2023-04-29
La tassa sugli extraprofitti di Draghi ci lascia un buco da 8,2 miliardi
Ne sono stati incassati 2,8 contro gli 11 previsti. Un flop annunciato. Il balzello doveva coprire i vari dl Aiuti, quindi ora Giorgia Meloni dovrà trovare nuove risorse. Non solo: molte società hanno impugnato la misura.Il rapporto di Censis e Ugl mette in luce il problema del mancato incontro fra domandae offerta, che colpisce soprattutto gli under 34. Il 1° maggio un cdm sull’occupazione.Lo speciale contiene due articoli. Un buco da 8,2 miliardi di euro. Questa l’eredità che il governo Draghi ha lasciato con la tassa sugli extraprofitti imposta l’anno scorso alle società energetiche. A svelare il bilancio in negativo del balzello è stato il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che rispondendo a un’interrogazione alla Camera ha spiegato come attualmente solo 220 soggetti hanno versato l’imposta dovuta nel 2022 e il gettito ricavato è stato pari a 2.760,49 milioni di euro. «1.279,11 milioni a titolo di acconto e 1.481,38 milioni di euro versati a titolo di saldo», ha precisato Giorgetti che ha continuato sottolineando come quest’anno sono stati versati, da altri tre soggetti, 82 milioni di euro. Il ministro ha precisato inoltre come, visto che la disposizione è stata oggetto di modifiche, il contributo è stato alzato e riguarderà 7.000 aziende. Il governo prevede un incasso di 2,56 miliardi di euro per il 2023, per avere un’analisi finale ed esaustiva «della platea interessata al contributo, anche ai fini dell’avvio delle successive attività di accertamento nei riguardi dei contribuenti inadempienti, potrà essere effettuata solo utilizzando le informazioni che saranno fornite in sede di compilazione dello specifico quadro delle dichiarazioni Iva 2023», il cui termine di presentazione scade il 2 maggio, fatta salva la possibilità per i contribuenti di presentare la dichiarazione entro 90 giorni dallo scadere del termine. Scadenza che con molta probabilità non sposterà di molto il risultato negativo della tassa sugli extraprofitti. Da ricordare che il balzello sulle imprese dell’energia, aveva l’obiettivo di colpire i margini tra le operazioni attive e passive ai fini Iva comprese nel periodo tra il 1° ottobre 2021 e il 30 aprile 2022, ed era destinata a coprire i diversi interventi che il governo Draghi aveva messo in campo per la riduzione delle bollette e delle accise, evitando, come ripetuto più volte anche da Daniele Franco, ex ministro dell’Economia, di fare uno scostamento di bilancio. Si pensava infatti di ottenere un gettito di ben 11 miliardi di euro e non di soli 2,8 come dimostrato dagli ultimi numeri presentati alla Camera. Tassa che, anche se avesse raggiunto il suo obiettivo di incasso, non avrebbe però coperto in modo sufficiente le spese legate ai vari bonus elargiti dal passato governo. Si pensi soltanto che a inizio maggio è stato varato il decreto Aiuti da 14 miliardi che prevedeva di essere interamente coperto dalla tassa sugli extraprofitti e che si è deciso di alzare il balzello dal 10 al 25% per poter finanziare il bonus una tantum da 200 euro dato ai lavoratori dipendenti con redditi fino a 35.000 euro. Ad agosto, come se non bastasse, si è anche aggiunto il decreto Aiuti bis che conteneva misure per 17 miliardi di euro. Il problema è che non solo l’obiettivo non è stato centrato ma i vari decreti Aiuti che sono stati messi in campo prevedevano una copertura delle spese legata alla tassa sugli extraprofitti, che ha generato alla fine dei conti un buco nel bilancio nello casse dello Stato che dovrà essere coperto in qualche modo dal governo di Giorgia Meloni. Il flop della misura era già stato pienamente annunciato dai numeri estivi. Il 30 giugno 2022, scadenza per versare la prima tranche pari al 40% dell’intera somma dovuta, sono stati incassati solo 1,23 miliardi. Somma che già allora faceva presagire come il risultato finale (ultima rata a novembre) sarebbe stato ben lontano da quello sperato. Esito che La Verità aveva previsto con largo anticipo dato che avevamo stimato che, se il trend di incasso si fosse mantenuto costante rispetto a quanto registrato a fine giugno, cosa molto probabile visti i tempi stretti di azione della tassa, il governo avrebbe ottenuto poco più di 3 miliardi di euro alla fine del periodo. E così è stato.I dati del ministro Giorgetti hanno di fatto sancito il fallimento della tassa sugli extraprofitti voluta da Draghi. Ma non solo, perché c’è anche un’altra criticità, come ricorda MilanoFinanza, che riguarda la normativa. Molte tra le società costrette a versare il balzello hanno già avviato una battaglia legale guidata dallo studio internazionale Cms che punta a dimostrare l’incostituzionalità della misura. Situazione che dunque non è delle migliori se si pensa che, non solo si dovrà cercare di coprire il buco di 8 miliardi di euro, ma nel 2024 si dovrà affrontare anche il nuovo Patto di stabilità dell’Ue (l’approvazione definitiva è prevista per fine anno) che contiene molta più rigidità, controlli serrati da parte della Commissione e l’esclusione delle spese di investimento dal calcolo su cui si andrà a misurare il rispetto o meno dei parametri europei. Norma che, se non subirà modifiche nei prossimi mesi, avrà ripercussioni sul potere di spesa del governo che avrà molti meno soldi da spendere per far fronte alle riforme (come quella del Fisco) se vorrà mantenere i conti in ordine, ridurre dello 0,5% annuo il debito ed evitare le sanzioni da parte dell’Unione europea. