2025-11-07
Chiusa l’indagine sugli spioni: 166 vittime
Da sinistra, Antonio Laudati e Pasquale Striano. Sotto, Gianluca Savoini e Francesca Immacolata Chaouqui (Ansa)
Pasquale Striano e Antonio Laudati verso il processo. Assieme a tre cronisti di «Domani» risponderanno di accessi abusivi alle banche dati. Carroccio nel mirino: «attenzionati» tutti i protagonisti del Metropol, tranne uno: Gialuca Meranda.Quando l’ex pm della Procura nazionale antimafia Antonio Laudati aveva sollevato la questione di competenza, chiedendo che l’inchiesta sulla presunta fabbrica dei dossier fosse trasferita da Perugia a Roma, probabilmente la riteneva una mossa destinata a spostare il baricentro del procedimento. Il fascicolo è infatti approdato a Piazzale Clodio, dove la pm Giulia Guccione e il procuratore aggiunto Giuseppe Falco hanno ricostruito la sequenza di accessi alle banche dati ai danni di esponenti di primo piano del mondo della politica, delle istituzioni e non solo. Il trasferimento del fascicolo, però, non ha fermato la corsa dell’inchiesta. E ieri è arrivato l’avviso di chiusura delle indagini preliminari.Un atto denso, con 56 capi d’imputazione per le 23 persone indagate e decine di pagine fitte che ricostruiscono un migliaio di accessi tracciati e 166 spiati, che segna la fine della fase istruttoria e l’inizio, se dovesse seguire una richiesta di rinvio a giudizio, di quella processuale. È attorno a Laudati e a Pasquale Striano, il luogotenente della Guardia di finanza che guidava il Gruppo Sos della Procura nazionale antimafia, e a tre giornalisti del Domani Giovanni Tizian, e Stefano Vergine, e Nello Trocchia, indagati a vario titolo per accesso abusivo e rivelazione di segreto, che ruota il documento giudiziario sul presunto sistema che interrogava in modo «compulsivo» i sistemi informatici. Laudati viene indicato come «ideatore e coordinatore delle operazioni», Striano, invece, come «esecutore materiale degli accessi abusivi». I due, secondo l’accusa, avrebbero «formato almeno un appunto riservato su Matteo Renzi» tramite accessi che sarebbero avvenuti «per ragioni estranee al loro servizio». L’appunto, redatto da Striano, sarebbe stato «trasmesso a Laudati», che secondo l’ipotesi accusatoria «già in passato aveva richiesto accertamenti analoghi». Da qui la sequenza si allunga. Con tanto di contestazioni aggravate dal fatto che entrambi «agivano al di fuori delle materie di competenza e in assenza di delega del procuratore nazionale antimafia». Il capitolo successivo riguarda gli accessi su Gabriele Gravina, presidente della Figc. Il fine? «Indagare» le sue «vicende patrimoniali». Quello di Gravina però non è l’unico nome attenzionato. Compare anche l’attuale allenatore del Milan, Massimiliano Allegri. Da questo asse, Laudati-Striano, si dipana l’altro filone, quello dei rapporti tra il sottufficiale della Guardia di finanza e alcuni giornalisti. La sua tastiera, nelle ricostruzioni della Procura di Roma, sarebbe il punto di partenza di tutto. Probabilmente sono state due verifiche sul nome del ministro della Difesa Guido Crosetto a porre fine alla proficua collaborazione delle tre firme de Il Domani, Tizian, e Vergine, e Trocchia con Striano. Gli accessi sulla posizione dell’esponente e fondatore di Fratelli d’Italia riconducibili a Striano sono due, una del 28 luglio 2022, e l’altra del 20 ottobre dello stesso anno. In entrambi i casi il finanziere consulta «le informazioni concernenti i dati anagrafici ed i redditi percepiti» da Crosetto. La seconda data è quella che, anche in assenza della prova evidente dell’invio a Tizian dei file estratti dalla banca dati, permette agli inquirenti di ipotizzare un collegamento. Dal 27 ottobre, infatti, sarebbero «confluite» in tre articoli pubblicati dal Domani tutti a firma di Tizian e di Emiliano Fittipaldi (non indagato), pubblicati