
Il retroscena del consiglio delle Ferrovie. Il vicepremier agita il rischio fallimento della compagnia di bandiera. Il consiglio registra svenimenti e malori, ma fissa i paletti a tutela dell'azienda, già alle prese con la trovata renziana di fusione con Anas.«Dovete fare un'offerta perché non la fa nessuno, sennò il primo novembre Alitalia fallisce». La telefonata di Luigi Di Maio ai vertici di Ferrovie dello Stato è perentoria e dà inizio al più pazzo, nevrotico, estenuante consiglio d'amministrazione aziendale degli ultimi anni per salvare la compagnia di bandiera e l'equilibrio finanziario delle Ferrovie. Impegnate da quel momento (è il 28 ottobre) a preparare un matrimonio ardito se non contro natura, comunque mai tentato finora a livello mondiale: quello fra i treni e gli aerei.Dopo i no in rapida successione di Lufthansa, Leonardo Finmeccanica, Eni, Cassa Depositi e Prestiti - Giuseppe Guzzetti, numero uno del sistema fondazioni, è definitivo: «Non dobbiamo mettere un euro per nessuna ragione» - e il parere negativo di Confindustria, opposizione e sistema bancario, la patata bollente con le ali approda sulla scrivania del nuovo amministratore delegato Gianfranco Battisti. Peraltro inseguito dalle interviste rilasciate dal suo predecessore Renato Mazzoncini (renziano di ferro), nelle quali il manager bresciano leva il dito ammonitore contro l'impuro progetto. Proprio lui, che nel 2017 aveva operato il blitz natalizio con l'assurda fusione tra Ferrovie e Anas.Il clima è da Fort Alamo, con gli amministratori dentro le mura e tutti gli altri fuori, compreso il governo che dopo avere avanzato la pretesa di paracadute per la compagnia aerea attende con la clessidra in mano. Nasce così, tra il 29 e il 30 ottobre (dalle 9 del primo giorno alle 19 del secondo), il più incredibile cda della storia delle Ferrovie dello Stato, durato due giorni, sospeso solo per dormire, con i sette componenti guidati dal presidente Gianluigi Vittorio Castelli sotto pressione come i personaggi di un giallo di Agatha Christie.Sono tutti tecnici, docenti e manager, abituati a compulsare dossier completi e circostanziati, che si ritrovano fra le mani un piano industriale messo a loro disposizione solo da qualche giorno, con buchi, dubbi, diffidenze. Flavio Nogara, Cristina Pronello, Francesca Moraci, Andrea Mentasti, Wanda Ternau alla fine compiono un miracolo, estraggono dal cilindro una proposta vincolante ma blindata, tesa a salvaguardare Ferrovie, arrivata in fondo alla lunga traversata del deserto fra momenti di alta drammaticità. Un consigliere ha uno svenimento, un altro è preda di un malore. E nel momento più infuocato il corridoio risuona di urli al telefono tipo: «Questo non lo voto, qui non ci dovevo neppure stare».Le pressioni più forti arrivano dal Movimento 5 stelle. Sul salvataggio di Alitalia, Di Maio aveva messo la faccia e una fumata nera dal cda avrebbe avuto effetti negativi sui delicati equilibri dell'esecutivo. «Se saltava l'accordo poteva saltare anche il governo», spiega un colonnello della Lega con un sospiro di sollievo. Alla fine, dopo estenuanti trattative e con la sensazione d'avere la pistola puntata alla tempia, la proposta viene votata all'unanimità. Ma per Alitalia e i suoi sponsor governativi non è una vittoria: fra quelle pagine, un cda meno accomodante di com'è stato dipinto dalla stampa mainstream ha inserito paletti di cemento armato per difendere le Ferrovie.All'imprescindibilità di un partner industriale (Delta, Easyjet e Lufthansa se rientrerà in gioco); alla richiesta di sei mesi per preparare un piano industriale che stia in piedi; alla condizione che l'operazione passi fra le maglie dell'Antitrust e non venga bollata come aiuto di Stato, Battisti ha fatto aggiungere un capitolo con una parola chiave: sinergia. Nel senso che il valore dovrà essere generato dalla sommatoria delle strategie industriali delle due aziende; per intenderci, non potrà accadere che Ferrovie paghi per salvare Alitalia, o che Alitalia finisca in pancia a Ferrovie con il rischio di trascinarla a fondo.