Scadono i termini per recepire la direttiva Ue che regola la paga oraria «adeguata»: dodici Paesi non hanno iniziato l’iter, due hanno fatto ricorso. Solo in cinque l’hanno approvata. Una sconfitta per la sinistra che usa la misura per attaccare il governo.
Scadono i termini per recepire la direttiva Ue che regola la paga oraria «adeguata»: dodici Paesi non hanno iniziato l’iter, due hanno fatto ricorso. Solo in cinque l’hanno approvata. Una sconfitta per la sinistra che usa la misura per attaccare il governo.I casi estremi riguardano Danimarca e Svezia che hanno addirittura presentato ricorso contro la direttiva Ue sui salari minimi che aveva l’obiettivo (numeri alla mano poco riuscito) di garantire ai lavoratori degli Stati membri una retribuzione «adeguata» per legge o attraverso il sistema della contrattazione. Ma a bene vedere il dato più rilevante riguarda il numero di Paesi, ben dodici su ventisette nei quali l’iter non risulta nemmeno iniziato. Si parte dalla Bulgaria e si arriva fino a Cipro, Estonia, Francia, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Slovacchia, Slovenia e Spagna.E così alla fine della fiera a oggi, i termini scadevano il 15 novembre, solo cinque Stati -Romania, Lituania, Repubblica Ceca e Ungheria - hanno recepito la direttiva per davvero. Lo evidenzia uno studio dell’Adapt curato da Silvia Spattini. Numeri che testimoniano una sconfitta per i fautori dell’imposizione di una paga minima oraria senza se e senza ma e soprattutto per la sinistra italiana e la Cgil che sul salario minimo ci hanno fatto una battaglia di principio, considerandolo il perno intorno al quale impostare una politica di aumento dei salari. Evidentemente una parte importante del resto d’Europa la pensa diversamente. Intendiamoci. Le risposte alla direttiva e la tabella a fianco non vogliano dire che tutt’Europa è contraria al salario minimo, ma un risultato così importante evidenzia che i Paesi che non hanno un salario minimo non ci pensano nemmeno ad adottarlo, anzi se possibile fanno ricorso. E che anche chi ha forme più o meno strutturate di salario minimo non intende darsi regole più stringenti anche se è Bruxelles a chiederlo. «L’obiettivo della direttiva dell’Unione», si legge nella ricerca dell’Adapt, «è di promuovere e creare condizioni favorevoli al fine di garantire ai lavoratori degli Stati membri una retribuzione minima adeguata, che può essere assicurata mediante contratto collettivo oppure per legge. Con questo fine, sono presenti nella direttiva disposizioni che richiedono agli Stati di definire procedure per fissare salari minimi legali che garantiscano la loro adeguatezza, per promuovere la contrattazione collettiva rispetto alla determinazione dei salari e per migliorare l’effettività dell’applicazione delle paghe minime, indipendentemente dalla modalità della loro fissazione, legale o contrattuale».Tradotto: la direttiva si rivolge sia ai Paesi che non hanno nessuna forma di salario minimo imposto per legge che a quelli che prevedono con strutture differenti livelli di paghe orarie al di sotto dei quali è impossibile andare. Ecco in questo caso, l’Europa ha chiesto ai Paesi di integrare le loro norme con l’adozione di strumenti di raccolta dei dati per monitorare la tutela dei minimi stabiliti e di prevedere la possibilità di far ricorso in caso di violazione del diritto ai salari minimi e di indicare le corrispondenti sanzioni.Reazioni? Come detto, in alcuni Paesi (Belgio, Croazia, Irlanda, Lettonia, Lussemburgo, Polonia) l’iter di recepimento è fermo alla presentazione di proposte di legge, peraltro in molti casi il progetto legislativo è stato presentato solo pochi giorni fa, ma circa la metà degli Stati ha snobbato il provvedimento. Mentre quasi la metà degli Stati Ue ha sonoramente snobbato la direttiva di Bruxelles. Arriviamo all’Italia. Come sappiamo, il dibattito sul salario minimo ha caratterizzato e polarizzato lo scontro politico per diversi mesi. Ottenendo un risultato che è impossibile non riconoscergli: è riuscito compattare la invece solitamente divise opposizione. Pd, M5s e persino Azione di Carlo Calenda si sono stretti come un sol uomo intorno al feticcio della paga minima oraria capace di risolvere l’atavico problema dei bassi salari italiani. Il governo, anche se c’è una legge di delegazione sulla direttiva, ha preso un’altra strada. Che è quella della detassazione anche del secondo livello (premi di risultato, welfare ecc), degli incentivi alla produttività e della moral suasion sui rinnovi contrattuali. Qualcosa è stato fatto e molto resta da fare. Certo non seguendo la strada indicata ancora dalla Cgil pochi giorni fa. Il sindacato di Landini che aveva deciso di scioperare ben prima di vedere la manovra ha continuato a chiedere al governo di recepire la Direttiva europea sul salario minimo e la contrattazione collettiva. «Si tratta di un obbligo comunitario e inderogabile», evidenziava il segretario, «eppure il governo non lo sta facendo, anzi nemmeno ha iniziato il processo di recepimento la cui scadenza era fissata entro il 15 novembre». «Eppure», scriveva il sindacalista alla Meloni, «nel nostro Paese è sempre più evidente la necessità di una legge sulla misurazione della rappresentanza come anche di una legge sul salario minimo». Lo vada a dire ai Paesi che hanno fatto ricorso contro la direttiva e a quelli che pur avendo forme di paga minima oraria non hanno neanche pensato alla possibilità di adottare le regole della direttiva Ue». Forse non avevano un Landini locale pronto a invocarlo con forza. Beati loro.
