2020-09-03
È guerra sui prosciutti Ferrarini ma la Bellanova non sa che cosa fare
Il ministro snobba l'agroalimentare. Diversi i dossier aperti, ma lei non va oltre le dichiarazioni d'intenti. L'industria leader del cotto è da anni sull'orlo del fallimento. Il Mipaf non sceglie la cordata, mentre il Mef...È la guerra dei prosciutti, ma vale infinitamente di più di un toast con cotto e mozzarella. È l'emblema che sull'agroalimentare non si sta facendo nulla anche se c'è in ballo un quarto del Pil. La partita è così delicata da aver rimesso insieme la Coldiretti e Alleanza Cooperative che da anni si guardavano di traverso. Sono consapevoli che sul destino della Ferrarini si gioca il futuro della filiera suinicola. Ancora una volta l'agroalimentare italiano e alle prese con una crisi aziendale che rischia di travolgere un intero comparto - è successo così col latte, è successo con l'olio d'oliva, sta succedendo con l'orto frutta e la pesca - e le risposte che arrivano sono parziali. La ministra dell'Agricoltura Teresa Bellanova ha sul tavolo diversi dossier aperti, ma oltre le dichiarazioni d'intenti non è capace di andare. Il presidente di Federalimentare Ivano Vacondio ha richiamato il governo sulla grave crisi del settore: «Rischiamo di perdere il 30% del fatturato» che tradotto fa oltre 50 miliardi. Ma dal Mipaf nessuna risposta. Gli ha fatto eco Ilenio Bastoni, direttore di Apofruit, un colosso della frutta, che da Cesena ha detto chiaro: «Serve ridare immediatamente competitività al sistema frutticolo: in Emilia Romagna in 10 anni ha perso 15.000 ettari di impianti, con perdita di altrettanti posti di lavoro, senza calcolare tutto il comparto a valle». Ma non basta perché anche dal vino - fiore all'occhiello dell'agroalimentare - arrivano altri appelli. Dice il presidente del Consorzio Chianti Giovanni Busi: «È abissale la distanza che separa gli innumerevoli annunci fatti dal governo e la realtà con cui puntualmente le nostre aziende fanno i conti il giorno dopo, quando le banche sbattono loro la porta in faccia negando ogni forma di aiuto». In questo quadro ecco il caso più emblematico: quello della Ferrarini, industria leader nel prosciutto cotto da quasi cinque anni sull'orlo del fallimento. La Bellanova si è limitata dire che «bisogna salvaguardare la filiera italiana». Non ha preso posizione tra le due cordate che si fronteggiano anche perché il Mef, ministero dell'Economia, ha scelto da tempo da che parte stare. Lisa Ferrarini è stata vicepresidente di Federalimentare e presidente di Assica. Una stella che si è appannata sotto una coltre di debiti, ma che conta ancora su amicizie molto influenti. I crediti deteriorati delle banche venete erano in mano a Sga, la bad bank del Tesoro, che doveva recuperarli e che poi li ha ceduti all'Amco (altra società del Tesoro) che ha un ruolo da protagonista in questa fase nell'impedire che la Ferrarini vada, come sarebbe giusto, sul mercato. Un anno e mezzo fa Lisa Ferrarini tentando di non far andare all'asta l'azienda ha trovato un «cavaliere bianco»: Piero Pini, il valtellinese re delle bresaole che con 30 milioni è entrato nel capitale. Piero Pini sta seduto su un fatturato di 1,6 miliardi, ha il macello più grande d'Europa in Spagna, ha stabilimenti in Ungheria e in Polonia, importa carne da dovunque. Nel marzo di un anno fa è stato anche arrestato per frode fiscale in Ungheria. A quanto pare al nostro ministero dell'Economia non fa specie avere per «socio» un possibile evasore visto che continua a sostenere la cordata Amco-Ferrarini-Pini. Il caso Ferrarini si avvia verso un epilogo da braccio di ferro. La data cruciale è il 25 settembre quando la corte d'Appello di Bologna dovrà dire se la nuova proposta di concordato preventivo presentata al Tribunale di Reggio Emilia da Pini è accettabile o no. Promette di ripagare fra tre anni al 33% i creditori e dice che questo basta ad escludere qualsiasi cordata concorrente. Il pronunciamento dei magistrati bolognesi è cruciale perché dipende da questo se nella partita possono rientrare Intesa e Unicredit che sono a sostegno di una cordata di «sistema» composta dal principale operatore di settore, il gruppo cooperativo Bonterre-Grandi Salumi d'Italia, e dall'unione degli allevatori suinicoli italiani e da Hp società specializzata nell'innovazione agrifood. Per paradosso contro questa cordata è schierato il governo italiano che appoggia col ministero dell'Economia l'altra cordata. Al proposito, Bonterre-Allevatori-Hp in un comunicato precisa: «Intendiamo mantenere la nostra offerta, ci sono 50 milioni immediati per ripagare i creditori e la precisa volontà di costruire una filiera tutta italiana». Non solo. Si mette anche in evidenza che la cordata Amco-Pini annuncia un pagamento non immediato dei debiti, che l'affermazione secondo cui soddisfacendo i crediti al 33% non c'è spazio per altre iniziative è unilaterale e soprattutto che questo raggruppamento non dà «nessuna certezza sulla continuità produttiva e industriale in Italia». Sembrano tornati i tempi della privatizzazione della Sme e della Cirio-Bertolli-De Rica quando Romano Prodi non accettò le offerte di Granarolo e del mondo coop. Com'è finita si sa: crac Parmalat e scandalo di Calisto Tanzi, crac Cirio e «fuga» di Sergio Cragnotti. La storia si ripete con Ferrarini?
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