2025-07-08
Marco Respinti: «Così Musk può fare lo sgambetto a Trump»
Elon Musk (Ansa). Nel riquadro, Marco Respinti
L’esperto: «Il partito non vincerà, ma potrebbe portare via voti ai repubblicani alle elezioni di midterm: per il presidente legiferare sarebbe più difficile e lento. Su alcuni punti sarebbe possibile una mediazione fra le due forze, ma su altri come il bilancio no».L’annuncio da parte di Elon Musk di aver creato un nuovo partito, America party, oltre a scatenare ampie critiche da parte dell’establishment repubblicano statunitense, porta con sé degli interrogativi riguardo al sistema politico americano, ma soprattutto sui futuri scenari in vista delle elezioni di midterm a novembre del 2026. La Verità ne ha parlato con Marco Respinti, giornalista, studioso del pensiero conservatore statunitense, senior fellow del Russell Kirk center for cultural renewal (Mecosta, Michigan). La creazione del partito di Elon Musk è davvero una minaccia concreta alla tenuta del sistema bipartitico americano?«No perché il sistema bipartitico è connaturato nelle istituzioni statunitensi sin dal giorno uno. Ci sono stati già tanti partiti che hanno sfidato i partiti maggiori, ma non sono mai riusciti, anche per il motivo del turno unico, a scardinare la logica».Qual è quindi il rischio della discesa in campo dell’America party?«I terzi partiti possono fare molto male ai partiti più grandi perché possono sottrarre fette di voto che possono costare la vittoria. Il terzo partito non vince ma fa perdere il partito che decide di attaccare».Il primo banco di prova per Musk saranno le elezioni di midterm del novembre 2026?«Sì, la scelta di Musk di creare un terzo partito, dopo il litigio che c’è stato con il presidente americano Donald Trump, è stata fatta in vista delle elezioni di medio termine dell’anno prossimo. Ma la campagna elettorale comincerà a fine di quest’anno. Quindi Musk si sta preparando per far sì che il suo partito possa avere un successo significativo alle elezioni di midterm».Chi potrebbe sostenerlo?«Non tutto il popolo Maga si riconosce in Musk, però una certa componente sì, soprattutto se lui reinterpreta in maniera indipendente il ruolo che di fatto gli aveva dato Trump al governo: il tagliatore della spesa pubblica esagerata. E gli americani sono molto sensibili a questi temi perché credono poco nello Stato centrale e tassatore. E prenderà voti se farà entrare nella testa di quella parte di elettorato trumpiano che il presidente li ha traditi».Ci sono però delle barriere all’ingresso nel sistema elettorale degli Stati Uniti che complicherebbero il percorso di Musk?«Sì, ci sono delle regole che variano da Stato a Stato e questo è uno degli ostacoli che storicamente ha sempre messo i bastoni tra le ruote ai terzi partiti: per esempio possono avere una base ampia in uno Stato piuttosto che in un altro e quindi in uno possono superare gli sbarramenti, mentre non riescono in un altro. E questo sarà il primo scoglio che Musk affronterà: riuscire a presentare candidati in tutte le circoscrizioni e avere numeri sufficienti sul territorio per superare gli sbarramenti. Dipenderà dal suo radicamento. Tra l’altro i soldi non fanno tutto però possono fare molto: quindi Musk ha un vantaggio che altri non hanno».Altrimenti?«Potrebbe trovare una soluzione intermedia: se non riesce a mettere i candidati in tutti gli Stati perché magari non ha radicamento sul territorio, potrebbe però scegliere di metterli in quegli Stati chiave dove esiste la possibilità concreta di essere eletti e di conseguenza mandare al Congresso gli eletti».Ci sono degli impedimenti per creare un partito che potrebbero ostacolare Musk?«Le regole possono variare di tornata elettorale in tornata elettorale. E si incentrano sui costi, fra i quali quelli delle tasse che vanno pagate per candidare qualcuno, l’ammontare delle contribuzioni in donazioni registrate, trasparenti, che un candidato riceve e le firme popolari fra i cittadini che variano di entità a seconda che ci siano o no dei precedenti di quel partito. Detto ciò, nulla vieta di creare un partito, l’impossibilità riguarda il radicamento e la serietà della sfida, non certo l’impossibilità pratica».Il social X potrebbe aiutare Musk in campagna elettorale?«È uno strumento che ha potenzialità. Ma potrebbe essere un’arma a doppio taglio: Musk ha bandito la censura su X e gli anti Musk potrebbero batterlo con le sue stesse armi. Lui non potrebbe tornare indietro visto che ha liberalizzato l’uso di X».Qualora Musk riuscisse nel suo intento, che cosa significherebbe? «Se il Partito repubblicano perdesse la maggioranza nelle elezioni di midterm di novembre 2026, si porrebbe fine al monocolore trumpiano. Se Musk dovesse avere successo, diventerebbe molto difficile nei due anni finali della presidenza di Donald Trump far varare una serie di leggi che invece in questi due anni, avendo la maggioranza assoluta del Congresso, è molto più semplice ottenere. Quindi il Partito repubblicano non potrebbe approvare leggi di alcun tipo con la stessa facilità e rapidità attuali».In tal caso, secondo lei, che linea adotterà Musk?«Se il terzo partito si affermasse, facendo perdere la maggioranza ai repubblicani, paralizzerebbe l’azione di governo. Mi immagino che su questioni legate a fiscalità, bilancio e spesa pubblica la retorica di Musk sarà sempre quella di dire di no, altrimenti tradirebbe il proprio elettorato e perderebbe la faccia. Su altre questioni, invece, si potrebbero immaginare dei compromessi».Esiste un progetto politico per il papà di X?«Credo che non abbia un progetto politico: sembra più una forma di rivalsa nei confronti di Trump che secondo lui ha tradito il movimento Maga. L’unica visione potrebbe essere quella del transumanesimo. E credo che abbia una visione politica e dello Stato “meno mi intralcia il mio business e meglio è, perché il mio business fa bene a me e a fa bene a tutti”. È convinto di fare il bene dell’umanità. Lo stesso concetto si applica alla questione delle auto elettriche».
Sergio Spadaro e Fabio De Pasquale (Imagoeconomica)
Il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti (Imagoeconomica)
Iil presidente di Confindustria Emanuele Orsini (Ansa)