2025-06-05
        Gli ebrei radicali sfidano Bibi. Londra preme su Israele: «Valutiamo altre sanzioni»
    
 
Gli ultraortodossi: sfiducia a Netanyahu. Veto Usa all’Onu su una risoluzione troppo blanda con Hamas. La Germania conferma le forniture belliche a Gerusalemme. Khamenei respinge la bozza americana sul nucleare. Il tycoon su Truth: «Il presidente vuole collaborare, siamo entrambi d’accordo che Teheran non può avere l’atomica». Lo speciale contiene due articoli.Il mondo continua a dividersi sulla crisi di Gaza. Ieri, gli Stati Uniti avevano informato Israele di voler porre il veto su una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che, pronta per essere votata ieri stesso, chiedeva un cessate il fuoco nella Striscia. In particolare, secondo il Times of Israel, Washington avrebbe ritenuto che il testo non attribuisse adeguatamente ad Hamas le proprie responsabilità. Dall’altra parte, la tensione tra Israele e il Regno Unito sta continuando a salire. Il premier britannico, Keir Starmer, ha infatti reso noto di voler prendere in considerazione ulteriori sanzioni contro lo Stato ebraico. «La recente azione di Israele è spaventosa e, a mio avviso, controproducente e intollerabile. Ci siamo fermamente opposti all’espansione delle operazioni militari e della violenza dei coloni, nonché al blocco degli aiuti umanitari», ha dichiarato. «Continueremo a valutare ulteriori azioni insieme ai nostri alleati, comprese le sanzioni», ha proseguito. Il governo britannico, che aveva già imposto sanzioni a maggio su tre coloni israeliani, ha inoltre invocato un’«indagine immediata e indipendente» sui palestinesi uccisi nei pressi dei siti di distribuzione degli aiuti nella Striscia.Più serene appaiono invece le relazioni di Israele con la Germania. Ieri, il ministro degli Esteri tedesco, Johann Wadephul, ha confermato che Berlino continuerà a fornire armamenti allo Stato ebraico, sebbene precedentemente avesse espresso qualche titubanza. In tutto questo, il Times of Israel ha riferito che Hamas dovrebbe presentare a breve una proposta di accordo sugli ostaggi meno distante da quella avanzata dall’inviato americano, Steve Witkoff, la settimana scorsa. Dall’altra parte, secondo il Jerusalem Post, vari clan di Gaza si sarebbero armati e starebbero sfidando il potere locale della stessa Hamas.Nel frattempo, Israele ha reso noto di aver bombardato, nella notte tra martedì e mercoledì, del materiale bellico situato nella parte meridionale della Siria. L’attacco è stato condotto come ritorsione al lancio di due razzi provenienti dal territorio siriano: i primi sparati dalla caduta di Bashar al Assad l’anno scorso. «Riteniamo che il presidente della Siria sia direttamente responsabile di ogni minaccia e attacco contro lo Stato di Israele e che una risposta completa arriverà presto», aveva affermato il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, riferendosi ad Ahmed al-Sharaa. Ricordiamo che Gerusalemme guarda con sospetto al nuovo governo siriano, sostenuto dalla Turchia. E che non ha condiviso la recente decisione dell’amministrazione Trump di allentargli le sanzioni. «La Siria non è mai stata e non sarà mai una minaccia per nessuno nella regione», ha dichiarato, dal canto suo, il ministero degli Esteri di Damasco, negando ogni responsabilità nel lancio dei razzi contro lo Stato ebraico. Un funzionario siriano ha inoltre detto a Reuters che i colpevoli sarebbero da ricercare in alcune milizie filoiraniane, legate al precedente regime di Assad.Israele continua frattanto a monitorare con attenzione i colloqui tra Teheran e Washington sul nucleare. Ieri, l’ayatollah Ali Khamenei ha respinto la bozza di accordo, proposta dagli americani, definendola «contraria al 100%» ai principi della Rivoluzione khomeinista. In particolare, Khamenei ha dichiarato che l’Iran non rinuncerà all’arricchimento dell’uranio. «Sulla base del nostro potenziale accordo, non permetteremo alcun arricchimento dell’uranio», aveva invece affermato martedì Donald Trump, che ieri ha parlato di Iran nella sua telefonata con Vladimir Putin. Nell’occasione, lo zar si è proposto de facto come mediatore. È interessante ricordare che a marzo, secondo Reuters, Benjamin Netanyahu vedeva in Mosca una forza per controbilanciare il nuovo governo di Damasco in funzione antiturca. Dall’altra parte, la Russia ha necessità di recuperare terreno in Siria per arginare l’influenza di Ankara in loco.Tuttavia - oltre a Iran, Gaza e Siria - Netanyahu deve fronteggiare anche problemi di politica interna. Un partito della sua coalizione, lo schieramento ultraortodosso Ebraismo della Torah Unito, sarebbe infatti pronto a presentare una mozione per sciogliere la Knesset e indire nuove elezioni: la ragione risiede nel fatto che l’attuale coalizione di governo non sta riuscendo a far approvare una norma in grado di esentare dalla leva militare gli studenti delle yeshivah. Ieri, il Times of Israel riportava che pure il partito Shas, anch’esso in maggioranza, potrebbe appoggiare la mozione di Ebraismo della Torah Unito: mozione a sua volta sostenuta dallo schieramento d’opposizione, Unità Nazionale. In serata, il premier israeliano si è comunque detto fiducioso sulla possibilità di trovare una soluzione relativamente alla questione della leva.