2024-02-07
Elkann in lite con Meloni chiede aiuto a Mattarella
John Elkann (Getty images)
Il presidente di Stellantis vede Giancarlo Giorgetti, Fabio Panetta, ma soprattutto Sergio Mattarella. È a lui che ha chiesto aiuti nella sfida con l’esecutivo.John Elkann fa il giro delle sette chiese romane. Probabilmente è a caccia di indulgenze per farsi perdonare i tanti peccati che insieme a Carlo Tavares, amministratore delegato di Stellantis sta commettendo a carico dell’industria italiana e in particolare dell’auto. Il giro, ovviamente non poteva che cominciare da Sergio Mattarella. Un po’ perché si tratta della massima carica istituzionale del Paese e un po’ perché dovendo cercare comprensione per i tanti peccati quale scelta migliore di una grande personalità cattolica come il capo dello Stato. Poi è toccato al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che tiene in mano le chiavi della cassa. Se il giro serve a trovare i contributi pubblici per l’auto elettrica come chiesto da Carlos Tavares, la visita in via XX Settembre è obbligatoria. La cassaforte si trova lì. Nell’elenco delle stazioni non è prevista via Veneto, sede del ministero delle Imprese. Perché stupirsi? Ultimamente i rapporti fra il gruppo automobilistico e Adolfo Urso non sono proprio dei migliori. Lo scambio di stilettate e la provocazione del ministro («Se vogliono l’ingresso dello Stato italiano nel capitale parliamone») non ha certo contribuito a distendere i rapporti. Escluso anche il passaggio a Palazzo Chigi vista l’assenza di Giorgia Meloni. Si possono considerare semplici appuntamenti di cortesia gli incontri con il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta, con il comandante dell’Arma dei Carabinieri Teo Luzi e l’ambasciatore Usa in Italia Jack Markell.Gli incontri di Elkann arrivano in un momento di particolare tensione con il governo, dopo le dichiarazioni dell’ad Carlos Tavares sul ritardo negli incentivi per l’elettrico che hanno fatto perdere volumi a Mirafiori, dove si produce la 500e. Stellantis ha chiesto per lo stabilimento di Torino (un tempo il più grande del mondo con 50.000 dipendenti) sette settimane di cassa integrazione da metà febbraio fino a fine marzo per i 2.600 dipendenti delle linee 500e e Maserati che funzioneranno su un unico turno. L’utilitaria elettrica non è riuscita a sfondare proprio a causa del prezzo molto elevato mentre la casa del Tridente si prepara all’ennesima delusione.Con il rilancio voluto da Marchionne, compreso l’acquisto dello stabilimento di Grugliasco ex Bertone ora in vendita, provato a fare a botte con Mercedes, Bmw e Audi. Dallo scontro è uscita a pezzi. Il Suv battezzato Levante che doveva essere il modello della riscossa non ha mantenuto le promesse e ora si prepara ad una mesta uscita di scena. Non ci sarà restyling e tutti i nuovi modelli Maserati saranno elettrici. Non sarà facile rimettere a posto il marchio. Sullo sfondo si rincorrono le voci di mercato su una possibile aggregazione tra Stellantis e Renault, in affanno dopo aver dovuto rivedere i termini dell’intesa con i giapponesi di Nissan. È sfumata anche la quotazione in Borsa di Ampere, la divisione in cui raggruppare le attività legate all’auto elettrica. Un bagno di realismo e una delusione per l’amministratore delegato del gruppo francese, Luca De Meo. Dalla Borsa sperava di ottenere le risorse necessarie per finanziare lo sviluppo dell’auto a batteria. I programmi sono sfumati dinanzi alla scarsa redditività di Ampere.Le attività legate alla trazione elettrica al momento sono un costoso capriccio per facoltosi abitanti delle Ztl cittadine. Troppo pochi però per sostenere la redditività del business. Nonostante queste difficoltà a Parigi ci tengono a far sapere che il matrimonio non è all’ordine del giorno. Automotive news Europe riporta le dichiarazioni del ministero delle Finanze francese secondo cui il governo continua a sostenere le strategie di Renault e dell’amministratore delegato De Meo. Un parere di peso considerando che lo Stato a tutt’oggi è il primo azionista del gruppo con il 15%. Eppure la Borsa continua a credere alla possibile integrazione. Un pò perché Elkann prima di sposare i Peugeot aveva a lungo flirtato con Renault. In secondo luogo perché la fusione sarebbe soprattutto un affare per Renault che, dopo la revisione dell’accordo con Nissan è troppo piccola per reggere dove l’irruzione dei cinesi ha stravolto tutti i parametri.L’esercizio è stato declinato sia sui possibili assetti del nuovo gigante dell’auto, con 7 milioni di auto e 220 miliardi di fatturato, sia sugli aspetti finanziari. Sul primo punto e dunque gli assetti azionari che si verrebbero a creare, l’unione dei due gruppi darebbe vita a una casa automobilistica con una capitalizzazione di borsa aggregata di 77 miliardi di euro, considerando i 67 miliardi di Stellantis e i 10 miliardi di Renault. In questo quadro il governo francese diventerebbe il riferimento assoluto. Il governo detiene il 6,4% di Stellantis che corrispondono a diritti di voto per quasi il 10%, ma nello stesso tempo è presente in Renault con il 15%. Ipotizzando una fusione carta contro carta, secondo gli operatori, la presa dello Stato transalpino potrebbe attestarsi intorno all’11%, uguagliando la Exor della famiglia Agnelli che con il 14,9% in Stellantis sarebbe destinata a diluirsi intorno all’11%-12%.A puntellare l’azionariato e la presa di Parigi ci sarebbe poi la famiglia Peugeot, socia al 7% di Stellantis. Insomma se la fusione andasse in porto la baricentro del mega-gruppo si sposterebbe completamente in Francia lasciando in Italia qualche stabilimento di montaggio.
Il vicepresidente americano J.D. Vance durante la visita al Santo Sepolcro di Gerusalemme (Getty Images)
Roberto Cingolani, ad di Leonardo (Getty Images)
Palazzo Justus Lipsius a Bruxelles, sede del Consiglio europeo (Ansa)