
La sinistra accusa il governo di essere responsabile dei naufragi perché mostra il pugno duro con i taxisti dei flutti. Ma è stata proprio l'amata (dal Pd) Ue a mettere nel mirino le organizzazioni. Anche a Bruxelles è chiaro che fermarle è l'unico modo per salvare viteDopo il vertice, gli oppositori sono ridotti a sfruttare i naufragi per colpire il governo. Ma fermare le Ong è l'unico modo per impedire i disastri. E l'Europa ci dà ragione alcuni, insomma, nonostante i proclami salviniani, in sede Ue non abbiamo ottenuto un bel niente. Allo stesso tempo, però, gli oppositori (di destra come di sinistra) accusano il governo di far morire la gente in mare per via della chiusura dei porti. Delle due l'una: o in Europa non si è ottenuto niente - e i migranti continueranno a invaderci - oppure le frontiere sono chiuse e i poveri profughi vengono abbandonati al loro destino. Nell'attesa che le opposizioni si chiariscano le poche ma confuse idee, vale la pena riflettere un attimo sulla questione dei morti in mare. Praticamente tutti cantano in coro. «È indecente il comportamento dell'Europa. Ed è allucinante festeggiare il calo degli sbarchi in Italia», dice Matteo Orfini del Pd. «L'idea di Salvini di lasciare la gente in mare senza assistenza per dissuadere altri dal partire è stupida, prima che aberrante», bercia Franco Mirabelli del medesimo partito. «La chiusura dei porti è un crimine contro l'umanità», urla il sindaco di Napoli Luigi De Magistris. «Il risultato finale dei falsi accordi sull'immigrazione saranno un centinaio di morti a settimana», gli fa eco Fabrizio Cicchitto, presidente di Riformismo e libertà, ex Fi. Maurizio Martina, segretario del Pd, invita invece a «riaprire i porti e lavorare con le Ong». Davvero curioso: gli sfegatati sostenitori dell'Europa, quelli che vedevano in Bruxelles la salvezza a tutti i mali, ora ragliano contro le scelte abominevoli di Bruxelles. E, di fatto, si schierano con le Ong. Le quali, ieri, si sono scagliate compatte contro Matteo Salvini. Da Medici senza frontiere in giù, tutte sostengono che la chiusura dei porti causerà una strage nel Mediterraneo.Oscar Camps, fondatore di Open arms, è stato ancora più diretto, accusando la Guardia costiera libica e quella italiana di aver lasciato volontariamente affondare un barcone con 120 migranti, causando la morte di un centinaio di persone. «Open arms avrebbe potuto salvarle, ma il suo appello è stato ignorato dalla Guardia costiera italiana e da quella libica», ha detto Camps. Poi si è rivolto direttamente al ministro dell'Interno: «Oggi sono morte affogate più di 100 persone, tra cui tre bambini. Però tranquillo Matteo Salvini, non erano italiani, solo carne umana». Quindi, se i migranti vengono inghiottiti dai flutti, la responsabilità è sostanzialmente dell'Italia. È interessante, a questo proposito, leggere la ricostruzione del naufragio al largo della Libia che ha pubblicato l'agenzia France Press (che di certo non professa fede salviniana). Un sopravvissuto al disastro, Amri Swileh, dello Yemen, ha raccontato ai cronisti francesi che i trafficanti di uomini gli avevano prospettato un viaggio in compagnia di altre 20 persone. In realtà, sulla barca ne hanno fatte salire circa 120, tra cui varie famiglie marocchine, alcuni siriani, qualche sudanese e qualche gambiano. Chi si rifiutava di salire a bordo veniva picchiato. Sin da subito i passeggeri hanno capito che la traversata sarebbe finita male: «La gente diceva al capitano di tornare in Libia», ha detto un sopravvissuto del Gambia. Solo che lo scafista non ha avuto il tempo di tornare indietro: il motore è esploso e il barcone ha cominciato a riempirsi d'acqua. Sono morti a decine, bambini compresi. Solo in 16 sono sopravvissuti. Colpa dell'Italia? No di certo. Lo ha confermato ieri l'ammiraglio Ayoub Qassem, portavoce della Guardia costiera libica: «Il naufragio è avvenuto in acque territoriali libiche e la Guardia costiera italiana non poteva intervenire in alcun modo». Colpa della Libia, allora? Non del tutto. In realtà, i libici sono intervenuti, ma sono arrivati troppo tardi. Non se ne sono fregati, come sostengono in tanti. A dimostrarlo c'è il fatto che, negli ultimi giorni, hanno portato in salvo centinaia di altri migranti. Sempre Qassem ha spiegato che i soccorsi hanno fallito perché «non ci sono i mezzi e il personale necessari. Chi ha bisogno di soccorso paga purtroppo le carenze che abbiamo». Stessa denuncia riguardante la «mancanza di risorse» è stata fatta, da altre fonti, anche all'agenzia France Press. La soluzione al problema, semmai, è proprio questa: bisogna fornire ai libici più mezzi e più uomini addestrati al recupero in mare. Salvini (che ieri ha sottolineato che «i morti sono sulla coscienza di chi li illude») ha proposto di fornire 12 nuove imbarcazioni alla Libia, e l'Europa intera sembra intenzionata a seguire questa strada. L'accordo appena siglato, infatti, vede tutti gli Stati membri d'accordo. Come ha detto Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, le Ong «devono rispettare la legge e non devono ostacolare il lavoro della Guardia costiera libica». Ovviamente, gli amici attivisti si sono ben guardati dal rispettare l'indicazione. Ieri la Open arms si è precipitata a recuperare 59 migranti prima che i libici potessero intervenire, e pare che sia intenzionata a portarli in Spagna. Secondo Riccardo Gatti, portavoce della Ong, un'altra imbarcazione di Open arms, la Astral, avrebbe recuperato ulteriori 65 persone, questa volta però su indicazione della Guardia costiera libica. Questo è il punto. Se le Ong vogliono davvero impedire che la gente muoia nel Mediterraneo, devono lasciar lavorare i libici. O, al massimo, lavorare di concerto con loro. Se continuano ad agire come traghetti diretti in Europa, proseguiranno ad alimentare la tratta degli esseri umani. Se i trafficanti libici mettono in mare una barca con 120 persone a bordo condannandola ad affondare, è perché contano sul fatto che gli attivisti (o altre navi) si precipitino sul posto garantendo il recupero e il successivo approdo nel Vecchio continente. Frontex, la guardia costiera europea, ripete invano questo concetto dal 2014. Oltre la parole, poi, ci sono i fatti: i numeri dei morti in mare calano nel momento in cui calano gli sbarchi sulle nostre coste. Continuare con il servizio taxi significa solo far crescere l'atroce conto dei cadaveri. Il Pd e gli altri vogliono rendersi responsabili di tutto questo?
