate alla costruzione e all'uso di strumenti. Juliette Colbert scrisse: «Una magra soddisfazione davvero è quella di fare tutto a nostro talento, senza dipendere in nessun modo da nessuno». Ma oggi che il fare umano per mezzo del talento è quasi completamente azzerato. Oggi che tutti ci foraggiamo presso la produzione industriale, dalla quale dipendiamo pressoché completamente, ritornare ad alimentare quel talento innato di fare vuol dire anche ritornare a essere più umani. Nell'antropologia culturale, l'homo faber è l'antitesi dell'homo religiosus che contempla. La nota locuzione latina homo faber fortunae suae vuol dire che l'uomo è artefice della propria sorte. «homo faber»Ma si può optare anche per una lettura contemporanea e, concentrandosi sul concetto di homo faber, cioè di uomo che fa, intendere il ritornare a essere homo faber come fortuna che cancelli la sciagura d'aver disimparato a fare qualsiasi cosa pratica. In un momento storico in cui il fare è quasi scomparso dalle competenze umane ed è assurto a esclusiva pressoché assoluta delle macchine, l'uomo può essere l'artefice della propria sorte di ricominciare a fare. Che è ciò che sta avvenendo. Si ricomincia a fare a mano, per hobby, per necessità e per entrambi. E non da oggi, che online si trovano miliardi di miliardi di tutorial su come fare qualsiasi cosa. Qualsiasi cosa vi venga in mente, basta digitare le parole chiave su Google e troverete come si fa. Anche la tv, però, ha dato e dà il suo contributo. Decisamente importante è stato uno show televisivo mitico, quel Paint your life ideato da Barbara Boncompagni e condotto, a partire dal 2005 e per svariati anni, dalla decoratrice d'interni Barbara Giulienetti sul canale Real Time. Altro programma storico degli amanti del bricolage, dedicato a una fascia di pubblico adolescente ma seguito anche dagli adulti, è Art attack: in onda su Rai 2 dal 1999 al 2013 (nel 2014 su Rai Yoyo e dal 2015a oggi su Rai Gulp), insegna che «non bisogna essere dei grandi artisti per fare dell'arte», presentando progetti di bricolage artistico da realizzare in casa. Dal 2013, su Rai 1, Detto fatto, oltre a intrattenere nelle canoniche modalità del talk show pomeridiano, propone tutorial con tutor esperti «di ogni», dal trucco e parrucco alla sartoria, dalla pasticceria all'economia domestica passando per le buone maniere (e in edicola c'è anche l'omonima rivista). In libreria, si pubblicano sempre più manuali sul fare a mano, dal fare artistico e tecnico ai fare di recente concezione, dal recupero creativo a quello della semplice espressione di sé, e sono sempre più numerosi anche i saggi sul valore - da ogni punto di vista - del fare. Nel libro Fatto a mano. Aggiustare sé stessi attraverso la creatività, di Rosemary Davidson e Arzu Tahsin, le autrici si domandano: «Perché amiamo le attività manuali? Qual è il vantaggio di dedicarsi regolarmente a un passatempo creativo? Se lo scopo non è guadagnarsi da vivere vendendo posacenere o bambole di pezza, allora qual è?». È riapprendere il talento di realizzare qualcosa con le proprie mani. Qualunque cosa, perché «lavorare con le mani, creare dal nulla ma anche recuperare e riciclare aiuta lo spirito e genera uno stato di benessere. L'attività manuale ci libera dai pensieri ossessivi, ci solleva dallo stress», è una sorta di meditazione attraverso la creazione che le autrici chiamano craftfulness, ossia mindfulness (consapevolezza) del crafting (l'attività manuale). I benefici non si fermano qui: «Svolgere un'attività manuale è divertente perché́ possiamo scegliere quelle che troviamo rilassanti e piacevoli. Se ne proviamo una che non ci piace, ci basta riconoscere che la tornitura del legno, la linoleografia o l'uncinetto non fanno per noi, e continuare con i passatempi che ci danno gioia. Creare qualcosa con le proprie mani è appagante perché ha uno scopo e un senso e, di conseguenza, farlo ogni settimana o meglio ogni giorno significa concedersi momenti di felicità». l'arte è naturaPerché fare rende felici? Perché rientra nell'ordine naturale delle cose. La tecnica è naturale, la tecnologia non lo è, è un mondo nuovo al quale dobbiamo adeguarci. La tecnica è il mondo com'è sempre stato e in questo senso è natura. È la stessa differenza tra avere in casa una pianta vera oppure una di plastica. E la scienza conferma. Le attività manuali stimolano la coordinazione di mente, mani e vista. Secondo la dottoressa Sharon Gutman, docente del pProgramma di terapia occupazionale alla Columbia University, le attività manuali attivano il sistema di ricompensa del cervello (con rilascio di dopamina), preservano la funzione cognitiva, anche nella vecchiaia, e promuovono il rilassamento, contrastando anche lo stress. Lo psicologo ungherese Mihály Csíkszentmihályi ha studiato la creatività e la felicità, introducendo nel 1975 il concetto psicologico di flow, flusso: si è «in flusso» quando si è totalmente coinvolti in qualcosa, sperimentando la focalizzazione sull'obiettivo, la motivazione intrinseca, la positività e la gratificazione nello svolgimento di un particolare compito. La teoria del flusso è stata applicata ai più disparati campi, dallo sport alla spiritualità, dall'istruzione alla seduzione passando per il crafting, sempre confermando un effetto simile a quello della meditazione: pacificazione