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2023-08-13
«Sono più affamati di prima». L’inviata Ue (in quota M5s) esalta le sanzioni post golpe
Emanuela Del Re e Luigi Di Maio (Ansa)
La soluzione Ue per il Niger è affamare i suoi cittadini? Un’intervista del 9 agosto è passata quasi sotto traccia. Emanuela Del Re, romana, classe 1963, già delegata dal ministro Enzo Moavero Milanesi, nel primo governo di Giuseppe Conte, alla cooperazione internazionale e viceministro degli Esteri nel Conte bis, lo ha detto fuori dai denti a Repubblica. Ora che ricopre un ruolo alla Luigi Di Maio, col quale condivide i trascorsi a 5 stelle, ovvero quello di rappresentante dell’Unione europea per il Sahel (lui per il Golfo), è alle prese con la crisi africana del Niger. L’instabilità di quell’area preoccupa non poco. A mezzanotte di domenica scorsa è scaduto l’ultimatum del blocco Ecowas (i Paesi dell’Africa occidentale) e una guerra tra i generali golpisti del Niger e l’Ecowas sembrava alle porte. Ma l’esperta della corte di Conte beneficiata con la nomina a Bruxelles ritiene che per far desistere i golpisti in Niger ed evitare la guerra «sia necessario annichilire questa giunta che è motivata soltanto da interessi personali e sta facendo precipitare un intero Paese nel caos». Come? «Le sanzioni», ha spiegato la Del Re a Repubblica, «stanno cominciando a produrre effetti. Mancano medicinali, manca cibo, manca l’elettricità, ancora più di prima». Insomma, affamando il Niger, secondo l’esperta, si scongiurerebbe lo scontro in quell’area dell’Africa. Questa è la sua visione. Arricchita e confortata da ulteriori valutazioni: «Se vogliamo che la giunta si indebolisca dobbiamo continuare le sanzioni. L’Ue è al fianco dell’Ecowas proprio con questo tipo di intervento, che ovviamente si deve accompagnare a un’attività diplomatica serrata e complessa».
Il colpo di Stato del 26 luglio scorso ha destituito il presidente democraticamente eletto Mohamed Bazoum, ora nelle mani della giunta golpista che minaccia di ucciderlo nel caso in cui i Paesi confinanti tentassero un intervento militare. «In questi giorni l’attività dell’Unione europea è febbrile», ha detto Del Re, «siamo impegnati h24, come si dice in gergo militare, con contatti di altissimo livello per esprimere una posizione condivisa da tutti i 27 Paesi membri. Ritornare all’ordine costituzionale in Niger e liberare il presidente Bazoum. Sostenere l’azione diplomatica e politica di Ecowas che per noi è l’organizzazione di riferimento». Questa, insieme alla sanzioni, sarebbe la strategia.
Sulla liberazione del presidente Bazoum la Del Re non è scesa nei dettagli. Ma dalle ultime notizie diffuse dalle agenzie di stampa è difficile immaginare che un intervento sia vicino. Il vertice dei capi di Stato e di governo dei Paesi della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale, che ieri avrebbe dovuto discutere proprio della crisi in Niger, è stato rinviato a data da destinarsi. Ufficialmente l’incontro sarebbe stato rinviato «per motivi tecnici», dovuti alle difficoltà riscontrate da alcune delegazioni dei Paesi partecipanti a raggiungere in tempo la capitale ghanese, Accra, a causa di una carenza di voli. In realtà, stando alle fonti delle emittenti Al-Arabiya e Al-Hadath, il rinvio è stato strategico più che tecnico: non sarebbe pronta la Ecowas standby force, composta dalle truppe di riserva che l’organizzazione ha deciso di attivare.
Ieri la Russia ha messo in guardia contro qualsiasi intervento militare in Niger, sostenendo che destabilizzerebbe ulteriormente il Paese. Al momento le componenti principali della Standby force dell’Ecowas corrispondono alle forze militari dei principali Paesi partecipanti, ovvero Nigeria, Senegal e Costa d’Avorio, che nel 2022 avevano eserciti composti, secondo l’International institute for strategic studies, rispettivamente da 223.000, 27.000 e 19.000 soldati. L’unico Paese che ha già dichiarato quanti soldati metterà a disposizione è stata la Costa d’Avorio: dopo l’annuncio della mobilitazione giovedì, il presidente Alassane Ouattara ha promesso di inviare «tra gli 850 e i 1.100 militari», aggiungendo che le truppe dovrebbero intervenire «il prima possibile». Stando all’emittente francese Rfi, il vertice sarebbe ancora in caldo e dovrebbe essere riconvocato per l’inizio della prossima settimana, ma la data rimane da confermare.