uno quel giorno e i due successivi il 28 e 29 ottobre 2022. I titoli indicati dagli inquirenti negli atti dell’indagine sono abbastanza eloquenti. «Cosi Crosetto ha incassato milioni di euro da Leonardo», «I 200.000 euro che Crosetto ha preso dall’azienda che abbatte droni» e infine «Il ministro della Difesa ha preso altri 125.000 euro dall’azienda che produce i “trojan” spia». Articoli che hanno spinto il titolare della Difesa a rivolgersi alla Procura di Roma per scoprire chi aveva compulsato le sue dichiarazioni dei redditi. I cronisti del quotidiano fondato da Carlo De Benedetti però provano a tenere il punto, e in un articolo pubblicato ieri, usano l’accesso fatto da Striano nel mese di luglio, come una prova a discarico e evidenziano come «le notizie su Crosetto non provenivano da una Sos, cioè una segnalazione di operazione sospetta dell’antiriciclaggio». Cosa che però, nell’invito a comparire notificato a Striano dalla Procura del capoluogo umbro non veniva ipotizzata, anzi. Come detto, gli accessi sul ministro riguardano le sue dichiarazioni dei redditi. Il rapporto tra Tizian e Striano risalirebbe, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, addirittura al 2014, quando il finanziere aveva inviato sulla mail del giornalista la «scheda di sintesi» contenente le informazioni relative all’operazione denominata “Albe”» e si snoda attraverso l’invio tramite Wetransfer di 337 file estratti dalla banca dati Sidda attraverso 67 accessi che i pm ritengono illeciti. I documenti, per i quali viene contestata la rivelazione di segreto d’ufficio, sono stati trasmessi nel periodo tra il 21 maggio 2018 e il 22 ottobre 2022. Attraversando quindi, due importanti scoop fatti da Tizian e Vergine quando scrivevano per il settimanale L’Espresso (all’epoca controllato da Gedi che apparteneva ancora alla famiglia De Benedetti), quello sui 49 milioni di rimborsi elettorali percepiti dalla Lega e quello sul presunto affare per la compravendita di petrolio importato illegalmente dalla Russia per finanziare il partito di Matteo Salvini. Entrambe confluite in due libri usciti a cavallo tra il 2018 e il 2019. Va detto che gli inquirenti non contestano a Striano e ai due cronisti nessuna ipotesi di illecito rispetto alla stesura delle due pubblicazioni. Ma contestano al finanziere e a Tizian, il contenuto di 58 «segnalazioni di operazioni sospette utilizzate nella redazione di numerosi articoli stampa editi da Tizian e pubblicati sul quotidiano Domani». Uno dei file inviati è praticamente un compendio delle posizioni di personaggi coinvolti nella vicenda dell’incontro all’hotel Metropol di Mosca, a partire da Gianluca Savoini, ex portavoce di Salvini, presente alla riunione nell’albergo moscovita. La Sos su Savoini porta la data del 3 settembre 2019, ed è accompagnata da quella, risalente a due giorni dopo, su Ernesto Ferlenghi, attuale presidente di Confindustria Kazakistan. Nel documento il nome di Ferlenghi è associato ad altre due operazioni, una del 7 dicembre 2020 e una del 7 aprile 2022. Compulsando gli archivi delle rassegne stampa emerge che, nei mesi successivi, Tizian pubblica sul Domani altri otto articoli che fanno riferimento alla vicenda del Metropol, ma in questo caso gli inquirenti non indicano date o titoli dei pezzi che nel loro documento vengono collegati al rapporto tra il giornalista e il finanziere. Il file che secondo gli inquirenti sarebbe stato trasmesso da Striano a Tizian contiene anche altre segnalazioni, una relativa all’Associazione culturale Lombardia Russia (collegata a Savoini), e due su Glauco Verdoia, manager italiano di Euro-Ib, istituto bancario anglo-tedesco di investimenti e consulenza, anche lui coinvolto nel caso Metropol. Ma le Sos in qualche modo legate al caso Metropol e finite in articoli firmati da Tizian non finiscono qui. In altri