
«Le président» Emmanuel Macron, che così spera di archiviare i flop nel Sahel, approfitta della debolezza tedesca per ricostruire l’egemonia sul Vecchio continente, in chiave anti Usa. Perciò lo disturba l’intesa di Giorgia Meloni con Washington.La trasformazione in falco antirusso di Emmanuel Macron non è passata inosservata. D’altronde, si tratta di un comportamento piuttosto anomalo per un leader che, al di là delle dichiarazioni di facciata, ha sempre auspicato una linea non eccessivamente dura nei confronti di Mosca. Fu Macron, nel 2019, a definire la Nato «cerebralmente morta». E fu sempre Macron, nel gennaio 2022, a invocare un patto di sicurezza europeo, irritando gli americani. Senza poi dimenticare le velleitarie iniziative diplomatiche verso il Cremlino, messe in campo dall’inquilino dell’Eliseo nelle settimane immediatamente successive all’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Sempre in quel periodo, disse anche che non bisognava umiliare Vladimir Putin. Parliamo dello stesso Macron che, l’anno scorso, ha rafforzato i legami della Francia con la Cina e che si è opposto all’apertura di un ufficio della Nato in Giappone per non irritare Pechino. Del resto, non è un mistero che storicamente Parigi abbia spesso tenuto una linea soft nei confronti della Russia: basti pensare al 1966, quando Charles de Gaulle lasciò il comando militare della Nato, recandosi inoltre a Mosca per siglare la Dichiarazione congiunta franco-sovietica. Gli stessi Jacques Chirac e François Hollande non condussero una politica troppo ostile al Cremlino. E allora a che cosa è dovuta l’improvvisa svolta di Macron? Per quanto paradossale possa apparire, l’iperattivismo militare del presidente francese va inserito nella sua storica strategia di indebolimento delle relazioni transatlantiche. L’inquilino dell’Eliseo, non certo da oggi, mira all’egemonia francese in Europa nel settore della Difesa. In particolare, da quando Ursula von der Leyen ha annunciato di voler istituire un commissario alla Difesa se rieletta a capo dell’esecutivo Ue, Parigi punta a occupare quella poltrona. È quindi in questo quadro che va letto il recente vertice sull’Ucraina a cui il presidente francese ha preso parte con Olaf Scholz e Donald Tusk. Il cancelliere tedesco e il premier polacco sono alla guida di esecutivi internamente divisi. Macron sta quindi approfittando della loro debolezza politica per imporre il proprio predominio in seno all’asse franco-tedesco. Ricordiamo che, differentemente dalla linea atlantista di Diritto e giustizia, Tusk è storicamente vicino alla Germania e che, durante la sua prima esperienza da premier, fu tutt’altro che duro con Mosca. Tutto questo, con Scholz che è esponente di un partito, la Spd, tradizionalmente non certo antirusso, e che fu anche vicecancelliere nell’ultimo gabinetto di Angela Merkel: ciò lo rende corresponsabile della crescente dipendenza tedesca dal gas di Mosca.L’inquilino dell’Eliseo sta, insomma, orientando l’asse carolingio in senso ostile alle relazioni transatlantiche, per acquisire terreno nel settore della Difesa europea. Non a caso, quando parlò per la prima volta dell’eventualità di truppe occidentali in Ucraina, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, prese subito le distanze da quelle dichiarazioni; e Stoltenberg è molto vicino a Washington. Frustrazione per la svolta francese fu altresì espressa da un alto funzionario americano, che parlò dietro anonimato con la rivista Foreign Policy. Inoltre, le posizioni di Macron hanno provocato lo scetticismo del ministro degli Esteri britannico, David Cameron. Ciò è significativo, visto che -da quando è iniziata l’invasione dell’Ucraina, Londra, in seno alla Nato, ha sempre spinto per una linea di granitica severità verso il Cremlino; una linea, tra l’altro, molto più dura e non sempre convergente con quella dell’amministrazione Biden.Ed è qui che emergono almeno due paradossi. Nonostante la recente retorica bellicosa e antirussa, è tutto da dimostrare che l’attuale approccio di Macron dispiaccia al Cremlino. Pur dicendosi scandalizzata per le posizioni del leader francese, Mosca guarda infatti verosimilmente con soddisfazione alle tensioni che il capo dell’Eliseo ha creato nelle relazioni transatlantiche. In secondo luogo, desta perplessità il fatto che Parigi si candidi a egemonizzare la Difesa europea, quando - negli ultimi due anni - ha subìto una notevole serie di sberle nel Sahel a netto vantaggio proprio dei russi: Mali, Burkina Faso e Niger si sono infatti ormai saldamente inseriti nell’orbita di Mosca in chiave prettamente antifrancese. Lo stesso G5 Sahel, che era spalleggiato da Parigi, è di fatto collassato. Niente quindi di più facile che, con la sua recente trasformazione in falco, il presidente francese voglia (anche) distogliere l’attenzione dai suoi cocenti fallimenti africani.Sbaglia allora chi sostiene che Giorgia Meloni sarebbe internazionalmente isolata per non aver preso parte al recente vertice tra Macron, Scholz e Tusk. Il nostro presidente del Consiglio ha optato infatti per una linea decisamente atlantista proprio con l’obiettivo di arginare il peso dell’asse franco-tedesco: una linea atlantista che all’Eliseo non hanno mai digerito. Macron vede come il fumo negli occhi la sponda tra la Meloni e la Casa Bianca. E sa perfettamente che, visti i legami di una parte del centrodestra italiano con il Partito repubblicano statunitense, Roma potrebbe mantenere rapporti saldi con Washington, anche qualora Donald Trump dovesse vincere le elezioni di novembre. D’altronde, indipendentemente dal colore politico dell’inquilino della Casa Bianca, gli apparati di Pentagono e Dipartimento di Stato non si fidano della politica estera di Parigi. Una ragione in più per spingere lo Zio Sam a puntare maggiormente sul nostro Paese. Gli americani hanno ben chiaro che Macron sta portando spregiudicatamente avanti una partita pro domo sua: una partita che rischia di indebolire la Nato, se non addirittura di peggiorare la situazione per la stessa Ucraina.
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Lo speciale contiene due articoli.
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