
Assieme ad affari e relazioni politiche dei Benetton, lo scandalo del viadotto travolge anche la retorica globalista e contro la famiglia tradizionale che il gruppo portava avanti da anni con le sue campagne di moda.È un fatto che ben prima che la caduta del comunismo e una serie di altri eventi riversassero in Europa, a partire dal 1989, una marea di genti diverse, sradicate, in preda spesso alla povertà, alla disperazione e talora alla «necessità» di delinquere, si andava affermando, col movimento New Age in generale e il '68 in particolare, il cosiddetto «ideale arcobaleno», «l'utopia multicolore»: un mondo unito, in cui tutte le religioni e le razze si mescolassero in un sincretismo totale, portatore di pace e di felicità. La famiglia tradizionale, si diceva, «è solo un cancro al cuore, l'origine della maggior parte delle alterazioni, perturbazioni e malattie mentali di cui soffre l'adulto; della sua incapacità di amare e della sua sfiducia nei confronti degli altri»; occorre quindi «aprirla», negare la monogamia, distruggendo il concetto reazionario di padre e di madre.Così bisogna ugualmente fare per le grandi famiglie delle razze, per la grande famiglia del mondo: «Riavvicinare il bianco al nero, il bianco-nero al rosso, il bianco-nero-rosso al giallo, rinchiudendo il circolo sacro delle quattro razze [...] e dare vita, con la combinazione delle quattro culture ad un nuovo tribalismo: il tribalismo dell'arcobaleno» (aa.vv., Arcobaleno: un popolo senza confini, Terra Nuova, Firenze, 1968).É il concetto, ormai noto a tutti, di «villaggio globale», che trova la sua origine in opere come La cospirazione dell'Acquario, un best seller New Age di Marilyn Ferguson (1938-2008), e che ha avuto il suo centro propulsore in tante associazioni acquariane, magari legate a filo doppio con l'Onu e con l'Unesco: l'associazione dei Triangoli, la Scuola Arcana, Il Governo Globale dell'Umanità. Organizzazione, quest'ultima, con sede a Roma, impegnata nel proporre la realizzazione di una «sola Nazione, una sola Religione, una sola Famiglia, una sola Razza...». In questo mito ideologico di una società perfetta e felice se multirazziale, multiculturale, multireligiosa e cosmopolita, sono cresciuti quei leader del '68 che poi ci hanno governato: da D'Alema a Veltroni, da Manconi alla Turco; da Gerhard Schröder a Fischer; da Tony Blair a Bill Clinton. In Europa, quello che fu il grande leader della rivoluzione studentesca, Daniel Cohn-Bendit, fu sostenitore della liberalizzazione delle droghe leggere e dello sdoganamento delle pedofilia, sul piano morale, e sul piano politico detentore del primo assessorato agli Affari multiculturali della Germania (a Francoforte, nel 1989). Se un tempo, nel Sessantotto, si augurava - insieme all' abolizione della famiglia e «del matrimonio in quanto istituzione politica, religiosa, giuridica, civile» - anche l'abolizione di «tutte le frontiere cancellando financo l'idea di patria», negli anni Novanta avrebbe gioito per quella che lui stesso definiva «Patria Babilonia», in onore della quale organizzava le «feste dei colori» (vedi D.C. Bendit, Patria Babilonia, ed. Theoria, 1995; vi si esalta la società multirazziale, contro le «ideologie xenofobe» e si afferma che «l'Europa non avrà storia se si sottrae al dovere di dare asilo agli stranieri che premono alle sue porte»).Questi stessi ideali li troviamo alle radici anche del '68 italiano, magari veicolati attraverso un universalismo sedicente cattolico, pervertito e trasformato in devastante utopia. Un cattivo maestro del '68, padre Ernesto Balducci (1922-1992), nel suo Le tribù della Terra: orizzonte 2000, scriveva cose che ricordano troppo da vicino quelle già lette in Arcobaleno: un popolo senza confini: «Le tribù della Terra si stanno svegliando, trasformando il cosmo politico in caos e rendendo impellente un ordine nuovo [...]. Questa è la fase nuova che nel mio auspicio dovrà essere quella autenticamente planetaria [...]. Dobbiamo comprendere la fecondazione reciproca delle razze», essere «cittadini del mondo» in un mondo in cui anche gli «immigrati» sono «cittadini del mondo» e quindi «non c'è più lo straniero».È evidente che il 1968 fu anche in questo pura ideologia, senza nessun rispetto per la realtà, per quella creazione che Dio ha voluto multiforme, varia, molteplice.È un'ideologia che si esprime attraverso immagini prerazionali, con concetti vagamente piacevoli e imprecisi, perché non ha la forza della realtà e della verità: si parlava, già 50 anni fa, di «sogno della società a colori», di «festa dei colori», e ad illustrare icasticamente questa utopia sono state soprattutto le foto accattivanti e provocatorie di un fotografo radicale, Oliviero Toscani, al servizio di un miliardario «illuminato»: quel Luciano Benetton che ci riempito la testa con i suoi «United Colors of Benetton, United Colors of the World», forse senza aver mai neppure accostato i drammi delle nigeriane costrette a vivere di prostituzione, dei neri schiavizzati nei campi di pomodori, delle migliaia di morti nel Mediterraneo, alla ricerca di un sogno quasi sempre senza speranza.
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