Nel frattempo la posizione della giunta golpista sembra congelata. Compreso l’annunciato stop all’export dell’uranio (il Niger è il settimo Paese al mondo per produzione dell’elemento chimico), che tiene soprattutto la Francia col fiato sospeso. Ieri il ministro degli Esteri nigerino Hassoumi Massoudou, deposto pure lui dal golpe insieme al governo, ha lanciato un appello alla giunta militare affinché rinunci al potere, per evitare al Paese sanzioni e un possibile intervento armato degli Stati dell’Ecowas. Massoudou, in un tweet, ha sottolineato che l’azione militare minacciata dall’Ecowas «non è una guerra contro il Niger e la sua popolazione ma una operazione di polizia contro i sequestratori e i loro complici». Peccato che l’operazione di polizia sembra essere stata rinviata sine die. Resta la clamorosa mozione Del Re: «Affamarli».
Kiev contro Israele: «Parla coi russi»
Continua l’offensiva dell’aria ucraina. A Belgorod il sistema russo ha disinnescato e fatto esplodere un veicolo aereo senza pilota. Mosca riferisce di aver abbattuto 20 droni ucraini vicino alla penisola di Crimea. Quattordici sono stati distrutti dai sistemi di difesa aerea e altri sei sono stati soppressi dalla guerra elettronica, ha riferito il ministero della Difesa. A luglio, gli attacchi dei droni ucraini sulla Crimea hanno fatto saltare in aria un deposito di munizioni e danneggiato il ponte sullo stretto di Kerch che collega la penisola alla Russia continentale. Ponte di Kerch che ha subito ieri un altro attentato. È stata udita più di un’esplosione dai cittadini ma le autorità russe riferiscono di aver abbattuto solo due missili e negano che ci siano stati danni alla struttura.
Bombardamenti che continuano anche per mano russa sul territorio ucraino. Nella regione di Kharkiv è morta una donna di 73 anni schiacciata dal crollo di una struttura residenziale collassata sotto i bombardamenti. Le zone orientali della regione di Kharkiv sono direttamente adiacenti alla linea del fronte e le forze ucraine hanno segnalato un’impennata degli attacchi russi nelle ultime settimane. Anche la regione di Donetsk non viene risparmiata: morti due residenti così come a Zaporizhzhia dove è morto un poliziotto, un capitano di 31 anni. Ferite altre 12 persone che si trovano in gravi condizioni. Nel frattempo, prosegue, anche se a rilento, la controffensiva ucraina. Secondo l’istituto statunitense Isw, le forze armare di Kiev hanno compiuto avanzate significative verso Sud nell’area occidentale dell’oblast di Zaporizhzhia, dove hanno raggiunto la periferia di Robotyne, obbligando le forze d’invasione russe a ridispiegarsi lungo il fronte, indicando che «gli sforzi ucraini in quella zona potrebbero star fiaccando significativamente le difese russe». L’armata di Mosca però non è da meno, secondo il think tank, perché starebbe avanzando con successo a Nordest di Kupyansk, nell’oblast di Kharkiv e lì anche le truppe di Kiev sono costrette a ripiegare.
Per aggirare il blocco dei porti ucraini da parte di Mosca nel Mar Nero, intanto, Kiev ha iniziato a registrare navi disposte a utilizzare il nuovo «corridoio umanitario». Annunciato dall’Ucraina l’8 agosto scorso vuole essere una potenziale soluzione al blocco de facto della Russia, in particolare dopo che Mosca ha rinnegato un accordo per consentire le esportazioni di grano di Kiev. Ad oggi però ancora nessuna imbarcazione avrebbe percorso questo corridoio. La pace è lontana, insomma, e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky continua a puntare sulla sua formula che prevede la riconquista di tutti i territori e il ritiro completo delle truppe di Mosca. Sono 58 i Paesi che sostengono questo piano, lo ha reso noto il capo dell’ufficio presidenziale Andriy Yermark. Al summit che si è svolto a Gedda il 5 e 6 agosto, la delegazione ucraina ha tenuto anche incontri bilaterali con le delegazioni di oltre 30 Paesi. Con un Paese però i rapporti sarebbero quantomeno freddi. Si tratta di Israele. Kiev sta valutando di fare richiesta che venga escluso dagli incontri di Ramstein, dove si riunisce solitamente il Gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina. Le motivazioni sarebbero essenzialmente due. Le autorità ucraine, secondo alcune fonti, ritengono che esista un «pericolo reale» che le informazioni discusse con Israele agli incontri di Ramstein «entrino in possesso dello stato aggressore». Kiev, infatti, sostiene che gli israeliani siano filo russi, inoltre che «le autorità israeliane non hanno mai fornito alcun aiuto reale».