interiore, rilassamento, acquisizione di energia positiva. Fare a mano vuol dire mettersi alla prova, allenare la costanza e la perseveranza, migliorare la propria autostima, contrastare la depressione, imparare a esercitare la creatività e, in definitiva, esprimersi. Le motivazioni per cui ci si applica nel crafting, tuttavia, non sono soltanto psicologiche o motorie. Ce ne spiegano perfettamente l'aspetto socio-antropologico le autrici di Fatto a mano: «Attualmente assistiamo a una nuova era dell'handmade. Si potrebbe parlare di un nuovo movimento delle arti e dei mestieri del XXI secolo. L'originario movimento Arts and crafts (arti e mestieri) si sviluppò in Gran Bretagna intorno al 1880, ispirandosi alle idee di John Ruskin e di William Morris. L'Art and crafts si diffuse velocemente in America, in Europa e in Giappone, dove prese il nome di movimento Mingei. Era in parte una reazione al capitalismo, e nasceva dalle preoccupazioni per i ritmi estenuanti cui erano sottoposti gli operai in fabbrica e per gli effetti disumanizzanti del lavoro meccanizzato provocati dalla rivoluzione industriale. L'avvento delle macchine, cominciato nella seconda metà del XVIII secolo, aveva sradicato la forza lavoro agricola; i mestieri rurali, le abilità tradizionali e i prodotti d'artigianato non valevano più nulla. L'automazione del lavoro con macchinari dedicati a compiti specifici e l'introduzione di lunghi turno in fabbrica avevano cambiato la vita dei lavoratori per sempre». lotta all'alienazioneE oggi, le cose sono diventate finanche peggiori: «Non saremo più in tanti oggi a lavorare in fabbrica, ma con l'avvento dell'era tecnologica e digitale molte di quelle originarie preoccupazioni riemergono. I ritmi frenetici della nostra vita, lo sforzo di bilanciare la famiglia e il lavoro tenendo il passo con il sovraccarico di tecnologia e social media rendono difficile non perdere di vista cosa è davvero importante per noi. Sono questi i fattori che hanno scatenato il desiderio di tornare ai prodotti fatti a mano. Oltre, secondo noi, al bisogno di autenticità, significato e controllo che accompagna il XXI secolo». Reintrodurre una piccola quota di lavoro manuale, nella nostra modernità frenetica e alienante, è un bene: ci ricorda da dove proveniamo e ce lo fa rivivere. Un altro libro, Fatto a mano. Diario di un falegname filosofo, di Ole Thorstensen, viene non a caso presentato come «un resoconto agile e ricco di spunti sul lavoro e sul suo valore identitario, sull'orgoglio del mastro artigiano, su cosa significhi piantare chiodi in un pezzo di profumato legno di pioppo. Sono il sudore, la fatica, i tagli sulla pelle, insieme alle frustrazioni e alle piccole esplosioni di gioia pura a fondare un lavoro ben fatto. Perché lavorare con le mani, in fin dei conti, è un ottimo modo - anche - per pensare». In questo ritorno del fare a mano ci sono anche, ovviamente, esagerazioni. Per esempio, i fan della decrescita felice che si intestardiscono con il recupero fai da te di materiali che farebbero meglio a finire in raccolta differenziata e la rigenerazione di oggetti ancora utili per ciò che sono originariamente: in Un'ora un oggetto. 35 idee fai da te in stile nordico, il designer Pierre Lota insegna come realizzare oggetti d'arredamento decisamente minimalisti, alla «Salve, sono uno dei 48 superstiti di Lost sull'isola deserta ed esta es mi casa adesso». Bisogna stare attenti al riciclo creativo insensato, come nel caso della lampada realizzata con due stampelle di legno a fare da bracci mobili... Un progetto osceno e sinceramente un poco scemo: è molto più logico continuare a usare le stampelle di legno come stampelle (visto che il legno dura secoli) e realizzare una lampada a forma di vera lampada. Questo è un altro aspetto a nostro avviso molto importante del recupero del saper fare a mano. bottiglie e ciabatteQuando la realizzazione artigianale era la regola, tutto veniva utilizzato secondo buon senso. Che si acquisisce e recupera apprendendo le tecniche tradizionali, non inventandone di squinternate: in un tutorial gratuito su internet, abbiamo visto come si possono realizzare delle ciabatte con una bottiglia di plastica verde da un litro e mezzo… Una ciabatta in plastica rigida non è un recupero creativo, è un'idiozia ed è pericolosa: ci scivola il piede dentro, scivola la ciabatta sul pavimento, che senso ha? Ecco, qui sta un po' il cortocircuito. Nel voler fare gli artisti quando non si arriva nemmeno al livello artigiani. Diffidate dai progetti e delle estetiche del lavoro manuale vampirizzato da radical chic che hanno tempo da perdere: siate umili e imparate le basi. Cucina gourmet senza sapere nemmeno come si frigge un uovo, giardini urbani senza l'abc del giardinaggio, calligrafia giapponese mentre poi non annotate su un foglio di carta, in italiano, la lista della spesa da quando avete il cellulare... Il lavoro manuale e artigiano, dopo essere stato denigrato e svilito e rifiutato, ora torna anche come moda vip: state lontani da questa cialtroneria. Evitate le esagerazioni: dobbiamo riprendere contatto con le nostre mani, con la fatica e l'impegno che le muovono per riscoprire un po' della nostra antica umanità, che era fatta di volare basso, di cultura tecnica, di fatica e di umiltà.
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)