2019-02-16
Elliott e Cdp sempre più vicine in Tim. La guerra di Trump allontana la Cina
Cassa depositi e prestiti farà crescere la sua partecipazione: potrebbe arrivare al 10%. Come gli americani, vuole creare un campione delle Tlc insieme con Open fiber. Probabile la spallata ai francesi di Vivendi.Ormai è chiaro. I governi vogliono sempre più mettere le mani sul mondo della telefonia e delle telecomunicazioni. In Italia il caso italiano è lampante con Cassa depositi e prestiti (all'83% del ministero dell'Economia) che ha deciso di rafforzare la sua partecipazione nel capitale di Telecom Italia con una prospettiva di lungo termine: il cda di Cassa depositi e prestiti, si legge in una nota, ha deliberato l'autorizzazione all'acquisto di ulteriori azioni di Tim. Un cambio di posizione tutt'altro che irrilevante dato che lo scorso 5 dicembre, durante la presentazione del piano industriale del nuovo vertice della Cdp, il presidente Massimo Tononi aveva precisato che il gruppo non aveva intenzione di aumentare la sua quota in Telecom.Come spiega una nota diffusa due giorni fa, però, «tale investimento si pone in una logica di continuità con gli obiettivi strategici sottesi all'ingresso nel capitale di Tim deliberato dal consiglio di amministrazione lo scorso 5 aprile 2018, è coerente con la missione istituzionale di Cdp a supporto delle infrastrutture strategiche nazionali e vuole rappresentare un sostegno al percorso di sviluppo e di creazione di valore, avviato dalla società in un settore di primario interesse per il Paese».Sebbene Cdp non abbia reso noto di quanto intenda salire nel capitale di Tim, secondo indiscrezioni l'intenzione dell'azienda guidata dall'amministratore delegato Fabrizio Palermo è quella di raddoppiare la partecipazione passando dall'attuale 4,93% fino ad arrivare vicino al 10%. Se così fosse, la circostanza potrebbe portare Cassa depositi e prestiti a essere determinante per gli esiti della contesa in corso tra Vivendi ed Elliott sulla governance dell'azienda. Una mossa che, dunque, potrebbe rappresentare una vera e propria spallata ai francesi che hanno in portafoglio il 23,94% delle azioni dell'ex monopolista italiano e che hanno visto svalutare la propria partecipazione di 1,1 miliardi. D'altro canto, la scelta della Cdp mira a un preciso disegno industriale: dare vita a una società delle reti di nuova generazione mettendo insieme la rete di Tim con quella di Open fiber, controllata al 50% da Enel. Una visione condivisa dagli americani di Elliott, che hanno il 9,4% di Telecom e anche dal mercato: ieri a Piazza Affari il titolo è salito del 6,4% a 0,51 euro. Del resto, anche dall'altra parte dell'oceano l'interesse per le telecomunicazioni (dentro e fuori il territorio statunitense) non è mai stato elevato. Al centro dell'attenzione c'è la «guerra» in atto tra l'amministrazione Usa e le aziende di Tlc cinesi, con il presidente Donald Trump che ha chiuso le porte del proprio mercato a Huawei (e non solo) per paura che possa fare spionaggio per conto di Pechino.Un timore che gli americani vogliono scongiurare anche in terra italiana. Nasce in questo contesto la notizia pubblicata sulle pagine del Wall Street Journal secondo cui nell'autunno 2018 l'amministratore delegato di una Telco italiana sarebbe stato convocato nella sede dell'ambasciata Usa a Roma, dove diplomatici e rappresentanti dell'intelligence lo avrebbero invitato a non utilizzare più i prodotti di Huawei, senza dare - secondo quanto riportato dal quotidiano - alcuna prova riguardo alle attività di spionaggio che la casa cinese potrebbe condurre per conto del governo del Dragone. Proprio ieri, il presidente di Huawei, Xu Zhijun, aveva accusato gli Stati Uniti di condurre una «campagna geopolitica, tattica e coordinata» contro il colosso delle telecomunicazioni cinese. Xu, uno dei tre numeri uno dell'azienda, ha voluto rispondere nel corso di un incontro con la stampa a Shenzhen ai dubbi espressi dal segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, sulla possibilità per Washington di essere partner di Paesi in cui Huawei è presente, soprattutto nel caso in cui ci siano «importanti sistemi americani». Parole che il portavoce del ministero degli Esteri cinese aveva definito nei giorni scorsi «estremamente ingiuste e immorali», nonché «inadatte» a una grande potenza. Non c'è dubbio però che gli americani intendano buttare fuori da Stati Uniti ed Europa i grandi colossi della Repubblica Popolare (non solo nelle telecomunicazioni). Il fondo attivista americano Elliott, in una lettera inviata al cda di Energias de Portugal (di cui possiede il 2,9%), ha consigliato vivamente di non accettare l'offerta di acquisizione da parte di China three gorges. Secondo il fondo di Paul Singer, l'offerta cinese da 10,25 miliardi di dollari non farebbe gli interessi della maggiore utility portoghese. Per questo, Singer ha proposto la vendita della partecipazione in Edp Brasile e il 49% delle attività di distribuzione in Spagna e Portogallo, in modo da potersi concentrare maggiormente sulle rinnovabili. La battaglia tra Washington e Pechino è dunque arrivata ben oltre i rispettivi confini nazionali, con interessi che arrivano fino all'Italia e oltre. Quello che è certo è che gli Stati Uniti hanno un obiettivo ben chiaro: poter dire la loro su Tim e non fare affari con chi ha rapporti con la Cina. È una situazione che potrà andare avanti a lungo? Per ora, pare di sì.