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ebrei-radicali-sfidano-bibi-2672311011.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="iran-lo-zar-si-offre-come-mediatore" data-post-id="2672311011" data-published-at="1749072392" data-use-pagination="False"> Iran, lo zar si offre come mediatore Ieri la guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, ha respinto le pressioni e le proposte americane di porre fine al programma di armi nucleari, definendo tali proposte una violazione del principio di indipendenza iraniana. Parlando dei negoziati con gli Stati Uniti sullo sviluppo di armi nucleari da parte dell’Iran, ha affermato che la Repubblica islamica respinge l’ultima proposta dell’amministrazione Trump perché «contraddice al 100% il nostro principio di potere. Ciò va contro lo slogan “Noi possiamo”, che è un principio importante per l’indipendenza del nostro Paese». Rivolgendosi a Trump ha affermato: «Chi sei tu per dirci se possiamo avere un programma nucleare o no? Non rinunceremo alla capacità di arricchire l’uranio». Dei colloqui con l’Iran, Trump ha parlato sul suo social Truth, dopo una lunga telefonata con Vladimir Putin che si è proposto come mediatore: «Abbiamo anche discusso anche dell’Iran e del fatto che il tempo a disposizione per la decisione dell’Iran in merito alle armi nucleari sta per scadere e che tale decisione deve essere presa rapidamente! Ho dichiarato al presidente Putin che l’Iran non può avere armi nucleari e, su questo punto, credo che siamo d’accordo. Il presidente Putin ha suggerito che parteciperà alle discussioni con l’Iran e che potrebbe forse essere utile per giungere rapidamente a una conclusione. A mio parere, l’Iran sta temporeggiando su questa questione molto importante e avremo bisogno di una risposta definitiva in tempi molto brevi!».La proposta americana presentata all’Iran la settimana scorsa dall’inviato speciale statunitense, Steve Witkoff, delinea un accordo nucleare basato sulla creazione di un consorzio regionale per l’arricchimento dell’uranio a condizioni specifiche. Secondo i termini della proposta, all’Iran verrebbe impedito di sviluppare capacità di arricchimento nazionali oltre a quelle necessarie per applicazioni civili. A seguito della firma dell’accordo, l’Iran sarebbe tenuto a ridurre temporaneamente la concentrazione di arricchimento al 3%, con una durata da definire attraverso negoziati. Inoltre, gli impianti di arricchimento sotterranei dell’Iran dovrebbero diventare «non operativi» per un periodo di tempo concordato, mentre le attività di arricchimento presso gli impianti in superficie sarebbero temporaneamente limitate al livello richiesto per il combustibile per reattori nucleari. L’Iran continua a negare ufficialmente l’obiettivo di dotarsi di armi nucleari. Tuttavia, ha portato avanti un programma di arricchimento dell’uranio a livelli incompatibili con qualsiasi uso civile, ha ostacolato le ispezioni dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) nei propri siti nucleari e ha intensificato lo sviluppo dei missili balistici. Alcuni funzionari del governo iraniano si sono detti aperti all’ipotesi di un consorzio internazionale, ma hanno precisato che «ogni attività di arricchimento dell’uranio dovrà comunque svolgersi in Iran e rimanere sotto la nostra supervisione diretta». Le autorità iraniane ribadiscono da tempo che il programma nucleare nazionale non è materia negoziabile mentre un esponente dell’amministrazione statunitense ha riferito al Wall Street Journal che Washington prevedeva un rifiuto, da parte di Teheran, della proposta iniziale avanzata dagli Usa, e che sarà necessario valutare le opzioni successive. Secondo fonti ufficiali, i colloqui potrebbero comunque proseguire nel corso del fine settimana. La leadership israeliana non è rimasta sorpresa della risposta iraniana in quanto non ha mai creduto a una reale volontà di smettere di arricchire l’uranio e ha più volte minacciato un intervento militare per neutralizzare le infrastrutture nucleari iraniane, anche se secondo numerosi analisti è improbabile che proceda con un’operazione di questo tipo mentre restano in corso i negoziati. Prima di intraprendere un’azione militare, Israele necessita di garanzie di sicurezza da parte degli Stati Uniti, incluse forme di assistenza alla difesa che comprendano anche la presenza di portaerei in caso di fallimento dell’operazione. Un eventuale attacco israeliano risulta al momento vincolato da una finestra temporale limitata: Teheran sta infatti lavorando al ripristino delle capacità di difesa aerea danneggiate dai raid dell’Aeronautica israeliana in previsione di un’eventuale offensiva da parte di Stati Uniti o Israele contro le sue infrastrutture nucleari. Colpire le infrastrutture nucleari iraniane rappresenta una sfida complessa: Israele, che attende il completamento del dispiegamento militare statunitense nell’area, dovrebbe superare ostacoli logistici come la distanza, la dispersione geografica dei siti e la loro collocazione in profondità, protetta da strati di cemento armato e acciaio. A tutto ciò si aggiunge il rischio di una dura reazione da parte dell’Iran, che con ogni probabilità coinvolgerebbe un’offensiva congiunta di fuoco ostile proveniente da Iran, Yemen, Siria, Libano e persino dalla Striscia di Gaza.