2022-10-24
Elena Ugolini: «La scuola al capolinea. Ho spento i telefonini per destare i ragazzi»
Elena Ugolini (Imagoeconomica)
La responsabile dell’istituto che ha scatenato le polemiche: «Non c’è un minuto da perdere per rilanciare l’educazione».Non le piace sentirsi chiamare «rettrice», e non perché preferisca il maschile «rettore». Chiede un semplice «professoressa», la responsabile generale delle scuole Malpighi di Bologna e dintorni: 2.000 studenti in sette plessi dall’asilo alle superiori. Salita di recente agli onori delle cronache per aver vietato i cellulari per studenti e docenti, Elena Ugolini è stata sottosegretario all’Istruzione nel governo Monti e ha collaborato con ministri di vari colori politici, da Berlinguer a Profumo. Oggi è nell’Osservatorio sulle politiche educative di Eurispes. A scuola ci entra all’alba e ne esce a sera, e la sensazione è che farebbe volentieri a meno delle domande dei giornalisti sugli «ultrà cattolici» al governo, non fosse che su certi temi pensa sia oggi arrivato il momento in cui una svolta è possibile ed è urgente ripensare l’agenda. «Ma può succedere solo se la politica smette di pensare solo al consenso e si assume la responsabilità di fare anche cose impopolari, che daranno frutti nel tempo». Per il divieto di cellulari c’è chi l’ha definita visionaria in senso positivo, ma le polemiche non sono mancate. Come sta andando?«Non mi aspettavo tanto clamore mediatico. Abbiamo fatto questa proposta e ragazzi e personale ci hanno dato fiducia. Ne è nato molto: mi colpiscono gli studenti che addirittura dimenticano il telefono, o scendono le scale e aspettano a riaccendere. Mi dicono: “Ho scoperto che non ne ho bisogno”».Tra i contrari, chi pone il tema dell’educazione alla responsabilità, senza imposizioni.«Le cito un nostro alunno di 15 anni: a chi gli chiedeva se lo avessero privato della sua libertà, ha risposto: una libertà che genera dipendenza è libertà? Devo invece dare ragione a una studentessa di Torino che metteva in luce come gli adulti dovrebbero chiedersi perché gli studenti guardano il cellulare anche in classe».Anche se era contro di lei?«In Italia siamo bravissimi a contrapporre tra loro cose giuste. Il tema è in effetti quello della relazione educativa. Sempre. Cosa viene proposto durante l’ora di lezione? Dopodiché, mi fa sorridere tanto scalpore quando i regolamenti di tutte le scuole dicono che il cellulare non si usa in classe se non per scopi didattici». Nasce il nuovo governo, tra le tante polemiche, anche quella per la presenza dei cattolici nell’esecutivo. Su Fontana è intervenuto Salvini per dire che non è un disvalore. «Vuole davvero parlarne?».È tema attuale, e anche lei è cattolica, giusto? Alla sua nomina a sottosegretario ci fu chi non mancò di farlo notare.«Sono debitrice a don Luigi Giussani (fondatore di Comunione e Liberazione, ndr) che mi ha fatto capire che esiste una chiave di accesso a tutti, da Leopardi al compagno di banco, da Platone ai ministri: c’è sempre una via per la bellezza, la verità e il bene, che vale la pena di ricercare. Al Malpighi non chiediamo il certificato di battesimo, abbiamo sempre cercato di migliorare la proposta didattica e avvicinato culture diversissime: musulmani, ebrei, atei ci scelgono per la qualità».L’impostazione resta cristiana. «Ma non confessionale. Il cattolicesimo si può vivere come un recinto, per alzare steccati, o come trampolino per una possibilità di incontro con gli altri. Il rischio di generare anticorpi negativi, chiudendosi, c’è ed è sotto gli occhi di tutti. Ma come mi ha testimoniato personalmente anche il cardinal Zuppi, non c’è altro modo di vivere l’essere cristiani che non sia una porta spalancata, per trovare un terreno comune». Cosa chiederebbe oggi alla Meloni? C’è un’agenda di priorità, dal suo punto di vista?«Sull’educazione siamo già arrivati al capolinea, non possiamo perdere nemmeno un minuto. L’esempio delle bande di adolescenti tredicenni che devastano, rapinano e bullizzano, è uno dei segni evidenti».Come si fa?«Di certo non possiamo rassegnarci: i nostri figli passano in classe dai 6 ai 19 anni almeno 13.000 ore della propria vita. La scuola non si può sostituire alla famiglia, ma la famiglia ha bisogno di aiuto e non è il semplice progetto contro il cyberbullismo a risolvere le cose».Lei che nei ministeri ci ha lavorato, da dove partirebbe?«È una sfida che riguarda tutti i ministeri, non solo quello dell’Istruzione. Questo è il momento di usare le leve giuste per migliorare e cambiare. Si parte dalle persone che desiderano veramente il bene dei ragazzi».Ne ha incontrate?