file ci sono infatti un’ulteriore Sos riguardante Savoini, risalente al 18 giugno 2020, una del 24 aprile dello stesso anno, sulla Lombardia film commission, una sul Francesco Barachetti (non indagato), entrambi finiti in un filone parallelo alla complessa ricostruzione del presunto finanziamento in petrorubli alla Lega, poi archiviata dalla Procura di Milano nel 2023. Due Sos del 28 e 30 luglio 2022 riguardano invece Oleg Kostyukov, diplomatico russo che, due mesi prima della caduta del governo guidato da Mario Draghi, avrebbe incontrato un consigliere diplomatico di Salvini, Antonio Capuano (sul cui nome è stato fatto un accesso in banca dati attribuito però al solo Striano) e aiutato il leader della Lega a comprare i biglietti per il viaggio a Mosca, in vista di una missione di pace che Salvini aveva annunciato e che poi era saltata. All’altro autore delle inchieste sul leader leghista, Vergine, la Procura non contesta nessun presunto illecito relativo a quei filoni giornalistici. Ma anche nei confronti del collaboratore del quotidiano oggi diretto da Fittipaldi vengono contestati i reati di accesso abusivo a sistema informatico e rivelazione di segreto d’ufficio. Ai due viene contestato un solo accesso alla banca dati, durante il quale sarebbero stati scaricati cinque file, e un doppio invio tramite Wetransfer degli stessi, accompagnato dal nome «Gregorio Iannone» avvenuto lo stesso giorno, il 4 ottobre 2022. Poche settimane prima che l’esposto di Crosetto mettesse fine alle ricerche del finanziere, che secondo gli inquirenti, avvenivano anche per conto dei cronisti.Le ricerche, si scopre ora, sembrano aver schivato Gianluca Meranda. Che, aveva scoperto La Verità, aveva intrattenuto «frequentazioni» con Tizian, «risalenti quantomeno al luglio 2018». Cioè tre mesi prima della riunione moscovita. Nell’agenda del cellulare di Meranda risultavano «registrati 14 promemoria di appuntamenti con Tizian nel periodo dal 25 luglio 2018 al 24 giugno 2019». Gli atti elencano anche un episodio in cui Striano «dopo aver acquisito per ragioni di servizio elementi informativi su Chatillon Frédéric Didier Oliver nell’ambito delle attività in merito alle ipotesi di riciclaggio di Roberto Fiore» li avrebbe «rivelati al Tizian al fine di consentirne la relativa diffusione». Le ispezioni che gli inquirenti indicano come illecite sarebbero cominciate nel 2018. E hanno risucchiato nel vortice delle ricerche i nomi del ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, quello per gli Affari europei, Tommaso Foti, quello dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari, la compagna di Salvini, Francesca Verdini, la presidente della Commissione parlamentare antimafia Chiara Colosimo e la deputata di Forza Italia Marta Fascina (compagna di Silvio Berlusconi). Ma l’elenco delle Sos contestate a Striano, anche se non finite in articoli, è pressoché sconfinato. Nell’elenco spiccano i nomi, finora mai comparsi, di Vittorio Sgarbi, del lobbista Fabrizio Centofanti, del costruttore Luca Parnasi, di Francesca Immacolata Chaouqui. L’interesse di Striano si sarebbe concentrato anche su Mario Benotti, il giornalista (deceduto) che durante l’emergenza Covid si era trasformato nel broker delle mascherine cinesi che ora è al centro delle attività della Commissione d’inchiesta sulla gestione della pandemia. L’avvocato Andrea Castaldo, che difende Laudati, si è detto «fermamente convinto della trasparenza e della legittimità dell’operato» del suo assistito. Tre indagati, invece, sono già usciti di scena: si tratta di Orazio Ladelfa, Roberta Rusica e Marco Puca. Nomi che erano presenti negli atti dell’indagine perugina e che sono scomparsi dall’avviso di chiusura indagini della Procura di Roma.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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