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Riduci
Emanuela Del Re, rappresentante per il Sahel: «Mancano cibo, elettricità e medicinali, così indeboliamo la giunta militare». Intanto l’Ecowas si impantana su truppe e armi.L’Ucraina vuole escludere Tel Aviv dal formato Ramstein: «Rischio fuga di notizie». Aperta la rotta protetta nel Mar Nero per il grano. Altra pioggia di droni contro lo Zar.Lo speciale contiene due articoli.La soluzione Ue per il Niger è affamare i suoi cittadini? Un’intervista del 9 agosto è passata quasi sotto traccia. Emanuela Del Re, romana, classe 1963, già delegata dal ministro Enzo Moavero Milanesi, nel primo governo di Giuseppe Conte, alla cooperazione internazionale e viceministro degli Esteri nel Conte bis, lo ha detto fuori dai denti a Repubblica. Ora che ricopre un ruolo alla Luigi Di Maio, col quale condivide i trascorsi a 5 stelle, ovvero quello di rappresentante dell’Unione europea per il Sahel (lui per il Golfo), è alle prese con la crisi africana del Niger. L’instabilità di quell’area preoccupa non poco. A mezzanotte di domenica scorsa è scaduto l’ultimatum del blocco Ecowas (i Paesi dell’Africa occidentale) e una guerra tra i generali golpisti del Niger e l’Ecowas sembrava alle porte. Ma l’esperta della corte di Conte beneficiata con la nomina a Bruxelles ritiene che per far desistere i golpisti in Niger ed evitare la guerra «sia necessario annichilire questa giunta che è motivata soltanto da interessi personali e sta facendo precipitare un intero Paese nel caos». Come? «Le sanzioni», ha spiegato la Del Re a Repubblica, «stanno cominciando a produrre effetti. Mancano medicinali, manca cibo, manca l’elettricità, ancora più di prima». Insomma, affamando il Niger, secondo l’esperta, si scongiurerebbe lo scontro in quell’area dell’Africa. Questa è la sua visione. Arricchita e confortata da ulteriori valutazioni: «Se vogliamo che la giunta si indebolisca dobbiamo continuare le sanzioni. L’Ue è al fianco dell’Ecowas proprio con questo tipo di intervento, che ovviamente si deve accompagnare a un’attività diplomatica serrata e complessa». Il colpo di Stato del 26 luglio scorso ha destituito il presidente democraticamente eletto Mohamed Bazoum, ora nelle mani della giunta golpista che minaccia di ucciderlo nel caso in cui i Paesi confinanti tentassero un intervento militare. «In questi giorni l’attività dell’Unione europea è febbrile», ha detto Del Re, «siamo impegnati h24, come si dice in gergo militare, con contatti di altissimo livello per esprimere una posizione condivisa da tutti i 27 Paesi membri. Ritornare all’ordine costituzionale in Niger e liberare il presidente Bazoum. Sostenere l’azione diplomatica e politica di Ecowas che per noi è l’organizzazione di riferimento». Questa, insieme alla sanzioni, sarebbe la strategia. Sulla liberazione del presidente Bazoum la Del Re non è scesa nei dettagli. Ma dalle ultime notizie diffuse dalle agenzie di stampa è difficile immaginare che un intervento sia vicino. Il vertice dei capi di Stato e di governo dei Paesi della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale, che ieri avrebbe dovuto discutere proprio della crisi in Niger, è stato rinviato a data da destinarsi. Ufficialmente l’incontro sarebbe stato rinviato «per motivi tecnici», dovuti alle difficoltà riscontrate da alcune delegazioni dei Paesi partecipanti a raggiungere in tempo la capitale ghanese, Accra, a causa di una carenza di voli. In realtà, stando alle fonti delle emittenti Al-Arabiya e Al-Hadath, il rinvio è stato strategico più che tecnico: non sarebbe pronta la Ecowas standby force, composta dalle truppe di riserva che l’organizzazione ha deciso di attivare. Ieri la Russia ha messo in guardia contro qualsiasi intervento militare in Niger, sostenendo che destabilizzerebbe ulteriormente il Paese. Al momento le componenti principali della Standby force dell’Ecowas corrispondono alle forze militari dei principali Paesi partecipanti, ovvero Nigeria, Senegal e Costa d’Avorio, che nel 2022 avevano eserciti composti, secondo l’International institute for strategic studies, rispettivamente da 223.000, 27.000 e 19.000 soldati. L’unico Paese che ha già dichiarato quanti soldati metterà a disposizione è stata la Costa d’Avorio: dopo l’annuncio della mobilitazione giovedì, il presidente Alassane Ouattara ha promesso di inviare «tra gli 850 e i 1.100 militari», aggiungendo che le truppe dovrebbero intervenire «il prima possibile». Stando all’emittente francese Rfi, il vertice sarebbe ancora in caldo e dovrebbe essere riconvocato per l’inizio della prossima settimana, ma la data rimane da confermare. Nel frattempo la posizione della giunta golpista sembra congelata. Compreso l’annunciato stop all’export dell’uranio (il Niger è il settimo Paese al mondo per produzione dell’elemento chimico), che tiene soprattutto la Francia col fiato sospeso. Ieri il ministro degli Esteri nigerino Hassoumi Massoudou, deposto pure lui dal golpe insieme al governo, ha lanciato un appello alla giunta militare affinché rinunci al potere, per evitare al Paese sanzioni e un possibile intervento armato degli Stati dell’Ecowas. Massoudou, in un tweet, ha sottolineato che l’azione militare minacciata dall’Ecowas «non è una guerra contro il Niger e la sua popolazione ma una operazione di polizia contro i sequestratori e i loro complici». Peccato che l’operazione di polizia sembra essere stata rinviata sine die. Resta la clamorosa mozione Del Re: «Affamarli».