2021-09-23
Eni, il superteste si sbugiardò da solo: «Nessuna pressione dai nigeriani»
L'avvocato Roberto Pisano, legale di Obi Emeka (Ansa)
Le motivazioni d'appello sull'assoluzione dei due presunti intermediari della mazzetta petrolifera in Africa In una intercettazione telefonica con un amico, Vincenzo Armanna sconfessò la sua deposizione al pm Fabio De Pasquale.L'ex avvocato di Eni, Piero Amara, torna a far parlare di sé sui quotidiani per le ultime dichiarazioni alla Procura di Perugia. Ma nel frattempo sono uscite le motivazioni della sentenza d'appello che ha assolto Gianluca Di Nardo e Emeka Obi, i presunti intermediari della maxi tangente sul giacimento petrolifero nigeriano Opl 245. Nelle 142 pagine, firmate dal presidente Rosa Luisa Polizzi, si ripercorrono i passaggi di questo processo abbreviato milanese, uno stralcio rispetto al troncone principale che poi ha portato all'assoluzione di tutti gli imputati dalle accuse di corruzione internazionale «perché il fatto non sussiste». La sentenza si snoda attraverso 3 punti principali. Innanzitutto viene dimostrata la mancanza di prove in mano all'accusa del pm Fabio De Pasquale. Quindi viene sottolineato come non sia stato mai tracciato alcun pagamento di denaro. Ma soprattutto si demolisce una volta per tutte la credibilità dell'imputato/accusatore Vincenzo Armanna, ex manager Eni, sodale di Amara. Per i giudici, «considerato il tenore delle dichiarazioni» di Armanna «appare impossibile esprimere quel giudizio di attendibilità che dovrebbe essere presupposto per l'individuazione degli eventuali riscontri esterni idonei a confermare o meno l'attendibilità delle dichiarazioni accusatorie». Non va dimenticato che la corte è la stessa che dovrà esprimersi sul ricorso presentato proprio da De Pasquale sulle assoluzioni le processo principale Opl 245: nell'impugnazione della sentenza l'accusa ha deciso di continuare a insistere sulla credibilità di Armanna e dello stesso Amara. Del resto era stato proprio Armanna - oltre ad accusare l'ex presidente Paolo Scaroni e l'attuale amministratore delegato Claudio Descalzi - a tirare in ballo le responsabilità di Obi sulla tangente da 1 miliardo di dollari. Secondo Armanna sarebbe stato Obi a rivelargli dei 200 milioni di dollari per i ministri nigeriani. Non solo. Lo stesso ex manager di San Donato aveva raccontato anche dei 50 milioni di dollari che Roberto Casula aveva trasportato in un trolley per portarli a Scaroni. Peccato che secondo la Corte d'appello tutto questo non sia vero. Del resto, come si legge, le fiamme gialle non hanno ricostruito «la destinazione delle somme prelevate in contanti da Aliyu Abubakar dai conti di Malabu e delle somme trasferite dai conti di Malabu ad uffici di cambio». Una lacuna, secondo l'accusa, che sarebbe stata colmata dalle dichiarazioni di Armanna. Ma in realtà non vi è mai stata «coincidenza sull'entità della somma» nelle varie testimonianze. E non a caso, si sottolinea, «occorre evidenziare che le indagini sui flussi finanziari non hanno consentito di acquisire alcuna prova di versamenti di somme di denaro sul conto corrente del ministro del Petrolio e con riguardo al presidente della Repubblica Goodluck Jonathan». Non a caso, secondo la Corte, «non solo non sussiste nessuna prova di accordi illeciti tra Obi e i manager del1'Eni intercorsi durante le negoziazioni, ma che le modalità di conclusione delle stesse costituiscono un significativo riscontro alla ricostruzione alternativa prospettata dalle difese negli atti di impugnazione». Ma i giudici, oltre a smontare l'impianto accusatorio e criticare anche le scelte del giudice per le udienze preliminari (quello che ha avallato il processo Eni come ribadito dallo stesso capo della Procura Francesco Greco), dedicano diverse pagine per spiegare la posizione di Armanna. Agli atti è citato il video del 23 luglio del 2014 negli uffici di Ezio Bigotti, dove proprio Armanna insieme con Amara avevano pianificato di sfruttare il processo Opl 245 per far dimettere l'amministratore delegato Descalzi. Armanna era appena uscito da Eni e per questo, si legge, «ha reso dichiarazioni accusatorie nei confronti degli stessi dirigenti che lo avevano licenziato [...]». Ebbene, «tali dichiarazioni» scrivono i giudici della Corte d'appello, «oltre che poco credibili per quanto di seguito esposto, non sono, in ogni caso, idonee a dimostrare la sussistenza di condotte illecite attribuibili ad Obi in quanto hanno ad oggetto solo supposizioni e considerazioni personali formulate da Adoke Bello». I soldi che dovevano essere destinati ai manager di Eni, i famosi 200 milioni di dollari, testimoniano di nuovo l'inattendibilità di Armanna, perché proprio lui «ha riferito di non avere mai avuto una conoscenza diretta delle circostanze dichiarate e ha mutato, nel corso delle varie dichiarazioni, la fonte delle sue informazioni (voci di corridoio che circolavano in Nigeria, l'avvocato di Shell, Etete, Akinmade)». Agli atti viene riportata anche un'intercettazione tra Armanna e un amico. Nel corso di una telefonata del 15 dicembre 2014, quindi dopo le dichiarazioni spontanee a De Pasquale, l'ex manager Eni smentiva le pressioni dei manager Eni e diceva. «Io ho l'avviso di garanzia, perché io sono quello che ha fatto fuori il nigeriano Emeka Obi e quindi la Procura vuole sapere che cazzo di potere ho, cioè se questo era l'intermediario che voleva Scaroni, che voleva Bisignani tu come cazzo hai fatto a farlo fuori? [...] La verità» spiega Armanna «è che io non ho avuto mai una telefonata di pressioni da questo tizio…zero!».
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)