2022-05-30
Carlo Nordio: «Facile la cella senza processo. Difficile restarci da colpevoli»
L’ex magistrato: «Processi lenti, eccesso di carcere preventivo, intercettazioni invasive, Csm in mano alle correnti. Il referendum comincerà a correggere i guai della giustizia».Giudice Nordio, non siamo mai contenti e quindi partiamo dal referendum bocciato e su cui non voteremo. La responsabilità civile dei magistrati. Perché la Consulta ha deciso così?«La ragion pura è che una responsabilità diretta è ritenuta incompatibile con l’autonomia del giudice, soggetto soltanto alla legge. La ragion pratica è il pericolo di una valanga di richieste risarcitorie che avrebbero affossato definitivamente la giustizia. Io ho firmato i referendum per un motivo più generale, ma credo che in effetti un magistrato inadatto non debba esser colpito nel portafoglio (peraltro protetto da un’assicurazione) ma caso mai nella carriera, e se del caso estromesso dalla magistratura».Il giudice Carlo Nordio, magistrato in pensione e giurista sempre «controvento», da giorni viene sollecitato a esprimersi sulle contorsioni dell’eterno processo a Silvio Berlusconi. Ma il 12 giugno arriva in fretta. E dobbiamo per forza parlare dei referendum sulla giustizia che si terranno in un’unica giornata il prossimo 12 giugno.Costituzione alla mano non è ammesso referendum per leggi tributarie e di bilancio, amnistia e indulto e autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Ma negli anni la Corte costituzionale sembra avere esteso le preclusioni. È legittimo?«Legittimo sì, visto che la Corte è sovrana nel definire questo perimetro. Nel merito, la risposta è più difficile. In effetti per il cosiddetto suicidio assistito l’abrogazione della norma in questione avrebbe creato un vuoto normativo». Si dice che la nostra giustizia sia malata. Quale l’anomalia più evidente?«La lentezza del processo, in sede sia civile sia penale. Per quest’ultima vi sono altre anomalie. Dall’eccesso di carcerazione preventiva all’arbitrio dell’azione penale esercitata dal pubblico ministero senza limiti né controlli. Dall’invasività delle intercettazioni alle violazioni del segreto istruttorio. Più in generale un sistema sfasciato e contraddittorio, perché il codice Vassalli è stato snaturato da soppressioni, modifiche e integrazioni tali da renderlo inapplicabile». Vale a dire?«La contraddizione maggiore è che questa demolizione è stata fatta in gran parte dalla Corte costituzionale dove sedeva proprio il professor Vassalli, il padre di questa legge. Ma c’è di più. Questo codice si è rivelato incompatibile con la Costituzione, nata - come si dice - dalla Resistenza. Il Codice penale invece, firmato da Benito Mussolini e dal re nel 1930, gode ancora di buona salute. Cosicché se oggi un cittadino fosse processato per apologia di fascismo, sarebbe condannato in base a un codice che reca il nome del Duce. Questo la dice lunga sullo sfascio del sistema». Un confronto tra la giustizia italiana e, ad esempio, quella francese. Paese di tradizione quanto a efficienza della pubblica amministrazione. Cosa emerge?«Il sistema francese è più o meno quello del nostro codice Rocco, in vigore fino al 1989. Funziona bene perché è coerente, come lo era il nostro, per quanto elaborato da un regime autoritario. In Francia l’indagine è condotta dal giudice istruttore, e il Pm dipende dal ministero della Giustizia. Nessuno grida allo scandalo, e nessuno può pensare che a Parigi ci sia un sistema penale tirannico. Mentre da noi la sola prospettiva di una responsabilità del Pm evoca l’immagine di una magistratura asservita».In Italia si abusa delle misure cautelari? Uno dei referendum è su questo.«Sì, se ne abusa e spesso se ne fa un uso strumentale per indurre l’imputato a confessare e collaborare. Ma il paradosso più lacerante è che da noi è tanto facile entrare in prigione prima del processo, da presunto innocente, quanto è facile uscirne dopo la condanna, da colpevole conclamato. Il referendum mira a limitare questi abusi, anche se, essendo abrogativo, non può introdurre soluzioni nuove. A mio avviso la più importante sarebbe quella di devolvere la competenza a emettere l’ordinanza di custodia cautelare, cioè a mandare in galera una persona prima della condanna, a un organo collegiale, distante anche topograficamente dal Pm che ne ha fatto la richiesta. Penso a una sorta di chambre d’accusation presso la Corte d’appello, sul modello francese». I problemi della giustizia partono dal Csm? Uno dei quesiti è su questo.«È certamente uno dei problemi più gravi. Lo scandalo Palamara ha dimostrato il mercimonio tra correnti per la distribuzione delle cariche apicali della magistratura, di cui peraltro tutti erano a conoscenza. Con il referendum non si intende affatto punire i magistrati, ma al contrario consentire ai più giovani e ai più liberi di presentare la propria candidatura senza essere sponsorizzati dal clientelismo correntizio. Anche qui, comunque, si tratta essenzialmente di un messaggio da inviare al legislatore per una riforma più radicale…».Tipo?«A mio avviso dovrebbe consistere nel sorteggio, da effettuarsi nell’ambito di un canestro composto di magistrati già valutati varie volte, di docenti universitari di materie giuridiche e di presidenti degli ordini forensi. Tutte persone per definizione affidabili e preparate. Solo in questo modo verrebbe reciso il cordone ombelicale che lega elettori ed eletti, e che si traduce nel mercanteggiamento emerso nello scandalo Palamara». Giusto cancellare la Severino?