«Moltissime. Luigi Berlinguer per esempio ha dato l’anima, per la scuola. L’appartenenza politica conta fino a un certo punto. Fu di fatto detronizzato dai sindacati, perché si permise di dire che occorreva premiare il merito».Ventiquattro anni dopo, di merito parla ancora Giorgia Meloni nel programma. «Furono i sindacati, a fermare sia Berlinguer che Renzi, su questo tema. Occorre non nascondersi dietro a un dito: la scuola è stata vista per anni come un grande ammortizzatore sociale».Questione di diritti?«È chiaro che se un professore non è contento per le condizioni di lavoro difficilmente farà bene lezione. Nel rispetto dei diritti, per favore diciamo basta alla difesa dei privilegi. In che modo selezioniamo, formiamo e valorizziamo i docenti nel nostro Paese? È la prima domanda che porrei al nuovo ministro. Dovrebbe funzionare un po’ come per i cellulari nelle mie scuole…».In che senso?«Serve un patto bipartisan tra chi ha a cuore il futuro di questo Paese. Li vorrei proprio vedere, i dati su quanti docenti non hanno ricevuto la conferma dopo il primo anno di prova nella scuola statale, previsto dalla legge . E vorrei anche sapere chi tra questi pochissimi non è stato reintegrato dal giudice del lavoro dopo che il dirigente lo aveva giudicato inidoneo. Forse non si contano sulle dita delle mani».Gli altri ministeri come li coinvolgerebbe?«Sul tema della crisi di natalità, ad esempio, occorre maggior coraggio. Il Family Act del ministro Bonetti ha segnato i primi punti, è necessario andare fino in fondo. Penso a una detassazione completa per le spese in babysitter e scuole, a incentivi fiscali per l’assunzione di giovani donne…».Lei quanti figli ha?«Ne ho 4. E quando mi sono sposata non sapevamo neanche come pagare l’affitto, ci aiutò un amico per il primo anno. Paesi laici come Francia e Germania hanno da sempre politiche per le famiglie che aiutano le giovani coppie a decidere di mettere al mondo dei figli, mentre da noi il tema della conciliazione, ma soprattutto di come i giovani guardano al futuro, non è mai stato affrontato con serietà».I matrimoni sono in calo…«Ho l’impressione che ci sia anche una grande ingiustizia da sanare, però, sa? Anzi, una vera e propria follia di cui in pochi sembrano accorgersi. In tanti oggi decidono di non sposarsi per avere più agevolazioni, grazie a un Isee più basso».La famiglia è sotto attacco?«Aiutiamo chi ha davvero bisogno, spostiamo le risorse date a chi prende un Reddito di cittadinanza e continua a lavorare in nero a chi non può lavorare per motivi oggettivi e deve crescere figli. Per borse di studio, ad esempio. E le assicuro: non mi interessa se quei figli sono il frutto di semplici conviventi, di un matrimonio civile o di un matrimonio in Chiesa. Se c’è un bambino, non serve alcuna distinzione».Superfluo chiedere a una rettrice di scuole paritarie se sia per la libertà di scelta…«Se ancora si pensa alle paritarie come scuole per ricchi, si è molto lontani dalla realtà. In tutta la Penisola sono in crisi, ne chiudono molte, le famiglie non riescono più a pagare le rette e i costi di gestione aumentano».Cosa metterebbe in agenda?«Il modello più interessante è quello olandese, altro Paese laico: fioriscono le scuole gestite anche da privati, ma a cui tutti possono accedere senza oneri aggiuntivi».Paga Pantalone?«Arriviamoci gradualmente, non possiamo pensare al libro dei sogni. Mettiamo subito in Finanziaria la stessa quota che va alla primaria anche agli altri livelli di scuole e la stabilizzazione dei 70 milioni destinati al sostegno . Lo sa che dalla prima media in poi, su questo, arrivano al massimo 4.000 euro all’anno a prescindere dalla gravità? Sono sufficienti per due ore la settimana. E poi riduciamo il divario: alle scuole statali arrivano 54 miliardi, a quelle paritarie 540 milioni all’anno. I 5 miliardi aggiuntivi del Pnrr sono andati solo alle statali. In italia ci sono 800.000 cittadini di serie B». Chi ne beneficia? «Scegliere in quale scuola mandare i propri figli fa bene anche alla scuola statale. Un regime di monopolio come mai può aiutare un miglioramento della qualità? Serve pluralismo».Tema identità e gender. Tanti i cattolici in lotta, nel frattempo presidi e psicologi dicono sì alla cosiddetta «carriera alias», un regolamento sulle nuove regole per transgender. Lei da che parte sta?«Primo: la scuola non deve entrare nel merito di educazione sessuale e affettiva. Sono temi che riguardano la famiglia. Detto questo, la seconda cosa che le rispondo è che di priorità ce ne sono ben altre. La dispersione scolastica in Italia ha numeri da capogiro: vogliamo pensare prima a migliorare la qualità della proposta didattica in ogni scuola?».Concretamente, come?«Un esempio? Ci sono regioni come la Lombardia, Veneto e Piemonte in cui l’istruzione e formazione tecnica e professionale è migliorata attraverso la collaborazione con aziende di eccellenza, stanno dando un futuro al “Made in Italy” e ai ragazzi che le frequentano. Succede anche qui con Ducati e Lamborghini».
Giorgia Meloni e Donald Trump (Ansa)