Non so quale sia la ragione, ma le vicende interne alle redazioni interessano molto. Sarà perché i giornalisti sono direttamente coinvolti, in quanto è il loro mondo, sarà perché comunque maneggiano una materia fondamentale in democrazia, ossia la libertà di stampa, sta di fatto che le notizie che riguardano la proprietà dei gruppi editoriali trovano largo spazio su giornali e social.
Non so quale sia la ragione, ma le vicende interne alle redazioni interessano molto. Sarà perché i giornalisti sono direttamente coinvolti, in quanto è il loro mondo, sarà perché comunque maneggiano una materia fondamentale in democrazia, ossia la libertà di stampa, sta di fatto che le notizie che riguardano la proprietà dei gruppi editoriali trovano largo spazio su giornali e social. E negli ultimi tempi sia i primi che i secondi si sono occupati ampiamente di noi. Come i lettori sanno, La Verità è nata nel settembre del 2016 da un progetto indipendente, non al servizio di poteri o interessi diversi da quelli editoriali. I nostri padroni sono stati da subito i lettori e nessun altro e il successo riscosso testimonia che esiste uno spazio per quanti vogliano raccontare e commentare i fatti senza bavagli e condizionamenti. In sette anni sono ovviamente cambiate molte cose e alcuni azionisti che avevano contribuito a far nascere il nostro quotidiano sono usciti dalla compagine azionaria, mentre altre testate sono entrate a far parte del nostro gruppo, tra le quali Panorama, storico settimanale politico. Qualche cosa, tuttavia, non è cambiata ed è la voglia di restare autonomi e di non dover rispondere a nessun altro che non sia chi ogni giorno ci sceglie. Il controllo della Verità sin dall’inizio è stato nelle mani del sottoscritto. Da direttore e fondatore all’inizio ho avuto poco meno del 50 per cento, cresciuto al 78 per cento per effetto di alcune uscite ed ora sono tornato al 58. Infatti, nei giorni scorsi gli azionisti della Verità hanno ceduto pro quota il 25 per cento alla società Newspaper, controllata da Federico Vecchioni e dalla sua famiglia. Vecchioni è un imprenditore che conosco da tempo e che anni fa ha creduto nell’agricoltura italiana fino al punto di rilevare dalla Banca d’Italia la società Bonifiche Ferraresi, facendola diventare un colosso nel settore agroalimentare. Sebbene adotti uno stile minimalista, l’amministratore di BF è di fatto il punto di riferimento del mondo agricolo e della difesa dell’italianità dei prodotti della filiera agricolo-alimentare. Le strade della Verità e quelle dell’uomo che guida una holding quotata in Borsa si sono incrociate proprio nella tutela di alcune produzioni nazionali, attaccate dalle multinazionali e da un’assurda politica europea. Questo vuol dire che d’ora in poi La Verità sarà il partito dei contadini? No, semplicemente significa che continueremo a guardare con sospetto certe decisioni di Bruxelles, che ci vorrebbe imporre misure che danneggiano la nostra economia e i consumatori italiani. Dal famoso Nutriscore, che metterebbe fuori gioco prodotti come il Grana padano e il Parmigiano reggiano, alle etichette sul vino per scoraggiarne il consumo, per finire alla carne sintetica che tanto piace ai socialisti europei, continueremo a procedere in direzione ostinata e contraria. In una dichiarazione distribuita alle agenzie Vecchioni spiega le ragioni che l’hanno portato a entrare nella compagine della Verità. «Il giornale da sempre si occupa di questioni agroalimentari con una linea politica e di contenuti che condivido pienamente. Mi è parso quindi ovvio sostenere come socio finanziario l’indipendenza del gruppo con un investimento personale mio e di alcuni amici».L’azionista di maggioranza assoluta della Verità resto dunque io, Maurizio Belpietro, che l’ho fondata insieme a molte delle firme che conoscete, e al mio fianco, oltre ad azionisti storici come Mario Giordano e Nicola Benedetto, oggi si unisce Federico Vecchioni, con un’operazione che rafforza la struttura patrimoniale della società al fine di continuare a garantire che la libertà di stampa non sia solo un articolo della Costituzione e nulla di più.