«Sì, perché la legge Severino prevede che un sindaco possa esser sospeso dalla carica, cioè rimosso, dopo una sentenza di condanna di primo grado. Questo contrasta con la presunzione di innocenza sancita dalla Costituzione, ma soprattutto contrasta con il buon senso, perché gran parte di queste sentenze vengono poi annullate in appello o in Cassazione, e quindi quella rimozione si è rivelata illegittima e iniqua. Ed è un danno irreparabile recato non solo all’amministratore revocato, ma ai cittadini che gli avevano dato fiducia». Separazione delle carriere. Da magistrato lei conferma che pubblico ministero e giudice sono due mestieri completamente diversi?«Sì, soprattutto dopo l’introduzione del processo alla Perry Mason del 1989. In tutti i Paesi dove questo sistema - cosiddetto accusatorio - è in vigore, le carriere sono separate. Basterebbe questo per chiudere la discussione». I cittadini dovranno votare sulla valutazione dei magistrati in uno dei referendum. Che vuol dire?«Oggi è fatta, come dico spesso, “a stampone”, ai limiti del ridicolo. Leggendo queste valutazioni, il 99,5% dei magistrati è intelligentissimo, operosissimo e preparatissimo. Nessuna professione dev’essere insindacabile, anche se per la giurisdizione i rimedi sono costituiti dalle impugnazioni, e non dalle pagelle. Per questo bisogna distinguere tra magistrati giudicanti e requirenti. Per i primi l’errore è sempre in agguato, e infatti in tutto il mondo esistono gli appelli e i ricorsi. Per i pubblici ministeri vale un principio opposto. È giusto valutarli in base alle inchieste che iniziano e ai risultati che ottengono. Perché spesso, con l’alibi dell’obbligatorietà dell’azione penale, imbastiscono indagini lunghe, costose e dolorose, che non approdano a nulla. Ed è bene che di questo rendano conto, come in qualsiasi altra professione».Un giudizio sulla riforma Cartabia.«C’è qualcosa di buono, ed è il minimo sindacale per ottenere gli aiuti dall’Europa. Ma le leggi le fa il Parlamento, non il ministro, e questo Parlamento non ha né la forza né la volontà politica per le necessarie riforme radicali. Ecco perché serve il referendum». Se passano i Sì, la riforma della giustizia serve ancora? E se sì, di che tipo?«Il significato del referendum va ben oltre il contenuto dei singoli quesiti. In realtà si tratta di un appello al popolo, se sia soddisfatto o no di questa giustizia. Una sua vittoria, o anche solo una larga partecipazione, sarebbe un monito ineludibile per il Parlamento, se non questo il prossimo, per una rivoluzione copernicana, anche costituzionale». Che giudizio dà dell’adesione scarsa dei magistrati allo sciopero?«È stato un fallimento, lo hanno capito tutti. Aggiungo che anche tra quel 50% che è andato a votare vi saranno stati magistrati soprattutto di nuova nomina, che temevano di dissentire dalla linea dettata dall’Anm. Perché è questa stessa Associazione che, attraverso il Consiglio superiore, decide dei loro destini». Chi ha più paura se vince il Sì al referendum?«L’establishment dell’Anm, non c’è dubbio. Ma anche la parte politica più giacobina e conservatrice. Entrambe sono riluttanti a vedere ridimensionato il potere della magistratura inquirente. L’Anm per ovvie ragioni, appunto, di mero potere. E la parte giustizialista della politica perché spera sempre di eliminare per via giudiziaria gli avversari che non riesce a battere nella competizione elettorale».La stupiscono la scarsa informazione e il dibattito inesistente?«No, perché il timore che le Procure incutono a politici e mass media è ancora forte. Poi vi è un’altra ragione. La disaffezione alle urne è ormai fisiologica, e la partecipazione è sempre più scarsa anche alle elezioni politiche e amministrative. E i partiti sono riluttanti a impegnarsi in una competizione che, se non si raggiungesse il quorum, potrebbe esser interpretata come una loro sconfitta». Che aspettative ha sul quorum?«Come ho detto, l’astensionismo crescente, la limitazione della votazione a un giorno solo, la festività estiva e la mancanza di informazione sono fattori critici per il quorum. In ogni caso sarà importante vedere la conta dei Sì e dei No». Riterrebbe logico che una riforma seria dell’istituto referendario partisse dall’abolizione del quorum?«Certo, la validità di un referendum dovrebbe prescindere dal numero dei votanti. Se un cittadino si astiene, significa che si affida alla volontà dei partecipanti. E se il quorum non esistesse, sono certo che di questo referendum tutti ne parlerebbero assai di più».
Emmanuel Macron (Getty Images). Nel riquadro Virginie Joron
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L'evento organizzato dal quotidiano La Verità per fare il punto sulle prospettive della transizione energetica. Sul palco con il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin, il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, il presidente di Ascopiave Nicola Cecconato, il direttore Ingegneria e realizzazione di Progetto Terna Maria Rosaria Guarniere, l'Head of Esg Stakeholders & Just Transition Enel Maria Cristina Papetti, il Group Head of Soutainability Business Integration Generali Leonardo Meoli, il Project Engineering Director Barilla Nicola Perizzolo, il Group Quality & Soutainability Director BF Spa Marzia Ravanelli, il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il presidente di Generalfinance, Boconi University Professor of Corporate Finance Maurizio Dallocchio.
Kim Jong-un (Getty Images)