Lirio Abbata (Ansa)
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(Stellantis)
Nel 2026 il marchio tornerà a competere nella massima categoria rally, dopo oltre 30 anni di assenza, con la Ypsilon Rally2 HF. La storia dei trionfi del passato dalla Fulvia Coupé alla Stratos alla Delta.
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Lo ha annunciato uno dei protagonisti degli anni d'oro della casa di Chivasso, Miki Biasion, assieme al ceo Luca Napolitano e al direttore sportivo Eugenio Franzetti: la Lancia, assente dal 1992 dalla massima categoria rallystica, tornerà protagonista nel campionato Wrc con la Ypsilon Rally2 HF. La gara d'esordio sarà il mitico rally di Monte Carlo, in programma dal 22 al 26 gennaio 2026.
Lancia è stata per oltre quarant’anni sinonimo di vittoria nei mondiali di Rally. Un dominio quasi senza rivali, partito all’inizio degli anni Cinquanta e terminato con il ritiro dalle competizioni all’inizio degli anni Novanta.
Nel primo dopoguerra, la casa di Chivasso era presente praticamente in tutte le competizioni nelle diverse specialità: Formula 1, Targa Florio, Mille Miglia e Carrera. All’inizio degli anni ’50 la Lancia cominciò l’avventura nel circo dei Rally con l’Aurelia B20, che nel 1954 vinse il rally dell’Acropoli con il pilota francese Louis Chiron, successo replicato quattro anni più tardi a Monte Carlo, dove al volante dell’Aurelia trionfò l’ex pilota di formula 1 Gigi Villoresi.
I successi portarono alla costituzione della squadra corse dedicata ai rally, fondata da Cesare Fiorio nel 1960 e caratterizzata dalla sigla HF (High Fidelity, dove «Fidelity» stava alla fedeltà al marchio), il cui logo era un elefantino stilizzato. Alla fine degli anni ’60 iniziarono i grandi successi con la Fulvia Coupè HF guidata da Sandro Munari, che nel 1967 ottenne la prima vittoria al Tour de Corse. Nato ufficialmente nel 1970, il Mondiale rally vide da subito la Lancia come una delle marche protagoniste. Il trionfo arrivò sempre con la Fulvia 1.6 Coupé HF grazie al trio Munari-Lampinen-Ballestrieri nel Mondiale 1972.
L’anno successivo fu presentata la Lancia Stratos, pensata specificamente per i rallye, la prima non derivata da vetture di serie con la Lancia entrata nel gruppo Fiat, sotto il cui cofano posteriore ruggiva un motore 6 cilindri derivato da quello della Ferrari Dino. Dopo un esordio difficile, la nuova Lancia esplose, tanto da essere definita la «bestia da battere» dagli avversari. Vinse tre mondiali di fila nel 1974, 1975 e 1976 con Munari ancora protagonista assieme ai navigatori Mannucci e Maiga.
A cavallo tra i due decenni ’70 e ’80 la dirigenza sportiva Fiat decise per un momentaneo disimpegno di Lancia nei Rally, la cui vettura di punta del gruppo era all’epoca la 131 Abarth Rally.
Nel 1982 fu la volta di una vettura nuova con il marchio dell’elefantino, la 037, con la quale Lancia tornò a trionfare dopo il ritiro della casa madre Fiat dalle corse. Con Walter Röhrl e Markku Alèn la 037 vinse il Mondiale marche del 1983 contro le più potenti Audi Quattro a trazione integrale.
Ma la Lancia che in assoluto vinse di più fu la Delta, che esordì nel 1985 nella versione speciale S4 sovralimentata (S) a trazione integrale (4) pilotata dalle coppie Toivonen-Wilson e Alen-Kivimaki. Proprio durante quella stagione, la S4 fu protagonista di un drammatico incidente dove morì Henri Toivonen assieme al navigatore Sergio Cresto durante il Tour de Corse. Per una questione di giustizia sportiva il titolo piloti fu tolto alla Lancia alla fine della stagione a favore di Peugeot, che era stata accusata di aver modificato irregolarmente le sue 205 Gti.
L’anno successivo esordì la Delta HF 4WD, che non ebbe rivali con le nuove regole del gruppo A: fu un dominio assoluto anche per gli anni successivi, dove la Delta, poi diventata HF Integrale, conquistò 6 mondiali di fila dal 1987 al 1992 con Juha Kankkunen e Miki Biasion. Lancia si ritirò ufficialmente dal mondo dei rally nel 1991 L’ultimo mondiale fu vinto l’anno successivo dal Jolly Club, una scuderia privata appoggiata dalla casa di Chivasso.
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