Elly Schlein (Ansa)
Corteo a Messina per dire no all’opera. Salvini: «Nessuna nuova gara. Si parte nel 2026».
I cantieri per il Ponte sullo Stretto «saranno aperti nel 2026». Il vicepremier e ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, snocciola dati certi e sgombera il campo da illazioni e dubbi proprio nel giorno in cui migliaia di persone (gli organizzatori parlano di 15.000) sono scese in piazza a Messina per dire no al Ponte sullo Stretto. Il «no» vede schierati Pd e Cgil in corteo per opporsi a un’opera che offre «comunque oltre 37.000 posti di lavoro». Nonostante lo stop arrivato dalla Corte dei Conti al progetto, Salvini ha illustrato i prossimi step e ha rassicurato gli italiani: «Non è vero che bisognerà rifare una gara. La gara c’è stata. Ovviamente i costi del 2025 dei materiali, dell’acciaio, del cemento, dell’energia, non sono i costi di dieci anni fa. Questo non perché è cambiato il progetto, ma perché è cambiato il mondo».
Luigi Lovaglio (Ansa)
A Milano si indaga su concerto e ostacolo alla vigilanza nella scalata a Mediobanca. Gli interessati smentiscono. Lovaglio intercettato critica l’ad di Generali Donnet.
La scalata di Mps su Mediobanca continua a produrre scosse giudiziarie. La Procura di Milano indaga sull’Ops. I pm ipotizzano manipolazione del mercato e ostacolo alla vigilanza, ritenendo possibile un coordinamento occulto tra alcuni nuovi soci di Mps e il vertice allora guidato dall’ad Luigi Lovaglio. Gli indagati sono l’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone; Francesco Milleri, presidente della holding Delfin; Romolo Bardin, ad di Delfin; Enrico Cavatorta, dirigente della stessa holding; e lo stesso Lovaglio.
Leone XIV (Ansa)
- La missione di Prevost in Turchia aiuta ad abbattere il «muro» del Mediterraneo tra cristianità e Islam. Considerando anche l’estensione degli Accordi di Abramo, c’è fiducia per una florida regione multireligiosa.
- Leone XIV visita il tempio musulmano di Istanbul ma si limita a togliere le scarpe. Oggi la partenza per il Libano con il rebus Airbus: pure il suo velivolo va aggiornato.
Lo speciale contiene due articoli.
Pier Carlo Padoan (Ansa)
Schlein chiede al governo di riferire sull’inchiesta. Ma sono i democratici che hanno rovinato il Monte. E il loro Padoan al Tesoro ha messo miliardi pubblici per salvarlo per poi farsi eleggere proprio a Siena...
Quando Elly Schlein parla di «opacità del governo nella scalata Mps su Mediobanca», è difficile trattenere un sorriso. Amaro, s’intende. Perché è difficile ascoltare un appello alla trasparenza proprio dalla segretaria del partito che ha portato il Monte dei Paschi di Siena dall’essere la banca più antica del mondo a un cimitero di esperimenti politici e clientelari. Una rimozione selettiva che, se non fosse pronunciata con serietà, sembrerebbe il copione di una satira. Schlein tuona contro «il ruolo opaco del governo e del Mef», chiede a Giorgetti di presentarsi immediatamente in Parlamento, sventola richieste di trasparenza come fossero trofei morali. Ma evita accuratamente di ricordare che l’opacità vera, quella strutturale, quella che ha devastato la banca, porta un marchio indelebile: il Pci e i suoi eredi. Un marchio inciso nella pietra di Rocca Salimbeni, dove negli anni si è consumato uno dei più grandi scempi finanziari della storia repubblicana. Un conto finale da 8,2 miliardi pagato dallo Stato, cioè dai contribuenti, mentre i signori del «buon governo» locale si dilettavano con le loro clientele.







