
La diplomazia Ue conta sempre meno, ma ci costa un miliardo di euro l'anno: soldi buttati fra sedi faraoniche e benefit ai dipendenti. 5 milioni per un palazzo in Nepal, 15 milioni per la ruggine del caffè in El Salvador.Un miliardo di euro: è questa l'astronomica cifra che ogni anno l'Unione europea mette sul piatto per tenere in piedi il carrozzone della diplomazia continentale. Denari che non piovono dal cielo, ma provengono dal budget comunitario, e dunque dall'obolo che ciascuno Stato membro versa a Bruxelles. Senza dimenticare che l'Italia è un contributore netto del bilancio, cioè versa più di quanto non riceva in cambio, e a maggior ragione questa spesa ricade sugli onesti cittadini che versano le tasse.Dando uno sguardo ai progetti sponsorizzati e portati avanti dalle delegazioni estere dell'Unione europea, le perplessità abbondano. Ovviamente non mancano le finalità nobili, come quelle legate all'educazione, alla tutela dei minori o alla difesa delle donne. Iniziative rispettabilissime, alle quali si affiancano però progetti più strambi. Si va dai 36 milioni sganciati per la lotta al cambiamento climatico in Afghanistan, ai 500.000 euro per la lavorazione della lana armena, ai 250.000 euro per politiche ecologiche nella capitale dello Swaziland, ai 4,4 milioni per l'inclusione sociale in Giordania. Un capitolo a parte lo meritano i 220 motorini acquistati per i contadini del Malawi, i 7,7 milioni stanziati per la competitività della banana dominicana e i 15 milioni erogati per contrastare la ruggine del caffè in El Salvador. E poi innumerevoli premi letterari, festival cinematografici, mostre fotografiche. Tutto, ovviamente, da segnare sul conto dell'Unione europea.Nel 2018 mantenere in piedi la macchina del «Servizio europeo per l'azione esterna» (Eeas), la branca diplomatica dell'Ue, ci è costato la bellezza di 1,094 miliardi di euro. Di questi, 678 milioni sono stati spesi direttamente dall'Eeas (356 milioni per gli stipendi e 322 per spese amministrative), mentre altri 416 (320 per gli stipendi e 96 per spese amministrative) da parte della Commissione per il personale impiegato all'estero. Per il 2019, il budget dovrebbe lievitare a 1,122 miliardi (+2,56%). Se consideriamo il numero delle risorse, l'Eeas conta 1.575 dipendenti, 992 dei quali impiegati nei quartier generali amministrativi e 583 inseriti nelle delegazioni sparse in giro per il mondo. Il numero complessivo delle sedi di rappresentanza supera le 180 unità, praticamente una per ogni Paese membro dell'Onu. A giudicare dalla lista dettagliata delle delegazioni, non sempre l'entità delle risorse appare equilibrata a seconda del Paese. Tanto per fare qualche esempio, il numero dei delegati (4) di Burkina Faso, Burundi e Yemen è uguale a quello dell'Argentina e del Cile. Solo in qualche caso la sede occupa più di dieci persone: è il caso di Cina (12), Russia (12) e Stati Uniti (14), oppure delle delegazioni incardinate all'interno di un'organizzazione internazionale. Come l'Austria (12 per Onu, Agenzia internazionale per l'energia atomica e Ocse), la Svizzera (17 per la sede Onu a Ginevra) e gli Stati Uniti (21 per la sede dell'Onu).Tuttavia, il personale in missione all'estero per conto dell'Unione europea non si ferma a queste poche centinaia di impiegati. La maggior parte della forza lavoro, infatti, è rappresentata da personale esterno. Si tratta in maggioranza di dipendenti della Commissione europea (3.565), ai quali si aggiungono altri 1.498 esterni Eeas (agenti a contratto, esperti, etc.). Se sommiamo il personale delle sedi centrali (992), quello Eeas interno ed esterno (2.081) e quello della Commissione (3.565), otteniamo la ragguardevole somma di 5.646 persone impiegate a vario titolo nel corpo diplomatico. Per ciò che concerne la divisione per area geografica, al primo posto abbiamo il continente africano (1.943 dipendenti), seguito dall'Europa (1.285, compresi gli uffici amministrativi) e dall'Asia (777). A ruota i paesi del Mediterraneo (520), l'America centrale (341), l'America del Sud (310), il Nord America (256) e il Pacifico (214).