
Non è riuscito ad accentrare il potere nell'eurozona né a fregare l'Italia sugli Npl. E a Parigi i ferrovieri lo tengono sotto scacco.Il nervoso scambio di colpi con Giuseppe Conte, che forse l'inquilino dell'Eliseo nemmeno considerava - fino a qualche giorno fa - come un possibile contraddittore, è l'ultimo ma evidentissimo segno della condizione di fragilità in cui si ritrova oggi il presidente franceseEmmanuel Macron. I fatti, intanto. Dopo la faticosa intesa notturna sull'immigrazione, è stato Macron a provare a fare il furbo, dicendo che i centri di primo ingresso si sarebbero dovuti realizzare solo in Spagna e in Italia. A stretto giro di posta, Conte lo ha smentito. E allora Macron ha fatto ricorso più alla geografia che alla politica, dicendo che non è possibile «scagionare» l'Italia dal ruolo di paese di primo ingresso. Ma non ha potuto negare un fatto inatteso: contrariamente ai suoi insulti dei giorni scorsi («vomitevoli» e «lebbrosi»), il Consiglio europeo ha avallato la scelta italiana di chiusura dei porti alle navi delle Ong, chiarendo che il primo approdo sicuro per gli interventi compiuti in prossimità delle coste libiche è - appunto - Tripoli. Ma il problema di Macron è più generale. Ancora poche settimane fa, era lui il dominatore assoluto della scena europea. Oggi, pugilisticamente parlando, si trova ad aver incassato quattro «diretti» alla mascella.1. Il Consiglio europeo doveva essere, nelle intenzioni dell'Eliseo, il momento solenne dell'adozione del «piano Macron» per una riforma dell'eurozona in termini di ulteriore accentramento dei poteri dell'Ue, a partire dal ministro delle Finanze unico. Quella prospettiva è stata cancellata, forse per sempre (bene).2. Il vertice di ieri, secondo i piani di Parigi (in questo caso condivisi da Berlino), doveva anche essere l'occasione per assestare un altro calcio negli stinchi del sistema bancario italiano, a partire dal tasto per noi dolente degli Npl, cioè dei crediti inesigibili. E invece, a quanto pare, su questo versante si è registrato un nulla di fatto. Inutile girarci intorno: era su quello che il solito asse francotedesco voleva giocarci uno scherzo terribile. Nel recente incontro tra Angela Merkel e Macron a Meseberg, infatti, a proposito di unione bancaria, si era parlato di possibili strumenti comuni di intervento e salvaguardia per le banche, ma soltanto a seguito di una riduzione degli Npl. In particolare, sarebbe stata fissata come desiderabile una soglia di Npl lordi al 5% e netti al 2,5% (l'Italia è in entrambi i casi a una percentuale poco più che doppia). Invece, da parte di Francia e Germania, totale silenzio rispetto ai titoli «Level 2» e «Level 3», comunemente definiti «tossici»: a onor del vero, non tutti sono pericolosi, ma ammontano a una quantità molto superiore (si stima 12 volte) a quella degli Npl, e sono soprattutto detenuti dalle banche tedesche e francesi. In sostanza, si mirava a un'unione bancaria con forte garanzia per le banche di Parigi e Berlino, e minor condivisione del rischio per quelle italiane. Bene dunque che, almeno per il momento, si sia riusciti a evitare ulteriori agguati contro l'Italia.3. Macron puntava anche a essere l'interlocutore unico di Donald Trump. Rispetto alla tradizionale domanda kissingeriana («a chi devo telefonare se voglio parlare con l'Europa?»), Macron cercava di offrire una risposta univoca, offrendo il numero dell'Eliseo. A questo era servito il suo trionfale viaggio a Washington, con tanto di discorso a Camere riunite. Ma subito dopo, prima le smargiassate del francese, e poi il suo tentativo di fare il furbo sull'Iran, hanno ricreato il gelo tra Parigi e Washington, che ora intende valorizzare il rapporto con altri interlocutori: Trump guarda con simpatia l'austriaco Sebastian Kurz, tra il 13 e il 15 luglio sarà a Londra, e a fine mese vedrà alla Casa Bianca Conte.4. Restano poi sul groppone di Macron tutti i problemi di politica interna. Marine Le Pen sfrutta l'effetto-Salvini, martella sull'immigrazione, e cerca intese con l'ala destra dei Repubblicani francesi. Il deficit veleggia verso il 5%. L'impopolarità di Macron è forte. E anche la parte - diciamolo pure - più condivisibile e ragionevole delle sue riforme deve fare i conti con una forte reazione. In particolare il settore ferroviario, ipersindacalizzato e fortemente sussidiato dallo Stato, è un bastione dello status quo sindacale in Francia. La riforma macroniana contro cui i sindacati scioperano è - a ben vedere - limitata nella sostanza: alzare un pochino un'età pensionabile oggi bassissima in Francia, e cancellare qualche privilegio per i neoassunti. Ma opporsi selvaggiamente - per i sindacati - è qualcosa di altamente simbolico, e non è detto che Macron resista fino in fondo allo scontro. Rispetto a tutti questi guai, Macron sperava - a cavallo del 4 marzo - di avere «amici» a Roma: o sotto forma di un governo del Pd, o almeno di un governo M5s-Pd. Si ritrova invece con un interlocutore scomodo pure rispetto ai raid economici (o alle sessioni di «shopping») che la Francia aveva programmato in Italia. Come carta di riserva, rimane solo urlare tutti i giorni contro i populisti italiani. Per il momento, non sembra una scelta efficace nemmeno all'opinione pubblica transalpina.
L' Altro Picasso, allestimento della mostra, Aosta. Ph: S. Venturini
Al Museo Archeologico Regionale di Aosta una mostra (sino al 19 ottobre 2025) che ripercorre la vita e le opere di Pablo Picasso svelando le profonde influenze che ebbero sulla sua arte le sue origini e le tradizioni familiari. Un’esposizione affascinante, fra ceramiche, incisioni, design scenografico e le varie tecniche artistiche utilizzate dall’inarrivabile genio spagnolo.
Jose Mourinho (Getty Images)
Con l’esonero dal Fenerbahce, si è chiusa la sua parentesi da «Special One». Ma come in ogni suo divorzio calcistico, ha incassato una ricca buonuscita. In campo era un fiasco, in panchina un asso. Amava avere molti nemici. Anche se uno tentò di accoltellarlo.