«Si sblocca tutto solo se c'è un partner industriale», sussurrano dal ministero dello Sviluppo economico. Come a dire che anche la politica è consapevole della necessità di un colpo d'ala, di una sterzata e di un piano industriale che possa convincere una compagnia estera a diventare potenziale compagno d'avventura. Allora Ferrovie sarebbe soltanto un garante, la gamba statale per rassicurare e non far correre troppi rischi al partner privato. Non sarebbe un investitore finanziario vero e proprio.Definire Ferrovie un partner tecnico significa intendere «né carne, né pesce». Non è partner finanziario perché non può permettersi di dilazionare investimenti sui suoi asset per preparare la culla ad Alitalia. Non è partner industriale perché far funzionare treni non ha niente a che vedere con il far volare aeroplani. Allo stato, Ferrovie è solo un socio italiano che garantisce l'operazione. Oggi il problema numero uno è il piano industriale, un dossier che stia in piedi nelle strategie. È poiché non ne esiste uno uguale al mondo, i tecnici saranno chiamati a un difficilissimo esercizio di competenza e di fantasia.Un aspetto non secondario sarà l'impatto dell'operazione sull'occupazione. L'asset deal firmato dal cda prevede l'acquisto degli aerei di proprietà, il subentro per gli aerei in leasing, la gestione di attivi e passivi, l'assunzione del personale «che verrà ritenuto utile». Formula che lascia aperte le porte a negoziazioni non marginali su chi si accolla gli eventuali esuberi. «Dateci Alitalia, ma toglieteci Anas», è il messaggio in uscita da Ferrovie. Basterebbe un decreto per uscire dall'incubo. Di sicuro il cda più tempestoso dell'anno sta a significare che due palle al piede sono insostenibili per chiunque. E che il matrimonio renziano fra treni e strade sta finendo nel luogo a lui più acconcio: un binario morto.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».
Antonio Scoppetta (Ansa)
- Nell’inchiesta spunta Alberto Marchesi, dal passato turbolento e gran frequentatore di sale da gioco con toghe e carabinieri
- Ora i loro legali meditano di denunciare la Procura per possibile falso ideologico.
Lo speciale contiene due articoli
92 giorni di cella insieme con Cleo Stefanescu, nipote di uno dei personaggi tornati di moda intorno all’omicidio di Garlasco: Flavius Savu, il rumeno che avrebbe ricattato il vicerettore del santuario della Bozzola accusato di molestie.
Marchesi ha vissuto in bilico tra l’abisso e la resurrezione, tra campi agricoli e casinò, dove, tra un processo e l’altro, si recava con magistrati e carabinieri. Sostiene di essere in cura per ludopatia dal 1987, ma resta un gran frequentatore di case da gioco, a partire da quella di Campione d’Italia, dove l’ex procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti è stato presidente fino a settembre.
Dopo i problemi con la droga si è reinventato agricoltore, ha creato un’azienda ed è diventato presidente del Consorzio forestale di Pavia, un mondo su cui vegliano i carabinieri della Forestale, quelli da cui provenivano alcuni dei militari finiti sotto inchiesta per svariati reati, come il maresciallo Antonio Scoppetta (Marchesi lo conosce da almeno vent’anni).
Mucche (iStock)
In Danimarca è obbligatorio per legge un additivo al mangime che riduce la CO2. Allevatori furiosi perché si munge di meno, la qualità cala e i capi stanno morendo.
«L’errore? Il delirio di onnipotenza per avere tutto e subito: lo dico mentre a Belém aprono la Cop30, ma gli effetti sul clima partendo dalle stalle non si bloccano per decreto». Chi parla è il professor Giuseppe Pulina, uno dei massimi scienziati sulle produzioni animali, presidente di Carni sostenibili. Il caso scoppia in Danimarca; gli allevatori sono sul piede di guerra - per dirla con la famosissima lettera di Totò e Peppino - «specie quest’anno che c’è stata la grande moria delle vacche». Come voi ben sapete, hanno aggiunto al loro governo (primo al mondo a inventarsi una tassa sui «peti» di bovini e maiali), che gli impone per legge di alimentare le vacche con un additivo, il Bovaer del colosso chimico svizzero-olandese Dsm-Firmenich (13 miliardi di fatturato 30.000 dipendenti), capace di ridurre le flatulenze animali del 40%.