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/emanuela-del-re-niger-2663565942.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="kiev-contro-israele-parla-coi-russi" data-post-id="2663565942" data-published-at="1691912681" data-use-pagination="False"> Kiev contro Israele: «Parla coi russi» Continua l’offensiva dell’aria ucraina. A Belgorod il sistema russo ha disinnescato e fatto esplodere un veicolo aereo senza pilota. Mosca riferisce di aver abbattuto 20 droni ucraini vicino alla penisola di Crimea. Quattordici sono stati distrutti dai sistemi di difesa aerea e altri sei sono stati soppressi dalla guerra elettronica, ha riferito il ministero della Difesa. A luglio, gli attacchi dei droni ucraini sulla Crimea hanno fatto saltare in aria un deposito di munizioni e danneggiato il ponte sullo stretto di Kerch che collega la penisola alla Russia continentale. Ponte di Kerch che ha subito ieri un altro attentato. È stata udita più di un’esplosione dai cittadini ma le autorità russe riferiscono di aver abbattuto solo due missili e negano che ci siano stati danni alla struttura. Bombardamenti che continuano anche per mano russa sul territorio ucraino. Nella regione di Kharkiv è morta una donna di 73 anni schiacciata dal crollo di una struttura residenziale collassata sotto i bombardamenti. Le zone orientali della regione di Kharkiv sono direttamente adiacenti alla linea del fronte e le forze ucraine hanno segnalato un’impennata degli attacchi russi nelle ultime settimane. Anche la regione di Donetsk non viene risparmiata: morti due residenti così come a Zaporizhzhia dove è morto un poliziotto, un capitano di 31 anni. Ferite altre 12 persone che si trovano in gravi condizioni. Nel frattempo, prosegue, anche se a rilento, la controffensiva ucraina. Secondo l’istituto statunitense Isw, le forze armare di Kiev hanno compiuto avanzate significative verso Sud nell’area occidentale dell’oblast di Zaporizhzhia, dove hanno raggiunto la periferia di Robotyne, obbligando le forze d’invasione russe a ridispiegarsi lungo il fronte, indicando che «gli sforzi ucraini in quella zona potrebbero star fiaccando significativamente le difese russe». L’armata di Mosca però non è da meno, secondo il think tank, perché starebbe avanzando con successo a Nordest di Kupyansk, nell’oblast di Kharkiv e lì anche le truppe di Kiev sono costrette a ripiegare. Per aggirare il blocco dei porti ucraini da parte di Mosca nel Mar Nero, intanto, Kiev ha iniziato a registrare navi disposte a utilizzare il nuovo «corridoio umanitario». Annunciato dall’Ucraina l’8 agosto scorso vuole essere una potenziale soluzione al blocco de facto della Russia, in particolare dopo che Mosca ha rinnegato un accordo per consentire le esportazioni di grano di Kiev. Ad oggi però ancora nessuna imbarcazione avrebbe percorso questo corridoio. La pace è lontana, insomma, e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky continua a puntare sulla sua formula che prevede la riconquista di tutti i territori e il ritiro completo delle truppe di Mosca. Sono 58 i Paesi che sostengono questo piano, lo ha reso noto il capo dell’ufficio presidenziale Andriy Yermark. Al summit che si è svolto a Gedda il 5 e 6 agosto, la delegazione ucraina ha tenuto anche incontri bilaterali con le delegazioni di oltre 30 Paesi. Con un Paese però i rapporti sarebbero quantomeno freddi. Si tratta di Israele. Kiev sta valutando di fare richiesta che venga escluso dagli incontri di Ramstein, dove si riunisce solitamente il Gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina. Le motivazioni sarebbero essenzialmente due. Le autorità ucraine, secondo alcune fonti, ritengono che esista un «pericolo reale» che le informazioni discusse con Israele agli incontri di Ramstein «entrino in possesso dello stato aggressore». Kiev, infatti, sostiene che gli israeliani siano filo russi, inoltre che «le autorità israeliane non hanno mai fornito alcun aiuto reale».
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Riduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Riduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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