
Caro Stefano Lo Russo, caro sindaco di Torino, le scrivo questa cartolina per farle i complimenti: lei gli amici non li molla. E se gli amici sono dei teppisti delinquenti, che importa? La coerenza prima di tutto. «Il Patto con Askatasuna non si tocca», aveva detto subito dopo il loro assalto alla Stampa. «Il Patto con Askatasuna va avanti», ripete ora. Ha solo avuto un momento di debolezza nel momento dello sgombero, proprio mentre le forze dell’ordine entravano nel palazzo occupato trovando palesi violazioni degli accordi. «Il Patto è finito», ha detto allora sconsolato.
Ma è stato solo un momento. Sono bastate poche ore di riflessione, e qualche tirata d’orecchie dei suoi alleati della sinistra radicale, per tornare sui suoi passi: «Il Patto non è finito», ha ribadito infatti l’altro giorno con voltafaccia immediato. Si capisce, caro sindaco: vorrà mica abbandonare i violenti solo perché sono violenti? Ci dorma su ancora un paio di notti e vedrà che le verrà qualche altra proposta brillante. Magari Askatasuna Nobel per la pace. E i suoi militanti educatori alla scuola d’infanzia.
con Askatasuna va avanti», ripete ora. Ha solo avuto un momento di debolezza nel momento dello sgombero, proprio mentre le forze dell’ordine entravano nel palazzo occupato trovando palesi violazioni degli accordi. «Il Patto è finito», ha detto allora sconsolato. Ma è stato solo un momento. Sono bastate poche ore di riflessione, e qualche tirata d’orecchie dei suoi alleati della sinistra radicale, per tornare sui suoi passi: «Il Patto non è finito», ha ribadito infatti l’altro giorno con voltafaccia immediato. Si capisce, caro sindaco: vorrà mica abbandonare i violenti solo perché sono violenti? Ci dorma su ancora un paio di notti e vedrà che le verrà qualche altra proposta brillante. Magari Askatasuna Nobel per la pace. E i suoi militanti educatori alla scuola d’infanzia.
Qualcuno ha osato darle dell’illuso: ma come si permettono? Solo perché ha fatto diventare «bene comune» un palazzo occupato dove si organizzavano attentati violenti in mezza Italia? Solo perché ripete che «Askatasuna è un luogo di inclusione», nonostante quest’«inclusione» stia mettendo a ferro e fuoco la città? Solo perché crede al «principio di coesione» anche quando la coesione va in frantumi insieme con le vetrine e le teste dei poliziotti? Vada avanti, sindaco, noi siamo orgogliosi di lei. E le suggeriamo di estendere il metodo del dialogo anche con altre fattispecie di delinquenti: perché, per dire, non credere nella «coesione» con stupratori o pedofili? Perché non chiudere un occhio anche sui loro crimini, in nome dell’«inclusione»? Torino, si sa, è una città magica. Tutto può succedere: anche vedere gli elefanti che volano, lei che diventa sindaco e Askatasuna che diventa «bene comune».
Torinese, 50 anni compiuti a ottobre, laureato in geologia con dottorato in geologia ambientale e specializzazione nello studio della caduta dei massi (sarà per questo che non la spaventano i sassi lanciati dagli antagonisti), lei, caro sindaco, è entrato in politica nel 2003, prima nella Margherita, poi nel Pd, consigliere comunale dal 2006, assessore all’urbanistica con Fassino, quindi sindaco nel 2021 dopo aver vinto (per 297 voti) le primarie meno frequentate della storia e poi (per un soffio) le elezioni comunali con il più alto tasso d’astensionismo della storia. Diciamo che lei è per i votanti quello che l’Autan è per le zanzare.
In compenso da quando è sindaco la città di Torino è precipitata al 57° posto per qualità della vita (2025) perdendo 26 posizioni in quattro anni, e facendosi notare per l’arrivo dei cinghiali a Mirafiori, i blackout di corrente elettrica e il disastro dei trasporti. Anche sul fronte della sicurezza Torino è messa male, ma lei ha sempre detto no al taser. Invece se l’è presa con i proprietari di case, proponendo di requisire gli appartamenti sfitti da due anni. Al che mi viene un dubbio: non è che vuole dare anche quelli ad Askatasuna? Sarebbe un’idea geniale e dimostrerebbe che lei per gli amici è disposto a tutto, ma proprio a tutto. Anche a perdere la faccia. E la poltrona.






