
L'imbarazzante gestione della riforma del Mes espone il nostro Paese a pericoli in tutti i casi: per le clausole del Meccanismo, se venisse approvato, e per manifesta inaffidabilità, se venisse rinviato. Persino Mario Monti ammette: «Si poteva negoziare meglio».«Lunedì spazzerò via mezze ricostruzioni, menzogne, mistificazioni», ha detto il premier Giuseppe Conte, lanciando messaggi dal Ghana dove è in missione. Inizialmente la data per l'audizione sul Mes, il fondo salva Stati, era prevista il 10 dicembre, ma a causa delle pressioni da parte delle opposizioni ha anticipato il suo discorso al 2. A stabilirlo è stata la Conferenza dei capigruppo di Montecitorio. A sollecitare un intervento di Conte erano stati i parlamentari di Fratelli d'Italia, seguiti poi dal leader della Lega Matteo Salvini. Non siamo qui ad analizzare i contenuti dell'accordo né la battaglia che giustamente sta infuriando attorno al trattato, (ne scrivono ampiamente i colleghi della Verità da mesi), ma a cercare di capire quali saranno le ricadute su Borsa e spread. Purtroppo all'insaputa del Parlamento l'Italia si è spinta troppo in là nelle trattative tecniche che prendere una decisione porterà comunque a conseguenze. Conte di fronte all'Aula si troverà come opzione tre bottoni. Il primo farebbe scattare la scelta della firma e dunque dell'adesione al fondo sic et simpliciter. Cioè il governo accetterebbe di tirare dritto e dire sì a un testo che non è stato vagliato dal Parlamento. Conte non ha però alcuna certezza di avere una maggioranza a sostegno. Lega e Fratelli d'Italia hanno una posizione netta. Il Pd nonostante gli alert di Abi, Bankitalia, e pure di ex piddini come l'economista Giampaolo Galli voterà prono all'Ue. I 5 stelle la scorsa estate hanno messo il loro «no» nero su bianco e ora la base in Aula sta portando anche Luigi Di Maio su una posizione opposta a quella di Conte. Unico non pervenuto è Silvio Berlusconi che ieri, intervistato dal Corriere della Sera, ha parlato di Europa a tutto tondo omettendo il tema più delicato. Non sappiamo quindi che ordine darà ai suoi azzurri. Ma il pericolo nel complesso che una prova di forza di Conte metta a rischio la stabilità del governo è elevata. A quel punto il premier potrebbe optare per il secondo pulsante. Questo aprirebbe la strada a una totale inversione di marcia. «Scusate abbiamo scherzato», sarebbe il messaggio e Conte deciderebbe di non aderire al fondo. Ovviamente la scelta farebbe alzare già martedì lo spread e crollare il comparto bancario che tirerebbe già il resto del listino azionario. I mercati non comprenderebbero perché uno Stato cambia idea all'improvviso. Non valuterebbero nemmeno il motivo dello stop, si limiterebbero a definire il governo inaffidabile (cosa vera tra l'altro) e quindi procederebbero con vendite importanti, penalizzando gli istituti che detengono una grande fetta di Btp. Va aggiunto che i mercati non vedono l'ora di trovare un evento a cui agganciare il crollo del listino che, in compagnia di altra Borse, è ormai ai massimi storici dal 2009. Insomma, è arrivato il momento di portare a casa realizzi sostanziosi e Conte darebbe il la. Cosa che avverrebbe (sebbene con minore intensità) anche nel caso della terza opzione. Se il premier in Aula premesse il terzo pulsante e accettasse di posticipare l'adesione al trattato, inserendo su sollecitazione dei 5 stelle una serie di caveat, i mercati prezzerebbero (così si dice in gergo tecnico) il rischio che nei prossimi sei mesi accada un evento imprevisto. La Borsa funziona così. Lo abbiamo visto con la Brexit o qualunque altro cambiamento. A gennaio del 2015 il franco svizzero venne improvvisamente sganciato dall'euro. La scelta della banca centrale elevetica non fu anticipata da nessuno e il giorno dell'annunciò ci fu una tempesta sui prezzi della valuta. Durò pochissimo, perché i mercati si adattarono subito. Se nei mesi precedenti le autorità avessero promesso una cosa e poi ne avessero fatta un'altra, allora sì, la Svizzera avrebbe avuto problemi seri. Facendo i dovuti distinguo, lo stesso discorso vale per il governo giallorosso e l'eredità del gialloblù. A questo punto, vista la pessima gestione ogni mossa politica avrà conseguenze finanziarie. Possiamo però scommettere che l'eventuale impennata dello spread o il crollo di Piazza Affari sarà strumentalizzato. Chi sostiene il Mes a spada tratta userà le reazione dei mercati come arma per difenderlo ulteriormente. Non ammetterà che le reazioni sono frutto della mala gestio della trattativa, ma Pd e altri partiti iper schierati con Bruxelles affermeranno che è l'assenza del perimetro del Mes a far crollare tutto. Insomma, causa e conseguenza, come spesso accade, si invertiranno. E lo storytelling riporterà il problema all'origine, con la solita mistificazione: chi mette in discussione i dogmi Ue è sporco e cattivo.Eppure anche ieri al coro di chi fa i distinguo si è aggiunto uno come Mario Monti. «Penso che l'allarme sul Mes sia infondato anche se si tratta di materie che richiedono molta attenzione e che avrebbero dovuto essere maggiormente discusse e spiegate da parte del governo. Ma se c'è un Paese che ha bisogno di un efficace fondo salva Stati, è l'Italia», ha detto il professore della Bocconi a La 7. «Il governo avrebbe potuto negoziare meglio alcuni punti, come quello sulla sostenibilità del debito, ma sono cose relativamente marginali». Il diavolo però sta nei dettagli, così come le fregature. Per questo c'è un Parlamento. La sinistra invece insiste con i dogmi spesso irreali e non comprende perché la gente - che capisce di denaro (soprattutto del proprio) più dei professori - non le vada dietro. A volte la sinistra ci sembra che voglia dimostrare a tutti i costi che lo sterco fa bene alla dieta. Salvo poi meravigliarsi quando la gente non lo vuole mangiare.
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