2025-11-07
Gli ucraini le arruolano la guardia del corpo. Angelina Jolie va a liberarla
Angelina Jolie a Kherson (foto dai social)
La star di Hollywood visita Kherson ma il bodyguard viene spedito al fronte, fino al contrordine finale. Mosca: «Decine di soldati nemici si sono arresi a Pokrovsk».Che il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, trovi escamotage per mobilitare i cittadini ucraini è risaputo, ma il tentativo di costringere la guardia del corpo di una star hollywoodiana ad arruolarsi sembra la trama di un film. Invece è successo al bodyguard di Angelina Jolie: l’attrice, nota per il suo impegno nel contesto umanitario internazionale, si trovava a Kherson in una delle sue missioni.L’uomo deputato a difenderla è stato fermato durante un controllo dei documenti relativi a un fuoristrada che doveva accompagnare l’attrice. Una volta catturato, è stato immediatamente trasferito al Centro di reclutamento con l’obiettivo di spedirlo al fronte. Per ottenere la liberazione sono stati informati i rappresentanti dell’Ufficio presidenziale, con la stessa Jolie che si è dovuta recare personalmente al commissariato per strapparlo dalle grinfie dei combattimenti. L’imbarazzo scaturito dalla vicenda è solo la punta dell’iceberg, dato che in Ucraina sempre più cittadini sono costretti a combattere contro la loro volontà.E proprio i soldati ucraini, a detta del ministero della Difesa russo, si sarebbero «arresi volontariamente» a Pokrovsk «alle forze russe, perché abbandonati dai loro comandanti e perché non potevano più resistere agli attacchi dei droni e al fuoco dell’artiglieria». Lo stesso sarebbe successo nel Donbass, a Krasnoarmeysk. Le truppe di Kiev sarebbero peraltro state accerchiate a Kupyansk. Secondo le stime di Mosca quest’ultima area cadrà sotto il controllo russo «la prossima settimana». Le unità ucraine non si danno per vinte, con «la situazione» che «non è cambiata» a Pokrovsk, stando a quanto sottolineato da un pilota di droni ucraino al Kyiv Independent. Ma è anche vero, ha riconosciuto, che difendere Pokrovsk si sta trasformando «in un compito sempre più impossibile». Oltre a queste zone calde, nella notte, Mosca ha sganciato 135 droni sul suolo ucraino, colpendo «Dnipro, Sumy, Kharkiv e Cernihiv», ha comunicato Zelensky. Che intanto ha ricevuto 21 unità di veicoli blindati da trasporto truppe Patria da parte della Lettonia. Dall’altra parte della barricata, le forze ucraine hanno preso di mira «una base di stoccaggio, assemblaggio e lancio di Uav tipo Shahed» nel Donetsk. I raid ucraini hanno anche portato la raffineria di petrolio russa di Volgograd a sospendere le operazioni. Nel clima di tensioni tra l’Occidente e la Russia, le questioni dei droni e dei test nucleari continuano a tenere banco. Dopo che velivoli senza pilota sono stati avvistati nei pressi degli aeroporti di Bruxelles e di Liegi, il Consiglio per la sicurezza nazionale del Belgio si è riunito ieri per far fronte all’«emergenza». La decisione finale non contempla una linea morbida: il governo belga ha comunicato che non verrà permesso che «droni ostili entrino» in Belgio o che «sorvolino le basi militari» belghe. Ergo: «Se possibile, abbatteremo i droni», ha dichiarato il ministro della Difesa, Theo Francken. Con l’escalation che ormai viene quasi data per scontata da parte di certi Paesi, la Polonia ha intanto annunciato che è pronta ad addestrare fino a 500.000 volontari entro la fine del 2026, nel caso in cui aumentino gli attriti con la Russia. Dall’altra parte, i servizi di intelligence russi per l’estero (Svr) hanno rivelato che «l’Occidente si prepara a creare un incidente alla centrale di Zaporizhzhia» per poi «incolparne la Russia» con lo scopo di «ribaltare il corso del conflitto in Ucraina, che fa fare una brutta figura agli occidentali». E se il segretario generale della Nato, Mark Rutte, ha invitato gli alleati a non peccare di ingenuità visto che la Russia, insieme «alla Cina, alla Corea del Nord, all’Iran» sta preparando «un confronto a lungo termine», il Cremlino, nel contestare questa visione, ha lanciato una provocazione. La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, nel denunciare due pesi e due misure, ha detto: «Il vertice Usa-Cina si è tenuto di recente e non ho sentito Rutte criticare il presidente degli Stati Uniti per questo». Con Bruxelles che adotta un modus operandi che ricorda «la Guerra fredda», il portavoce russo, Dmitry Peskov, ha affrontato il tema dei test nucleari. A tal proposito ha parlato di «un’isteria militarista anti russa», visto che l’Occidente non interpreterebbe in modo corretto le recenti affermazioni del presidente Putin. Lo zar aveva reso noto di valutare la possibilità di riprendere i test nucleari. Imperterrita, l’Ue, oltre a invitare nuovamente Mosca «a rinunciare alle minacce nucleari», si sta preparando a rendere più severe le norme sui visti destinati ai cittadini russi. E ha già iniziato a lamentarsi con l’Ungheria: Budapest starebbe «ancora rilasciando carte nazionali ai cittadini russi sulla base delle sue regole nazionali».La Casa Bianca intanto starebbe strizzando l’occhio a cinque ex repubbliche sovietiche. Tra le mire del presidente americano, Donald Trump, le terre rare e le risorse energetiche. Ecco quindi che il segretario di Stato, Marco Rubio, ha accolto i ministri degli Esteri di Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan, mentre il tycoon si è incontrato successivamente con i leader degli stessi Paesi. Nel tentativo di aumentare le pressioni su Mosca, Washington ha continuato a esortare l’Europa a velocizzare lo stop al gas russo. La soluzione, per il segretario agli Interni americano, Doug Burgum, passa dagli Stati Uniti, dato che «da soli potrebbero sostituire tutto il gas russo in Europa».
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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