«un ente inutile»Raggiunto dalla Verità, l'eurodeputato Marco Zanni (Lega/Enf), membro della Commissione bilancio del Parlamento europeo, spiega che «il Servizio europeo di azione esterna è un apparato burocratico totalmente inutile e assai costoso: anche il recente vertice franco-tedesco di Aquisgrana ha dimostrato, se ce ne fosse ancora bisogno, che in politica estera decidono ancora gli Stati, ed è giusto che sia così. È quindi vergognoso», continua Zanni, «buttare centinaia di milioni di euro ogni anno per foraggiare questo sistema, che tra l'altro implica migliaia di funzionari lautamente retribuiti per non fare sostanzialmente nulla».Senza contare poi il grosso problema legato alla trasparenza. «È vergognosa la gestione delle spese relative alle singole delegazioni», aggiunge l'eurodeputato, in quanto «i progetti di politica immobiliare dell'Ue arrivano spesso in votazione in commissione bilancio senza grande preavviso né attente valutazioni e non sono neanche soggetti al normale passaggio in Plenaria, dove avrebbero la visibilità che Bruxelles teme- Perciò vuole quindi gestire tutto sotto traccia». Anche nella pagina dedicata agli appalti per le delegazioni non mancano spese, per così dire, fuori dalle righe. Pensiamo ai 25.000 euro per il catering della giornata dell'Europa in Cina, oppure ai 4.000 euro per la fornitura di vino della delegazione cinese e ai 59.000 per l'acquisto di due veicoli in Yemen. Ma i capitoli più importanti riguardano il settore immobiliare, e non per niente in questi casi acquisire la documentazione si fa estremamente più complesso. La Verità è riuscita a visionare alcuni rapporti dell'Eeas, scoprendo elementi interessanti. L'acquisto dell'edificio per la nuova delegazione del Nepal (27 membri più 3 autisti), ad esempio, è costato alle casse dell'Ue circa 5 milioni di euro. Salato il conto anche in Libano (66 membri più 4 autisti), dove i costi annui per l'edificio di otto piani (2.600 metri quadri) che ospita lo staff si aggirano intorno agli 1,7 milioni di euro. Per lo spostamento della sede colombiana (37 membri più 4 autisti), invece, è stato previsto nel 2017 un investimento di 7,15 milioni di euro. «Forse», conclude Marco Zanni, «più che tagliare fondi ad agricoltura e regioni, sarebbe il caso di partire dall'eliminare questi sprechi».L'Eeas è un organismo relativamente recente, previsto dal Trattato di Lisbona e istituito formalmente nel 2011 allo scopo di «rendere la politica estera dell'Ue più coerente ed efficace, rafforzando in tal modo l'influenza globale dell'Europa». Tra le sue funzioni, gestire le relazioni diplomatiche e i partenariati strategici con i Paesi extra Ue, collaborare con i servizi diplomatici dei Paesi dell'Ue, dell'Onu e delle altre potenze mondiali, nonché assistere l'Alto rappresentante nella gestione delle politica estera e di sicurezza. Incarico, quest'ultimo, ricoperto dal 2014 dall'italiana Federica Mogherini, che è d'ufficio anche vicepresidente della Commissione europea. Eppure non si può dire che le relazioni internazionali dell'Ue stiano vivendo un momento particolarmente fulgido.Quando durante la cerimonia funebre svoltasi lo scorso dicembre in memoria di George Bush senior, l'ambasciatore dell'Unione europea a Washington, David O'Sullivan, si è sentito chiamare tra gli ultimi, ha capito subito che c'era qualcosa che non andava. Lunghissimi momenti carichi di imbarazzo, mentre altri diplomatici molto meno esperti e blasonati del delegato del Vecchio continente gli passavano davanti, sfilandogli il posto. «Si saranno forse dimenticati di me? Ci sarà stato un errore, lei non sa chi sono io», avrà pensato (magari anche a voce alta) il diplomatico europeo. E invece non era un errore. Di fronte agli addetti alla sicurezza che si occupavano di regolare il passaggio verso i banchi, O'Sullivan ha dovuto fare un passo indietro e accettare l'amara realtà. Retrocessi al rango di semplice organizzazione internazionale, senza che la controparte ritenesse opportuno comunicare la decisione per mezzo di un atto formale. Più che una banale scaramuccia tra due potenze sempre meno amiche e sempre più rivali, un gesto eloquente per comunicare alla Ue «il suo posto nel mondo», come ha scritto sul Washington Post la professoressa Karen Smith, docente di relazioni internazionali alla London school of economics. Nella lista dei diplomatici consultabile pubblicamente sul sito del Dipartimento di Stato americano (il corrispondente del nostro ministero degli Esteri), O'Sullivan risulta ora accreditato non come ambasciatore plenipotenziario, ma semplicemente come «capo delegazione» dell'Unione europea, alla stregua di Arikana Chihombori Quao, rappresentante dell'Unione africana.Quello all'ambasciatore inviato da Bruxelles è solo l'ultimo schiaffo sferrato in ordine di tempo all'Unione europea, da parte di Donald Trump, che l'ha definita appena lo scorso luglio «uno dei più grandi nemici a livello globale, ancora più di Russia e Cina». L'umiliazione da parte degli Stati Uniti riporta alla luce l'interrogativo sulla reale utilità della rappresentanza estera dell'Unione europea. Una domanda ancora più sensata alla luce delle spese pazze che ruotano intorno al moloch che si occupa di gestire le relazioni internazionali.
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