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/extraprofitti-draghi-lascia-buco-82miliardi-2659929485.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lavoro-giovanile-spirale-negativa" data-post-id="2659929485" data-published-at="1682758875" data-use-pagination="False"> Lavoro giovanile, spirale negativa I giovani in Italia studiano come mai prima d’ora, ma non trovano lavoro e se lo trovano non è adatto alla loro preparazione. È quanto emerge dal rapporto Censis-Ugl Il lavoro è troppo o troppo poco?. È soprattutto un problema di mancato incontro tra domanda e offerta a creare disoccupazione, precariato e povertà e sono i giovani a rimetterci di più. Il tasso di disoccupazione della fascia d’età tra i 15 e i 34 anni è del 14,4%, quello giovanile (15-24 anni) arriva addirittura al 23,7% con il dato nazionale all’8,1%. Quattro su dieci (2 milioni in totale) hanno un lavoro che non gli permette di avere un tenore di vita adeguato perché precario o non ben retribuito. A preoccupare di più è il tema dell’overeducation (mancato allineamento tra il livello di studi raggiunto e la professione svolta) che riguarda un lavoratore su quattro per ogni fascia di età, ma più si è giovani e peggio è: a non svolgere un lavoro adeguato al livello di preparazione raggiunta è il 37,5% della fascia 25-34 anni e il 44,3% tra gli under 25. Inoltre l’Italia è l’unico dei Paesi Ocse che negli ultimi 30 anni ha avuto una riduzione in termini reali delle retribuzioni del 2,9%. È da qui che nasce anche il fenomeno della fuga dei cervelli. Negli ultimi dieci anni oltre un milione di italiani si è trasferito all’estero: uno su quattro era laureato e uno su tre aveva tra i 25 e i 34 anni. Eppure i mezzi per invertire il trend ci sarebbero perché il Pnrr stabilisce che i giovani debbano essere una priorità di tutti gli interventi e fissa una crescita dell’occupazione dei 15-29enni del 3,2% nel biennio 2024-2026 e dello 0,5% in quelli successivi. Inoltre, come già accennato, si affaccia sul mercato del lavoro la generazione più scolarizzata di sempre: il 76,8% dei giovani sotto i 34 anni è almeno diplomato (20 anni fa era il 59,3%) e il 28,3% è laureato (20 anni fa era il 10,6%). Allora cos’è che non funziona? «In sostanza i ragazzi studiano e si preparano come mai prima d’ora, ma nelle discipline sbagliate», ha spiegato il segretario generale Ugl, Paolo Capone a La Verità. Secondo il rapporto infatti ci sono troppi laureati nelle discipline umanistiche ma il prossimo anno mancheranno all’appello oltre 12.000 medici e sanitari, oltre 8.000 economisti, più di 6.000 laureati Stem e oltre 3.000 laureati in discipline giuridiche e politico-sociali. Troppi i diplomati nei licei (+53.000 l’anno), mentre mancheranno 133.000 diplomati degli istituti tecnici e professionali. Il lavoro quindi ci sarebbe: da qui al 2027 si prevede un fabbisogno di circa 3,8 milioni di lavoratori tra settore privato (l’80,6% del totale) e pubblica amministrazione. «È il ministero dell’Istruzione a dover intervenire: nel settore medico con il numero chiuso e per le altre discipline mettendo in campo un programma di orientamento che finora non è mai davvero esistito», ha aggiunto Capone, «Occorre creare condizioni occupazionali più favorevoli, con l’obiettivo di trattenere la forza lavoro qualificata in Italia, recuperando le fasce marginali di giovani che non studiano e non lavorano, attraendo cervelli e manodopera dall’estero». Per il presidente del Censis, il professor Giuseppe De Rita «il destino del Paese è quello dei giovani con talenti e competenze, che devono essere utilizzati e valorizzati nel nostro mercato del lavoro. C’è bisogno di una nuova stagione di politiche di raccordo tra formazione e lavoro per il futuro economico, ma anche demografico dell’Italia».Il governo intanto ha confermato che il 1° maggio si terrà un cdm con all’ordine del giorno il decreto legge con misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro e in materia di salute. Secondo indiscrezioni si tratterà di un provvedimento da 5 miliardi che comprenderà i 3,4 miliardi di euro derivanti dallo scostamento di bilancio e altri 1,6 miliardi individuati dalla rimodulazione di misure già previste. Non è escluso che il decreto possa avviare la revisione del reddito di cittadinanza. Oltre 3 miliardi di euro saranno destinati al taglio del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti a reddito medio basso, misura già annunciata nel Def, mentre le altre risorse andranno a favore delle famiglie con figli.
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Giorgetti ha poi escluso la possibilità di una manovra correttiva: «Non c'è bisogno di correggere una rotta che già gli arbitri ci dicono essere quella rotta giusta» e sottolinea l'obiettivo di tutelare e andare incontro alle famiglie e ai lavoratori con uno sguardo alle famiglie numerose». Per quanto riguarda l'ipotesi di un intervento in manovra sulle banche ha detto: «Io penso che chiunque faccia l'amministratore pubblico debba valutare con attenzione ogni euro speso dalla pubblica amministrazione. Però queste sono valutazioni politiche, ribadisco che saranno fatte solo quando il quadro di priorità sarà definito e basta aspettare due settimane».
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