2021-02-09
Il nuovo europeismo pro italiani subito alla prova di Mes e Recovery
Mario Draghi (Anadolu/Getty Images)
Serve una svolta che ci porti a difendere davvero i nostri interessi a Bruxelles. Il piano da 209 miliardi va riscritto senza i vincoli sull'economia verde che ci penalizzano. E va ascoltato chi boccia il Salvastati.Da ormai diversi giorni, La Verità, in modo pragmatico, invita a demistificare l'argomento «europeista», o meglio a distinguere tra la fuffa retorica (gli inni eurolirici declamati da chi non ha altro argomento per aggredire Matteo Salvini e la Lega, e cerca semmai di usare questo espediente dialettico per nascondere più che altro il proprio imbarazzo) e la necessità di un discorso pubblico più serio e adulto: cioè diventare un Paese capace, come gli altri fanno già da alcuni decenni, di difendere a Bruxelles il proprio interesse nazionale. Dall'inizio della costruzione europea, Berlino e Parigi sono sempre state abilissime a tenere separate la pompa dei giorni di festa (bandiera, inno, integrazione, ever closer union) e la prosa della quotidianità, essendo ben attente a non cedere nemmeno un'oncia dei loro poteri e prerogative. Salvo naturalmente fare la morale agli altri, Italia in testa, da sempre lieta di farsi «rieducare» a colpi di vincolo esterno. Ieri, per esempio, ci ha riprovato un vecchio arnese come Elmar Brok, ex europarlamentare, tedesco Cdu, uomo Ppe, uno dei fanatici del tentativo fallito nel 2007 di Costituzione europea, oggi animatore di iniziative federaliste europee, con una specie di anatema recapitato tramite l'agenzia Adnkronos: «Salvini è antieuropeo, cambi programma. Il signor Salvini deve cambiare le sue politiche. Finora tutto quello che ho letto di lui è sempre stato antieuropeo». È proprio il caso di dire che «qui si parrà la nobilitate» dell'Italia e di Mario Draghi stesso: non si capisce a che titolo altri chiedano abiure o adottino il metodo della provocazione, forse sperando in un incidente politico.Semmai, in modo concreto, occorre mettere in fila le prime quattro occasioni che saranno offerte dal calendario a Draghi e alla sua coalizione per passare dall'europeismo di parata a una concreta difesa dell'interesse nazionale nel quadro europeo. Il primo appuntamento è la riscrittura integrale del Recovery plan. Non c'è solo un lato domestico, e cioè l'urgenza di stracciare e riscrivere il compitino male eseguito dal governo di Giuseppe Conte (e far meglio non sarà difficile). Il punto è il lato esterno della vicenda: avere la forza per rinegoziare le priorità, non farsi imporre il 40% circa di spese sul lato «green», insomma evitare che gli investimenti corrispondano a logiche che poco hanno a che vedere con le caratteristiche del sistema produttivo italiano. Mario Draghi ha certamente l'autorevolezza per negoziare, quindi occorre che il dibattito politico e mediatico viaggi in questa direzione: allargare gli spazi del Recovery fund, e modellare il vestito sul corpo del Paese che deve indossarlo. Il secondo appuntamento è addirittura cruciale, e riguarda gli odiatissimi parametri del Patto di stabilità, sospesi a causa dell'emergenza Covid. Il commissario europeo Paolo Gentiloni ha a più riprese rilasciato interviste per un verso per dire che occorre guadagnare tempo prima di ripristinare quei parametri, e per altro verso per sottolineare che occorre modificarli. Ma, a ogni sua dichiarazione, ha fatto riscontro una sortita arcigna del suo tutor e supervisor, il cerbero lettone Valdis Dombrovskis. Tutti comprendono che il ritorno pari pari di quei parametri sarebbe esiziale per delle economie già al collasso. Anche qui è primo interesse di Draghi, a maggior ragione trovandosi lui stesso a Palazzo Chigi, evitare che gli cada addosso questa tegola. Il terzo appuntamento è la ratifica parlamentare del cosiddetto nuovo Mes. Appare necessario, anzi indispensabile, consentire totale agibilità a chi in Parlamento non vorrà ratificare e approvare. Anzi, è interesse del governo sgombrare preventivamente il campo da equivoci e contrapposizioni, oltre che da polemiche prevedibili (e dunque evitabili): non avrebbe senso chiedere abiure né a chi si è finora dichiarato favorevole né a chi si è espresso contro. Il quarto appuntamento riguarda l'uso (o no) del Mes sanitario, in questi mesi sollecitato da alcune forze (Fi, Pd, Italia viva) e respinto da altre. Va sottolineato che, con l'eccezione di Cipro, non ci sono Paesi europei che intendano farvi ricorso, o che lo abbiano già fatto. Dunque, la questione potrebbe essere agevolmente sdrammatizzata. Anche qui, è interesse in primo luogo di Draghi evitare che partiti politicamente «disoccupati», perché di fatto commissariati dal governo, pensino di ritrovare una verve combattiva usando il casus belli del Mes. Resta infine un caveat metodologico, che i contraenti (Lega in testa, per evidenti ragioni) faranno bene a precisare preventivamente al premier. Di solito, quando un governo vuole scansare una questione, si rimette al Parlamento, lasciando che sia la dinamica delle Camere a dirimerla. Ecco, stavolta questo escamotage non è praticabile, perché esporrebbe il governo al rischio di atti leonini e di prepotenza della vecchia maggioranza giallorossa, e in particolare del suo nucleo «contiano» (M5s-Pd-Leu). Dunque, è il caso che sia il governo a risolvere le questioni prima, senza calciare la palla in tribuna.