Maurizio Landini (Ansa)
- Aumentano gli scontenti dopo il divorzio dalla Uil. Ma il leader insiste sulla linea movimentista e anti Meloni In vista di elezioni e referendum è pronto a imporre il fedelissimo Gesmundo come segretario organizzativo.
- Proteste contro l’emendamento che chiede di comunicare 7 giorni prima l’adesione.
Lo speciale contiene due articoli.
Da mesi, chi segue da vicino le vicende del sindacato e della politica economica del Paese si pone una domanda, se vogliamo banale: ma è possibile che di fronte alla trasformazione della Cgil in una sorta di movimento d’opposizione al governo, ai continui no rispetto a qualsiasi accordo o contratto di lavoro che possa coinvolgere la Meloni e a cospetto di un isolamento sempre più profondo, non ci sia nessuno che dall’interno critichi o comunque ponga qualche domanda a Maurizio Landini?
2025-11-16
Borghi: «Tassare le banche? Sostenibile e utile. Pur con i conti a posto l’Ue non ci premierà»
Claudio Borghi (Ansa)
Il senatore della Lega: «Legge di bilancio da modificare in Aula, servono più denari per la sicurezza. E bisogna uscire dal Mes».
«Due punti in più di Irap sulle banche? È un prelievo sostenibilissimo e utile a creare risorse da destinare alla sicurezza. Le pensioni? È passato inosservato un emendamento che diminuisce di un mese l’età pensionabile invece di aumentarla. La rottamazione? Alla fine, anche gli alleati si sono accodati». Claudio Borghi, capogruppo della Lega in commissione Bilancio del Senato e relatore alla legge di bilancio, sciorina a raffica gli emendamenti di «bandiera» del suo partito con una premessa: «Indicano una intenzione politica che va, poi, approfondita». E aggiunge: «Certo, la manovra avrebbe potuto essere più sfidante ma il premier Giorgia Meloni non ha fatto mistero di volerci presentare nella Ue come i primi della classe, come coloro che anticipano il traguardo di un deficit sotto il 3% del Pil. Io, però, temo che alla fine non ci daranno alcun premio, anche perché, ad esempio, la Bce ha già premiato la Francia che ha un deficit superiore al nostro. Quindi, attenti a non farsi illusioni».
Roberto Fico (Ansa)
Dopo il gozzo «scortato», l’ex presidente della Camera inciampa nel box divenuto casa.
Nella campagna elettorale campana c’è un personaggio che, senza volerlo, sembra vivere in una sorta di commedia politica degli equivoci. È Roberto Fico, l’ex presidente della Camera, candidato governatore. Storico volto «anticasta» che si muoveva in autobus mentre Montecitorio lo aspettava, dopo essere stato beccato con il gozzo ormeggiato a Nisida, oggi scaglia anatemi contro i condoni edilizi, accusando il centrodestra di voler «ingannare i cittadini». «Serve garantire il diritto alla casa, non fare condoni», ha scritto Fico sui social, accusando il centrodestra di «disperazione elettorale». Ma mentre tuona contro le sanatorie, il suo passato «amministrativo» ci racconta una storia molto meno lineare: una casa di famiglia (dove è comproprietario con la sorella Gabriella) è stata regolarizzata proprio grazie a una sanatoria chiusa nel 2017, un anno prima di diventare presidente della Camera.
Edmondo Cirielli e Antonio Tajani (Ansa)
L’emendamento alla manovra di Fdi mira a riattivare la regolarizzazione del 2003. Così si metterebbe mano a situazioni rimaste sospese soprattutto in Campania: all’epoca, il governatore dem Bassolino non recepì la legge. E migliaia di famiglie finirono beffate.
Nella giornata di venerdì, la manovra di bilancio 2026 è stata travolta da un’ondata di emendamenti, circa 5.700, con 1.600 presentati dalla stessa maggioranza. Tra le modifiche che hanno attirato maggiore attenzione spicca quella di Fratelli d’Italia per riaprire i termini del condono edilizio del 2003.
I senatori di Fdi Matteo Gelmetti e Domenico Matera hanno proposto di riattivare, non creare ex novo, la sanatoria introdotta durante il governo Berlusconi nel 2003. Obiettivo: sanare situazioni rimaste sospese, in particolare in Campania, dove la Regione, all’epoca guidata da Antonio Bassolino (centrosinistra), decise di non recepire la norma nazionale. Così migliaia di famiglie, pur avendo versato gli oneri, sono rimaste escluse. Fdi chiarisce che si tratta di «una misura di giustizia» per cittadini rimasti intrappolati da errori amministrativi, non di un nuovo condono. L’emendamento è tra i 400 «segnalati», quindi con buone probabilità di essere discusso in commissione Bilancio.






